Hugo Pratt / Corto Maltese: la libertà come modo di vivere
Chi non ha letto almeno una delle storie di Corto Maltese, il marinaio romantico e solitario eternamente sospeso fra realtà e sogno, e non si è chiesto quanto di autobiografico ci fosse nel personaggio e nelle sue avventure. Ora un libro di Silvina Pratt ci permette di rispondere a questa domanda.
Michele Serra
Una vita con Corto Maltese
«La persona più libera che io abbia mai conosciuto». Così Milo Manara sul suo amico e maestro Hugo Pratt, nato a Rimini nel 1927, vissuto nel mondo (Etiopia, Venezia, Baires, Londra, New York, Parigi, più gli infiniti viaggi per ovunque), morto in Svizzera nel 1995. Quattro figli da due mogli, più altri incogniti frutti delle sue scorrerie d' amore lungo il pianeta Terra, almeno uno dei quali non è carnale e merita di essere citato perché rivela molto della sua sconquassante generosità: in Amazzonia riconobbe il bambino (non suo) di una ragazza india, a lui sconosciuta, solo per farle avere dei fondi governativi… dunque probabilmente esiste, nel sub-continente, un ragazzo indio di cognome Pratt (origine bretone), non figlio di Hugo eppure segnato, come un personaggio di Corto Maltese, dal fantastico meticciato tipico del pennino del Maestro…
Se ho voluto iniziare questa difficile ricognizione su Pratt con la frase - perfetta - di Manara, è perché la parola "libertà" esprime lo smisurato Hugo, e la sua opera, come nessun' altra. Libertà cercata costi quello che costi, libertà come miraggio e come ossessione, libertà imposta a se stesso e inflitta agli altri, libertà di artista tanto celebrato quanto dissoluto (ai figli non ha lasciato eredità, se non il suo monumentale ricordo), libertà politica che gli costò qualche ridicola accusa di "fascismo", lui innamorato della cultura ebraica, antirazzista fino al midollo, anarchico, odiatore di ogni pensiero massificato. Infine, libertà umana inflitta agli altri, e a se stesso, con una determinazione quasi disperata, dividendo con chi amava e lo ha amato l' intero prezzo della solitudine e degli abbandoni.
Questo Pratt privato, affascinante quanto ingombrante, sensibile quanto fuggiasco, emerge con intensità quasi straziante dal libro della figlia Silvina, pubblicato in Francia tre anni fa e ora tradotto in italiano. Libro dolcissimo, intenso, intimo, gremito di fotografie e disegni, spasmodico tentativo di una figlia di ridare "il posto giusto" a cotanto padre, e a se stessa, attraverso una collazione di ricordi, impliciti rimproveri, dichiarazioni d' amore, lucide confidenze sulla difficoltà estrema di mantenere intatto un rapporto intermittente, frantumato, difficilissimo.
Pratt non sopportava che lo si chiamasse papà, dal concetto di famiglia era terrorizzato quanto era attratto dalla necessità di un baricentro affettivo che lo confortasse al ritorno dalle sue infinite partenze, il classico marinaio che cerca il porto per rifuggirne subito, irrequieto, febbrile, imprendibile. Pratt spedisce moglie e figli in altre città, avamposto della sua smania di cambiare, sperimentarsi altrove, e il raggiunge solo mesi dopo. Pratt quando c' è monopolizza la scena, canta, suona, disegna, parla, mangia, beve, racconta, discute, ride, riceve amici, si fa massaggiare i piedi, quando non c' è apre un vuoto pari alla sua colossale presenza. Egoista, si direbbe banalmente, se il suo ego seduttore, coinvolgente anzi travolgente, il suo fascino di grande viaggiatore e di artista indiscusso, non soverchiasse perfino quella parola: il mondo pullula di egoisti silenti e sfuggenti, di egoismi che non lasciano traccia, che feriscono solo per viltà. Non così il padre di Jonas, Lucas, Marina e Silvina Pratt, che di tracce (e di cocci, di dolori, di gioie, di figli) ha disseminato il suo viaggio. Tanto che il libro, che avrebbe potuto intitolarsi Senza Hugo per quante sono le mancanze di Pratt nei confronti dei suoi, si chiama al contrario Con Hugo, rivendicando in ogni pagina, quasi in ogni riga, la potenza e la fertilità dell' uomo, la sua presenza magnetica anche quando scompariva senza dare notizia di sé. Il classico "neanche una cartolina".
