La via dei conventi. Ante Pavelic, fascismo e chiesa cattolica
Non
un libro sul turismo religioso ma un approfondimento storico sul
movimento ustascia in Croazia, prima e durante la Seconda guerra
mondiale e sui suoi influssi e riflussi nella Jugoslavia titina. Una
ricostruzione fatta sulla base di documenti doplomatici e d'archivio di
numerosi Paesi.
La via dei conventi
Talvolta
i titoli portano altrove. In questo caso non si parla di percorsi
spirituali per i pellegrini del turismo religioso, ma – come recita il
sottotitolo di questa pubblicazione - del movimento croato degli
ustascia e dell’indiscusso capo Ante Pavelić. E delle vie di fuga che
utilizzarono spesso, appunto, conventi ed istituti religiosi conniventi,
specie francescani.
Le due Jugoslavie e gli ustascia
Ma
andiamo con ordine: in questo ricco e documentato lavoro – 600 pagine
di cui circa cento di note e di bibliografia – gli autori Adriano e
Cingolani ripercorrono il faticoso percorso delle due Jugoslavie che si
sono succedute nel Novecento – quella monarchica dei Karađorđević e
quella socialista di Tito – vedendolo però dal lato di quel movimento
ultranazionalista croato detto degli Ustascia o insorti, in ricordo
delle lontane ribellioni antiturche.
L’ustascismo,
nelle intenzioni di Pavelić e dei suoi, avrebbe dovuto restituire alla
Croazia quell’antica grandezza che avrebbe avuto - a suo avviso - nel
leggendario regno fondato nel decimo secolo sul lato occidentale dei
Balcani. Curiosamente la stessa Croazia produsse, nell’Ottocento, due
ideologie completamente diverse. La prima, quella illirista, tendeva
allo jugoslavismo (ne era leader il vescovo zagabrese Josip
Strossmayer), cioè all’unione – in chiave antiasburgica ed antiottomana -
degli Slavi meridionali, cattolici ed ortodossi che fossero. L’altra
invece, mescolando nazionalismo, clericalismo e razzismo, puntava non
solo ad una grande Croazia statualmente autonoma (e quindi di fatto
irriducibilmente antiserba) ma anche etnicamente pura.
Protezione italiana
Pavelić
parte ovviamente da quest’ultimo pensiero e lo organizza con il
terrorismo negli anni Trenta con l’obiettivo di smantellare la prima
Jugoslavia, cioè il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (SHS) in
cui la Croazia era “prigioniera”. Non solo il re Alessandro venne
ucciso a Marsiglia nel 1934 da mano ustascia, ma per tutti gli anni
seguenti proseguì l’opera di destabilizzazione del Regno jugoslavo.
Opera francamente facilitata da un lato dall’oggettiva fragilità e
rissosità del giovane Stato, dall’altro da chi, come l’Italia fascista,
aveva mire egemoniche sul vicino Regno.
Non
meraviglia dunque che Pavelić ed i suoi ustascia vengano generosamente
accolti e protetti in Italia in attesa del momento propizio. Momento che
arriverà presto con l’invasione italotedesca della Jugoslavia, la sua
frantumazione e la nascita, nell’aprile 1941, dello Stato indipendente
croato (NDH) guidato dal poglavnik (duce, capo) Pavelić.
Uno
Stato che si presentava non solo filofascista ed ultracattolico, ma
anche violentemente razzista. Obiettivo: spazzar via i serbi, gli ebrei
ed i rom; i massacri e la pulizia etnica ebbero la scientificità massima
nel famigerato campo di Jasenovac, un vero e proprio lager (con tanto
di forno crematorio) guidato anche da un frate, detto efficacemente frà
Satana.
Dopoguerra
Con
la sconfitta tedesca e la vittoria partigiana, gli ustascia in fuga
dimostrarono una grande abilità nel nascondersi approfittando di una
rete vasta di appoggi e di coperture fornite soprattutto da influenti
sacerdoti e frati croati nonché da chi vedeva negli ustascia una forza
anticomunista comunque utile nel momento in cui il mondo si spaccava
nella guerra fredda. Dopo l’Austria e l’Italia fu l’Argentina peronista
la meta “naturale” di tanti dignitari ustascia, Pavelić compreso.
Il
poglavnik morì nel 1959, quando ormai la Jugoslavia, avendo rotto con
l’URSS, era ritenuta geostrategicamente “utile” all’Occidente.
L’ustascismo si era ormai ridotto alle azioni terroristiche, che ebbero
il picco in quella “Primavera croata” del 1970-71 che fece esplodere
ampie rivendicazioni nazionalistiche poi represse dallo stesso Tito.
Il
libro finisce qui. Ma sappiamo che, come vampiri, gli ustascia (insieme
con i cetnici serbi) riapparvero lugubremente negli anni delle violente
convulsioni che smembrarono la Jugoslavia federale. Lo stesso
presidente Franjo Tuđman ed il suo partito HDZ ebbero il sostegno di una
robusta diaspora anticomunista dalla tinta decisamente filoustascia. E
bisognerà aspettare nel 2002 il centrosinistra di Ivica Račan (ex Lega
dei comunisti) perché si cominci a pensare di vietare in Croazia il
proliferare della simbologia ustascia, cui si erano aggiunte le foto di
Ante Gotovina. Ma, come un fiume carsico, non è detto che l’ustascismo
non possa trovare nuovo consensi dalla destra radical-populista, magari
rifiutando quell’Europa che tra due anni dovrebbe accogliere la Croazia.
Perché
quel che è certo – ed il lavoro di Adriano e Cingolani ben lo dimostra –
è che l’ustascismo si innerva incontestabilmente sulla storia croata, o
perlomeno di una certa Croazia, e quindi anche sulle dinamiche sempre
piuttosto aggrovigliate dei Balcani.
Pino Adriano, Giorgio Cingolani
La via dei conventi. Ante Pavelić e il terrorismo ustascia dal Fascismo alla Guerra Fredda
Mursia, Milano 2011
€ 20
(Da: http://www.balcanicaucaso.org)
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