La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

IN TERRITORIO NEMICO
Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

Dettagli di un sorriso
romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

NON STO TANTO MALE
romanzo di Gianni Zanata

martedì 4 ottobre 2011

Libertà, istruzioni per l' uso

Libertà, istruzioni per l’uso

Esce oggi in libreria "La Libertà", il volume di Ludovica Pellizzetti, Piefranco Pellizzetti e Filippo Cristini (con illustrazioni di Andra Nicolò; manifestolibri) dedicato ai ragazzi fra i 10 e i 18 anni e a tutti coloro che, ad ogni età, vogliono affrontare un viaggio originale, spiritoso e sorprendende attraverso i molteplici significati della parola Libertà. Anticipiamo il capitolo "La libertà di pensare è sempre in pericolo".

La libertà di pensare è sempre in pericolo

di Pierfranco Pellizzetti

A questo punto abbiamo la sensazione di aver citato per ora un po’ troppi maschietti. Rimediamo almeno in parte parlandovi di una grande donna del secolo scorso: Hanna Arendt (1906-1975); una filosofa tedesca d’origine ebraica, rifugiatasi in America per sfuggire alle persecuzioni naziste, che ci ha insegnato un mucchio di cose importanti: dal Totalitarismo moderno alla natura del Potere, al Male che può nascondersi persino dietro apparenze “banali”. Questa vecchia ragazza straordinaria era decisamente convinta che l’attività più significativa per noi umani fosse la politica, l’impegno a discutere apertamente e tutti insieme gli argomenti e le scelte che riguardano la nostra vita, piccole o grandi che siano. Fate attenzione: di certo risulta estremamente importante stabilire se vogliamo continuare o meno a sprecare le risorse della Madre Terra in via di esaurimento (aria, acqua, suolo, petrolio...) in una corsa folle ai consumi inutili. Magari intasando le nostre città con montagne di spazzatura o scatenandosi con il proprio bolide sulle autostrade, trasformate in piste da rally, per arrivare tre minuti prima (e rischiare l’incidente). Secondo un’idea di libertà intesa come liberi tutti nella marcia verso il baratro. Ma non è meno urgente impiegare il nostro tempo a riflettere insieme sugli aspetti concreti del vivere quotidiano: tipo gli orari dei negozi o gli asili nido, per consentire alla madre che lavora di organizzare il proprio tempo un po’ più liberamente. Queste le ragioni per cui Arendt arriva a dire che libertà e politica sono strettamente legate tra loro. Affermazione a cui oggi possiamo farne seguire un’altra: in questo momento la politica non gode di buona salute. Anzi, è circondata da una pessima considerazione. Siamo sicuri di non sbagliare se diciamo che alla parola “politica” molti di voi arricceranno il naso: chi la trova noiosa, chi brutta, chi - peggio ancora - indifferente ai bisogni della gente perché concentrata soltanto sugli interessi personali dei politici, quelli che sulla politica ci campano. Eppure non è necessariamente così, e se continuerà a essere così saremo sempre meno liberi. Il problema è capire perché siamo giunti a questo punto.

Quanto si può affermare su questo argomento decisivo è che ci è stata (seppure in parte, per fortuna) sequestrata la prima delle libertà, quella di pensare. E di esprimere quello che abbiamo pensato. Potreste risponderci: ma cosa dite? Io penso sempre per conto mio. Eppure - attenzione! - non sempre succede. Molti dei pensieri che crediamo nostri, autonomi e originali, in realtà ci sono stati messi in testa senza che ce ne accorgessimo. Vorremmo farvelo notare partendo proprio da voi, dai pantaloni che indossate e dalla musica che più vi piace. Non per fare gli antipatici impiccioni, ma siete davvero sicuri di averli scelti liberamente? Girando per le strade vi vediamo tutti con gli stessi jeans. Magari personalizzati con qualche taglio e qualche borchia o “firmati” del solito stilista alla moda. Eppure si tratta sempre della stessa tela grezza e molto resistente (“blu di Genova”, blue jeans) con cui si confezionavano le braghe da lavoro dei minatori e degli scaricatori, che ora sono diventate il capo principe per una ragione semplicissima: sono prodotti in milioni di pezzi e - di solito - a un prezzo accessibile (vabbé, per quelli firmati non è proprio così…). Come si dice, un best-seller nel mercato di massa, che viene imposto attraverso campagne di immagine (tipo foto di personaggi famosi che li indossano, pubblicità, messaggi indiretti) come l’unico modo di vestire per sentirsi “giusti”. Ossia, i mega produttori di quelli che si chiamano “grandi numeri”, la merce a tirature stratosferiche, hanno individuato il bersaglio (target, secondo il linguaggio del marketing) e hanno speso cifre enormi perché i bisogni di quel target si indirizzasse verso il loro prodotto. Del resto, vi siete mai chiesti perché la musica che ascoltate è quasi esclusivamente in lingua inglese? Non sarà perché le più importanti case discografiche sono anglo-americane?