«Per seguire la sua vocazione di vita, le sue chiamate - racconta ancora Milo Manara - non si peritava di mollare lì chiunque e qualunque cosa. Famiglie, persone, amici. Credo di essere stato uno di quelli che lui sopportava meglio, perché conoscevo a fondo il suo carattere, i suoi modi cangianti, e capivo di dovermene andare un istante prima che me lo dicesse lui. Aveva terrore di una cosa soltanto: la noia. Appena una situazione gli risultava deprimente, stagnante, poco espressiva, inutile alla sua ispirazione artistica, prendeva e se ne andava. Credo che solo un artista possa capire questa smania così monopolizzante, questa obbedienza esclusiva alla propria arte. Viveva solo per salvaguardare la sua opera, e dunque l' artista che la animava». «Era affascinante e insopportabile. Durissimo. Possedeva diplomazia in dose zero, era capace di essere il più socievole degli amici, il più travolgente degli showman, e appena dopo chiudersi del tutto, respingere chiunque. Era come il mare, il mare che lui ha tanto disegnato, lo stesso fascino e la stessa imprevedibilità, calmo e ospitale e un attimo dopo cupo e pericoloso».
Pratt era stato adolescente in Etiopia, figlio della colonizzazione fascista. Ma evidentemente si era lasciato segnare, in quel frangente, da volti, costumi, lingue e suoni che l' artista saprà trasformare, con miracoloso talento, in una sorta di cosmopolitismo umanitario modernissimo, quasi visionario nella capacità di intrecciare nelle sue storie tutte o quasi le razze, le religioni, le credenze politiche del pianeta. Tutte le sue storie sono incroci di culture, crocevia di razze, faccia a faccia tra i formidabili profili, gli sguardi taglienti che Pratt tracciava sulla pagina.
Corto Maltese, il suo eroe marinaio pubblicato e tradotto in quasi tutte le terre del mondo da lui raggiunte via mare, è «figlio di una gitana andalusa e di un marinaio bretone, nato a Malta e trascinato in Laguna». Pure se entro i confini epici (e dunque non retorici) del romanzo d' avventura, Corto non ha altra chiave se non questa: il mondo è uno e gli uomini si rassomigliano anche quando si odiano e si combattono. L' afflato che li unisce è l' insaziabile bisogno di scoprire e di scoprirsi. Di partire e tornare. Di vivere.
Quando Pratt, negli anni Settanta, avverte il pregiudizio politico contro il vitalismo di Corto (e suo), e si rende conto che il fumetto avventuroso è considerato un genere "d' evasione", l' esatto opposto dell' "impegno", non fa una piega. Non partecipa al dibattito su se stesso. Si limita a fare osservare agli intimi che gli basta e gli avanza l' Ulisse di Dante, «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza», per considerare il viaggio e l' avventura come un genere «rivoluzionario, addirittura eversivo». E quanto all' "evasione", faceva notare beffardo che la parola era ottima perché gli suggeriva piuttosto la fuga dal carcere, e la sete di libertà.
Manara ricorda qualche breve discussione, subito troncata da Pratt, con giovani estremisti che gli contestavano il presunto disimpegno politico: per lui l' avventura era in sé una dichiarazione politica, presupposto di una condizione umana libera e aperta al nuovo, agli orizzonti sconosciuti, alle persone ignote. Sempre Manara annota in margine (e condivido senz' altro) che molti dei critici di allora di Pratt, all' epoca ferrei tutori dell' ideologia comunista, sono poi tranquillamente approdati alla destra e al potere. Un lungo viaggio anche quello, chissà se Pratt lo avrebbe voluto e saputo disegnare…
Le fotografie (tante) del libro di Silvina ci mostrano un uomo di notevole bellezza, appesantito dalle infinite mangiate e bevute (al ristorante - ricorda la figlia - dopo avere finito la cena sosteneva che bisognava cominciare daccapo). Nonostante la pesantezza e i bagordi, il volto riesce ancora a rammentare i tratti giovanili, virili e regolari, da attore cinematografico, che Pratt in qualche modo provò a riportare sulla carta attribuendoli a Corto, che lui riteneva essere «un incrocio tra me e Burt Lancaster, il solo che potrebbe interpretarlo al cinema». Il suo alter ego disegnato, per dire il vero, accentuava, di Pratt, l' aria latina. Molti volti dei suoi personaggi erano «presi dalla vita», a cominciare da Anna della Giungla (uno dei suoi primi eroi) che era visibilmente ispirata alla seconda moglie (la madre di Silvina) Anne Frognier, una adolescente belga che Hugo, già sposato, conobbe a Buenos Aires, innamorandosene per la vita anche se con l' intermittenza nevrotica del suo andirivieni per il mondo.
