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Il calcio dell' Asino

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NON STO TANTO MALE

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martedì 4 ottobre 2011

Parise contro Pasolini, il pigro e la vocina


Parise contro Pasolini
il pigro e la vocina

Goffredo Parise (1929-1986) e Pier Paolo Pasolini (1922-1975)

A un quarto di secolo dalla morte, si celebra lo scrittore vicentino che occupò con PPP la scena degli Anni 70

MARCO BELPOLITI
Antipatia è uno dei Sillabari . Vi si racconta del rapporto tra due uomini. Il primo è un po’ pigro, il secondo ha invece una voce dolcina. Questi telefona la mattina all’uomo pigro e gli chiede di dare un sostegno economico ad alcuni spagnoli che lottano contro il regime di Franco e versano in condizioni di indigenza. Il pigro non acconsente. A lui la vocina non piace. Certo è una persona importante, o meglio «molti giudicano un segno della propria importanza ritenerlo importante». Ma per lui, per il pigro, la vocina possiede una brutta faccia ossuta a forma di pugno, una bocca dentro un incavo osseo come certi tipi sdentati e occhi mobilissimi che non si fermano mai negli occhi della persona con cui parla.

Non è difficile riconoscere nel pigro l’autore stesso del racconto, Goffredo Parise, e nella vocina quella di un suo interlocutore, Pier Paolo Pasolini, verso cui egli nutre una certa avversione, antipatia, appunto. Il racconto, uno di quelli che compongono il Sillabario n. 1 , del1971, ben evidenzia la diversità tra due scrittori che hanno occupato la scena degli Anni Settanta e sono entrati, in modo seppur diverso, nel canone della letteratura italiana del secondo dopoguerra, anche se in effetti la figura indiscussa e indiscutibile di Pasolini oggi sembra occupare gran parte di quello spazio letterario, mentre Parise, più scrittore di lui, anche se meno polemista, è assai meno citato e meno letto, nonostante da tempo la casa editrice Adelphi abbia iniziato la ristampa dell’opera, compresi scritti sparsi e racconti mai raccolti.

Nato nel 1929 a Vicenza e morto a Treviso nel 1986 (nel venticinquennale è a lui dedicata l’edizione 2011 di «Portici di carta», sabato e domenica a Torino), Parise è stato un giovane prodigio; a soli 22 anni pubblica un romanzo fulminante, Il ragazzo morto e le comete (1951), recensito positivamente da illustri firme del giornalismo culturale dell’epoca, subito seguito da La grande vacanza (1953), entrambi dedicati ai miti e ai fantasmi dell’adolescenza che lasciano ancor oggi interdetti per la poesia e l’arditezza dello scrivere e dell’immaginare. A cui segue uno dei primi bestseller del dopoguerra, Il prete bello (1954).

Oggi, che tutto sembra lontano e stemperato, nessuno scrittore di quell’epoca sembra adatto a leggere e interpretare i tempi in cui viviamo come Parise. Da poco è ritornato in libreria un romanzo uscito nel 1965 e ancora attuale, Il padrone , in cui si ha il massimo di percezione fisica del mondo, come ha scritto Raffaele Manica nel numero appena apparso di Nuovi Argomenti dedicato allo scrittore vicentino. Parise, ricorda Manica, è sempre uno scrittore fisico, uno dei pochi autori di quegli anni lontani che sono i Settanta, capace di dirci qualcosa sulla realtà postumana che stiamo vivendo, in cui il corpo è diventato una variabile indipendente. Parise lettore di Darwin è stato uno scrittore antropologico, meglio etologico, che non declina in modo deterministico la lettura narrativa della realtà, ma ne apre tutte le potenzialità alla luce del possibile e soprattutto del mistero. Parise scrittore della sessualità è un interprete privilegiato dei sensi, dei movimenti interni del corpo: odori, secrezioni, tattilità. Uno dei suoi libri più straordinari, ancora sconosciuto ai più, si intitola Guerre politiche (1976) e raccoglie i reportage in Cina, Biafra, Vietnam, Cile, resoconti di prima mano su luoghi del conflitto politico e militare di quegli anni, un libro scritto attraverso il corpo e i sensi, opera piena di curiosità così come è priva di presupposti ideologici.

L’ideologia, ecco il punto che lo allontana e lo mette in rotta di collisione con «la vocina», con Pasolini. Parise è appassionato di idee, attirato dalle idee, ma senza esserne distorto, come scrive Manica, ovvero senza essere ideologico. Tutto il contrario di Pasolini, in cui la lettura della realtà nasce da una serie di premesse, anche radicali e controcorrente, da cui tuttavia il poeta di Casarsa deduce la realtà stessa; per Parise, che attraversa la giungla vietnamita assieme ai soldati americani, non c’è nessuna ideologia o premessa, ma solo conseguenze di esperienze provate nel luogo del conflitto, e a volte persino contraddittorie. Forse la cosa che univa entrambi, il pigro e la vocina, è l’energia che scaturisce dalle loro opere, un’energia a tratti perversa e incontrollabile. Il libro più emblematico di quell’epoca è probabilmente il postumo L’odore del sangue , scritto da Parise alla fine degli Anni Settanta, e uscito nei Novanta, una visione ruvida e provocatrice di quel decennio, in cui non solo il sangue scorre per le strade, ma il sesso è uno dei motori decisivi del conflitto che allora, ma anche in seguito, abbiamo continuato a leggere solo sul piano sociale e politico. Parise l’aveva fisicamente anticipato sul proprio corpo, non meno di Pasolini. Forse è venuto finalmente il momento di rileggere Parise come un classico a noi contemporaneo.

A Torino, Portici di carta È dedicata a Goffredo Parise, a 25 anni dalla morte, l’edizione 2011 di «Portici di carta», in programma questo fine settimana a Torino, sotto i portici di via Roma, piazza San Carlo e piazza Carlo Felice (sabato dalle 10 alle 24, domenica dalle 10 alle 20). Oltre allo scrittore vicentino saranno celebrati Walter Bonatti, lo scalatore da poco scomparso, e Furio Jesi. Si parlerà inoltre del thriller medievale di Marcello Simoni Il mercante di libri maledetti . Tra gli altri temi, «le città visibili» Lampedusa, Matera, Vicenza e Torino Capitale e «raccontare le periferie (Torino, Milano, Roma e Napoli).

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