Gli studiosi ci dicono che la data d’inizio di questo fenomeno va collocata nella metà degli anni Cinquanta, quando gli esperti di marketing scoprono il loro nuovo cliente: i teen-agers, il pubblico dei minorenni, cresciuto in misura notevole grazie al boom delle nascite dopo la Seconda guerra Mondiale. Che ora aveva soldi da spendere, visto il diffondersi del benessere. E questa scoperta del pubblico giovanile cambia non solo l’abbigliamento da mettere sul mercato ma anche il tipo di proposta musicale da spingere. Nasce la musica pop-rock, tradotta in un affare da Paperon de’ Paperoni: se nel 1955 i dischi venduti furono 277milioni, nel 1959 erano diventati 600milioni e nel 1970 due miliardi. Una vera e propria “colonizzazione” del gusto, per cui oggi vi vestite tutti allo stesso modo, sapete tutto di Bruce Springsteen o di Freddie Mercury dei Queen. Ma siete rimasti senza alternative. Quelle alternative senza le quali non c’è libertà di scelta. Per dire, non vi giunge all’orecchio nient’altro che questi suoni, quando nel mondo ce ne sono pure altri, spesso bellissimi. In poche parole, si tratta anche (soprattutto?) di grandissime operazioni commerciali, che per avere successo hanno dato fondo a tutte le risorse rese disponibili da quell’immenso megafono che chiamiamo comunicazione: “mass-media”, gli strumenti di comunicazione di massa, che ci inducono ad accettare come verità ciò che è giusto e ciò che non è giusto pensare secondo le decisioni di chi orienta il gusto. I padroni del pensiero. Se in futuro vorrete approfondire questo argomento, vi converrebbe leggere il librone scritto da uno storico inglese chiamato Eric Hobsbawm (titolo: Il secolo breve). Nell’ultima parte del XX secolo lo strumento principale di comunicazione di massa è stata la televisione, che - guarda caso - si è ingoiata anche la politica. Per cui c’è chi dice che “i salotti TV” (i talk-show; ad esempio Porta a Porta di Bruno Vespa) ormai hanno definitivamente sostituito il Parlamento. Il filosofo italiano Remo Bodei, che ora insegna in California, lo racconta in una battuta: “le pareti di casa sono cadute e attraverso la televisione il mondo ci è entrato in salotto… ma quasi nessuno se ne è accorto”.

Quanto risulta certo è che assistiamo allo spettacolo di politici che sgomitano per avere cinque minuti di visibilità come se si trattasse di una questione di vita o di morte. E chi controlla i passaggi televisivi ha su di loro un potere enorme. Dato che questi controllori dell’informazione diventata spettacolo (tycoon), alleati con i banchieri e i finanzieri (quelli che fanno i soldi maneggiando denaro, restando fermi davanti allo schermo del PC), sono ricchi imprenditori, ne deriva una sostanziale sottomissione della politica (o meglio, dei politici) ai comandi dell’economia. Quella economia che ha tutto l’interesse a non essere disturbata nelle sue scelte strategiche. Dunque, ha tutto l’interesse a far passare il messaggio che funziona da sonnifero per il nostro spirito critico: farci credere che “viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Ne derivano quei forti rischi per la libertà di pensiero di cui si diceva, aggravati dal fatto che i canali attraverso cui passano i messaggi (informazioni e conoscenze) obbediscono a quanto conviene ai controllori. Dunque, la solita relazione di potere esercita sempre meno la propria imposizione con la forza e sempre di più con l’uso dell’influenza, ottenuta disegnando una realtà a proprio uso e consumo. C’è stato il terremoto in Abruzzo? Si risolve il problema dichiarando in televisione che il Governo ha già provveduto. C’è l’emergenza rifiuti in Campania? Basta ripetere che il Presidente del Consiglio ha fatto il miracolo di eliminarla in una sola notte. Un po’ come quando gli Stati Uniti scatenarono la guerra contro l’Iraq, sostenendo che questa nazione aveva accumulato arsenali stracolmi di armi per la distruzione di massa. Poi si è saputo che non era vero. Ma intanto… Venendo al punto: se i vecchi padroni dominavano le menti degli schiavo incatenando i loro corpi, i nuovi padroni dominano i corpi condizionando le menti. Non hanno torto – quindi – quanti ritengono che la battaglia di oggi e di domani per la libertà si combatte sul terreno dell’informazione. Battaglia molto difficile, perché i senza potere sembrerebbero disarmati sul terreno del controllo dei canali di comunicazione. Ma forse non è proprio così. Infatti le nuove tecnologie (Internet, reti di telefonia mobile, piattaforme “sociali” come Facebook) offrono interessanti possibilità. Di ritornare a essere liberi, di avere un peso e contare. Sempre che vengano sfruttate.

