La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

lunedì 5 settembre 2011

Che taglio dare alla storiaccia dei tagli?



Che taglio dare alla storiaccia dei tagli?

di redazione per Artribune
Un grappolo di opinioni in tre puntate per cercare di non pronunciare le solite banalità sull’annosa questione dei tagli agli investimenti pubblici in cultura. Una tendenza che interessa tutta Europa e che necessità di riflessioni e lucidità, per reagire e andare al di là della lagna.

UMBERTO CROPPI
responsabile cultura per fli – futuro e libertà
Ogni riflessione sugli investimenti pubblici nella cultura deve partire da una considerazione su dati oggettivi che pongono l’Italia al fondo della graduatoria. E non solo nell’ambito dei Paesi “forti”, ma di qualsiasi altro stato, compresi quelli balcanici; o di quelli di tradizione anglosassone, dove c’è un’antica tradizione di partecipazione privata. Siamo talmente al di sotto della soglia minima che è difficile, in questa condizione, parlare di sprechi o di cattiva gestione, che pure ci sono. Prima di affrontare il tema di come spendere è necessario rivedere l’ordine delle priorità della spesa e degli interessi che è stabilito nella politica italiana. Il valore sociale della cultura, nelle sue variegate espressioni, è semplicemente negato da due concezioni che privilegiano settori ritenuti intoccabili. Sul piano economico, quella che è senza dubbio la principale risorsa italiana è relegata in un angolo e non rientra nelle politiche di “sviluppo”, le quali comprendono soltanto la filiera industriale stricto sensu. Anche i tanto sospirati interventi privati non possono essere considerati come sostitutivi, ma debbono essere un complemento di quelli pubblici: gli uni crescono in funzione del crescere degli altri.

FRANCESCO ZURLO
direttore di poli.design e docente di disegno industriale al politecnico di milano
Una buona scuola per non sentire più parlare di tagli alla cultura… Mi occupo e insegno design. Una delle prime cose che ricordo ai miei ragazzi è che il design italiano esiste e ha maturato visibilità e stima nel mondo perché alcuni giovani architetti degli anni ‘60 hanno iniziato a sperimentare oggetti dalle forme e dalle tipologie innovative, apprezzate da clienti borghesi illuminati e aperti e, principalmente, locali. Il successo di un prodotto in qualche modo è sempre legato al riconoscimento che quel prodotto ha nel mercato locale. Ovviamente la cultura non è (solo) un “prodotto” e non può aderire totalmente a questa logica ma lo spunto è utile per sottolineare un aspetto che ritengo significativo: i tagli alla cultura si accompagnano sempre più a tagli alla formazione, anzi all’educazione del cittadino. Si minano in tal modo le basi che permettono a una risorsa, potenziale e locale, di poter perdurare e prosperare. Per analogia si uccide la potenzialità del mercato locale… Il processo è ben più complesso della sintesi cui siamo ormai abituati – i cosiddetti “tagli alla cultura” – e ha a che fare con una visione del mondo imperante che pare essere riduzionista e semplificativa. Insomma, facciamo una buona scuola e, nel giro di qualche tempo, non sentiremo più parlare di tagli alla cultura.

FULVIO GIANARIA
presidente della fondazione per l’arte crt – cassa di risparmio di torino
Tagli orizzontali e finanziamenti a pioggia sono sintomi della medesima malattia: l’incapacità, la non volontà di svolgere un’attività erogativa che segua protocolli selettivi destinati a sostenere i progetti di qualità. Spesso chi finanzia non ha le risorse umane o economiche per esercitare una selezione sulle domande né per controllare i risultati delle iniziative; di conseguenza il modus operandi diventa l’erogazione a pioggia. Altre volte inconfessate ragioni mirate a raccogliere un consenso ampio sono la base di tale modo di operare. In ogni caso, il risultato in termini di produzione culturale sarà modesto. Insomma, più che la dimensione, la priorità è come vengano spese le risorse disponibili. La nostra politica è definire una missione con la comunità di riferimento, poi scegliere progetti di qualità che rispondano alle esigenze di tale missione. Anche se i danari sono pochi, quando vengono spesi a favore del meglio, possono avere ricadute importanti. I modelli per l’intervento pubblico sono molteplici, dipende dalle priorità. Noi abbiamo scelto il rafforzamento delle collezioni di GAM di Torino e Castello di Rivoli e poi solo tre progetti ogni anno. Poco spazio al glamour degli eventi, perché preferiamo il potenziamento del patrimonio e cercare di diffondere in città un’atmosfera creativa e partecipativa alle attività dei vari soggetti. Pensiamo sia un modello esportabile anche a un assessorato coraggioso.

BEATRICE TRUSSARDI
imprenditrice
Come sempre in Italia, quando bisogna stringere la cinghia, si eliminano i già esigui fondi destinati all’attività culturale. Probabilmente è tanto radicata l’idea superba che il nostro turismo si fondi su radici così solide – monumenti straordinari, raccolte meravigliose, capolavori inestimabili – che non abbia bisogno di essere continuamente alimentato da ricerca, sviluppo e novità. In un’ottica generale l’idea che si possa, in un momento di difficoltà, tagliare un poco a ciascuno è di per sé ragionevole, ma dimostra una totale assenza di progettualità: non si sceglie dove investire, perché non esiste una direzione precisa e non ci sono le persone che possano indicarla. Non basterebbe neppure spendere meglio ciò che si investe, la vera necessità è che il pubblico impari a scegliere: preferire un progetto a un altro, una professionalità a una diversa, sono gesti che hanno un valore inestimabile. Dobbiamo ricominciare a parlare di saper fare, di professionalità, di capacità d’innovazione; valori importantissimi negli Stati Uniti, in Cina, in India, ma dimenticati in Italia. La soluzione? Guardare un po’ oltre il proprio naso, coinvolgere personalità internazionali e rimettere la qualità al centro del ragionamento sulla cultura. La qualità è tutto, ed è prima di tutto un valore economico.

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