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domenica 2 ottobre 2011

Giorgio Caproni, Racconti scritti per forza

da vento largo

Da leggere: Giorgio Caproni, Racconti scritti per forza


Una raccolta di racconti che permette di comprendere meglio la poesia di Caproni. Un libro da leggere.

Giovanni Tesio

Racconti scritti per forza


Scritti «per forza» significherebbe proprio cio' che il titolo dice. Ossia scritti su commissione, scritti per lucro, scritti «per occasioni», come precisava Giorgio Caproni in un'intervista a Mario Picchi. Scritti specialmente tra gli Anni Trenta e Quaranta e sparsamente pubblicati su quotidiani e periodici. Nella difficolta' e nei «momentacci» che hanno travagliato la vita di uno dei poeti piu' limpidi del nostro Novecento, un'attivita' collaterale, insomma, che poteva servire a integrare il piccolo stipendio di maestro o di umile correttore di bozze.

E tuttavia guai a prendere alla lettera i poeti che giocano al ribasso e che si mimetizzano dietro le loro nevrosi: «il povero caproncello versificatore» delle lettere a Betocchi. Perche' questi Racconti scritti per forza, appena pubblicati da Garzanti grazie alla cura di Adele Dei (con la collaborazione di Michela Baldini) mostrano poi di fatto una forza che resta difficile annettere ad una pura e semplice rubrica della mano sinistra. Il primo a farne oggetto di studio era stato Luigi Surdich, ma qui la Dei raccoglie tutti i «quarantacinque Racconti> > (quasi come i quarantanove di Hemingway) in prima e terza persona, e li dispone in sezioni, che magari tradiscono il criterio della semplice collocazione cronologica, ma consentono di identificare dei nuclei - anche temporali - di temi e motivi, se non sempre omogenei, sicuramente affini. Un buon aiuto, in definitiva, per un lettore comune che voglia accostarsi al mondo di Caproni per una via ben piu' importante di quanto le testimonianze e le dichiarazioni personali ce la facciano ad ammettere. Non solo perche' la prosa (almeno dalla consapevolezza di Leopardi in poi) ha sempre nutrito e innervato i versi dei poeti, ma anche perche' attraverso la prosa narrativa di Caproni (una sorta di porta di servizio) possiamo meglio entrare nel mondo poetico piu' suo. Senza per questo dimenticare il piacere del testo che si propone qui in tutta la sua (solida) autonomia.

Il nucleo piu' forte e' quello costituito dai capitoli del romanzo rimasto inedito, La dimissione, insieme con il nucleo dei Racconti partigiani, ambientati tutti e due in Alta Valle Trebbia, dove Caproni fece il maestro elementare e dove passera' poi sempre l'estate. Il romanzo e' una cupa storia di taglio realisticamente surreale, che tra realta' e simbolo disegna i contrasti e gli avvisi di un'umanita' prigioniera, chiusa dentro un paesaggio di forte evidenza emblematica: «Stava davanti a me un paesaggio di sasso, dove il mio disagio spaziava su un mare pietrificato di monti e di rocce rosse, a onde qua e la' rotte in una delle tante frane disseminate nel verde quasi minerale».

Per parte loro, i Racconti partigiani sono quanto di meglio possa darsi nel panorama di un «genere» che da Calvino a Fenoglio non e' stato proprio avaro di risultati. Storie di orrore e solitudine, di sangue e gelo, di freddo e fame, di digiuno e sgomento, di imboscate e crudelta', di colpe e tremori; la contraddittoria e spietata pieta' che prende - come nel racconto Un discorso infinito - di fronte alla morte finalmente comune di chi ha fatto scelte diverse di campo. Sempre agisce in Caproni, in ogni sezione del libro, e persino quando il racconto pare farsi piu' ilare come nel lungo scherzo della Maliarda, l'ambiguita' dei labirinti umani (s'intitola Il labirinto uno dei Racconti piu' convincenti) che si muovono tra disperazione e speranza, tra ira e pianto, tra pieta' e disprezzo, tra angoscia e rancore, tra bellezza e tristezza, tra cattiveria e colpa, alla ricerca continua del «filo giusto da infilar nella cruna della verita'». Sempre un'esattezza che e' la stessa della poesia, la ricerca di un ritmo che anche in questi Racconti e' voce di dentro: quali che siano le tante occasioni «per forza» che - nella piu' ardua conversione della cosa in parola - possono avere indotto un poeta come lui a farsene narratore.

(Da: Tuttolibri-La Stampa)


«Credo [...] che la forma narrativa sia l'ossatura di qualsiasi scrittura artistica, anche della poesia, anche della poesia più lirica. Mi dà fastidio che, per esempio, chiamino i miei versi liriche [...] perché mi piace raccontare, penso proprio che all'uomo piaccia stare a sentire un discorso, un racconto insomma.»

Giorgio Caproni
Giorgio Caproni
Racconti scritti per forza
Garzanti, 2008
21 Euro

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