Per questo vale la pena di raccontare una storia, che riguarda l’epidemia mortale di SARS, scoppiata in Cina nel novembre 2002. Si trattava della Severe Acute Respiratory Syndrome (appunto, SARS), forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nella provincia del Guangdong. Le autorità di Pechino cercarono di tenere segreta la cosa, con il rischio di diffondere il contagio. Tentativo sventato dai parenti delle vittime e dai medici grazie all’invio di SMS del telefonino, rivelatosi un mezzo adeguato per sostenere un sistema di informazione non governativo. Un altro esempio interessante è quanto accadde in Spagna l’11 marzo 2004. Si era in piena campagna elettorale quando i terroristi islamici federo esplodere una bomba nella stazione ferroviaria di Madrid, ammazzando molti viaggiatori. Avevano scelto questo bersaglio per colpire il Paese che con il primo ministro, il conservatore José Maria Aznar, aveva partecipato all’invasione dell’Iraq. Per questo motivo il governo cercò di nascondere la scomoda verità accusando della strage i nazionalisti baschi. Ma l’imbroglio venne svelato grazie a un messaggio telefonico di 160 lettere spedito a centinaia di migliaia di cellulari (in quei giorni il traffico telefonico spagnolo aumentò del 40 per cento). Alle elezioni gli spagnoli punirono Aznar eleggendo il suo avversario: il progressista José Luis Zapatero.

Dunque i nuovi media possono rendere più trasparente e democratica la sfera pubblica anche smascherando le bugie dei potenti, con questo potrebbero perfino diventare la nuova piazza virtuale (non si spostano gli atomi del nostro corpo ma i bit del nostro computer), in cui i cittadini si incontrano e si confrontano. Per prima cosa ricevono le notizie. E l’informazione corretta – già ce lo siamo detti - è la prima condizione per liberare il pensiero e favorire un atteggiamento critico: per rendere liberi i corpi attraverso le menti. Ricerche americane hanno stabilito che se ancora il 77 per cento della popolazione si informa prevalentemente con la televisione, già il 33 per cento (soprattutto i più giovani) lo fa navigando nello spazio molto meno condizionato di Iternet. Inoltre, così facendo, si favorisce il nascere di reti di relazioni; e un’alta qualità in materia di relazione contribuisce a diffondere – come ci dicono ancora recenti ricerche – l’impegno diretto in politica e la cultura della partecipazione alla vita civile. Difatti un importante sociologo dei mass-media – lo spagnolo Manuel Castells, che insegna all’università di Berkeley, Stati Uniti – ci ha spiegato che si può parlare di “una coalizione strategica tra le forze politico-liberali e le nuove tecnologie della comunicazione”. Anche se non va mai dimenticato che si stanno rivelando molto forti (e molto preoccupanti) le spinte a riportare sotto il controllo del potere il nuovo spazio di comunicazione e incontro nato dal WEB (il sistema creato dall’informatica che permette di collegarci con Internet); e – magari – renderlo schiavo delle logiche commerciali televisive.

Dove tutto questo ci possa portare ancora non si sa
. Probabilmente è una storia su cui solo voi vedrete comparire la parola “fine”. Di certo questo è il terreno del confronto/scontro da cui dipenderà l’alternativa decisiva: se nel futuro che ci attende saremo (sarete) più o meno liberi. E il risultato dipenderà anche da quanto voi - futuri cittadini e cittadine - riterrete importante essere liberi. E battervi per esserlo. Come “il grillo zoppo”, di cui ci ha raccontato la piccola storia commovente un poeta italiano che scriveva in romanesco: Trilussa (uno pseudonimo, che sta per Carlo Alberto Sallustri, 1871-1950). Con cui chiudiamo il nostro racconto della libertà:

ER GRILLO ZOPPO
- Ormai me reggo su ‘cianca sola.
- diceva un Grillo - Quella che me manca
m’arimase attaccata alla cappiola.
Quanno m’accorsi d’esse priggioniero
col laccio ar piede, in mano a un regazzino,
nun c’ebbi che un pensiero:
de rivolà in giardino.
Er dolore fu granne… ma la stilla
de sangue che sortì da la ferita
brillò ner sole come una favilla.
E forse un giorno Iddio benedirà
ogni goccia de sangue ch’è servita
pe’ scrive la parola Libbertà.

da MicroMega

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