Rimarrebbe da spiegare qualcosa del talento artistico di uno dei più grandi disegnatori del secolo scorso, che ha influenzato fortemente decine di disegnatori (in Italia, oltre a Manara, certamente l' Andrea Pazienza meno satirico e più pensoso). Manara lo definisce «un sottrazionista». Nel senso che la sua pagina, anno dopo anno, periodo dopo periodo, si libera lentamente dei chiaroscuri e degli ornamenti delle tavole giovanili, fino ad assumere una misteriosa, ineffabile purezza. Il Pacifico, l' ultimo Pacifico di Corto, è appena una linea, un orizzonte, eppure contiene il mare, il sole e il cielo per intero. I suoi volti - soprattutto i suoi profili - sono una specie di miracolo di semplicità, una linea appena che scorre dai capelli al mento eppure indica perfettamente un prototipo razziale, un carattere, uno sguardo sulla Terra. Molto del suo meglio nacque nella casa di Malamocco, estremità del Lido, racchiusa tra il mare aperto e la laguna, quasi appoggiata sugli scogli, una prua, un invito al viaggio. Silvina Pratt ricorda quell' appartamento con pagine tra le più intense, il senso di mare e di sconfinatezza, il senso di casa e di raccoglimento. I due sensi che diedero movimento e anima a Hugo Pratt e alla sua opera, quello della partenza e quello del ritorno, l' eterna odissea, il mare che accoglie e respinge, l' amore che aspetta, la miracolosa, dolorosa pazienza femminile. I cassetti con le fotografie che tanto tempo dopo una donna (una moglie, una figlia) raccoglie e vivifica. Infinite Penelopi sorreggono il viaggio di Ulisse, cercando anche senza l' illusione di trovarlo un bandolo, uno scopo, una direzione in quella linea sottile, infinita, che chiamiamo orizzonte.
(Da: La Repubblica — 06 luglio 2008)
Una vita con Corto Maltese
«La persona più libera che io abbia mai conosciuto». Così Milo Manara sul suo amico e maestro Hugo Pratt, nato a Rimini nel 1927, vissuto nel mondo (Etiopia, Venezia, Baires, Londra, New York, Parigi, più gli infiniti viaggi per ovunque), morto in Svizzera nel 1995. Quattro figli da due mogli, più altri incogniti frutti delle sue scorrerie d' amore lungo il pianeta Terra, almeno uno dei quali non è carnale e merita di essere citato perché rivela molto della sua sconquassante generosità: in Amazzonia riconobbe il bambino (non suo) di una ragazza india, a lui sconosciuta, solo per farle avere dei fondi governativi… dunque probabilmente esiste, nel sub-continente, un ragazzo indio di cognome Pratt (origine bretone), non figlio di Hugo eppure segnato, come un personaggio di Corto Maltese, dal fantastico meticciato tipico del pennino del Maestro…
Se ho voluto iniziare questa difficile ricognizione su Pratt con la frase - perfetta - di Manara, è perché la parola "libertà" esprime lo smisurato Hugo, e la sua opera, come nessun' altra. Libertà cercata costi quello che costi, libertà come miraggio e come ossessione, libertà imposta a se stesso e inflitta agli altri, libertà di artista tanto celebrato quanto dissoluto (ai figli non ha lasciato eredità, se non il suo monumentale ricordo), libertà politica che gli costò qualche ridicola accusa di "fascismo", lui innamorato della cultura ebraica, antirazzista fino al midollo, anarchico, odiatore di ogni pensiero massificato. Infine, libertà umana inflitta agli altri, e a se stesso, con una determinazione quasi disperata, dividendo con chi amava e lo ha amato l' intero prezzo della solitudine e degli abbandoni.
Questo Pratt privato, affascinante quanto ingombrante, sensibile quanto fuggiasco, emerge con intensità quasi straziante dal libro della figlia Silvina, pubblicato in Francia tre anni fa e ora tradotto in italiano. Libro dolcissimo, intenso, intimo, gremito di fotografie e disegni, spasmodico tentativo di una figlia di ridare "il posto giusto" a cotanto padre, e a se stessa, attraverso una collazione di ricordi, impliciti rimproveri, dichiarazioni d' amore, lucide confidenze sulla difficoltà estrema di mantenere intatto un rapporto intermittente, frantumato, difficilissimo.
Pratt non sopportava che lo si chiamasse papà, dal concetto di famiglia era terrorizzato quanto era attratto dalla necessità di un baricentro affettivo che lo confortasse al ritorno dalle sue infinite partenze, il classico marinaio che cerca il porto per rifuggirne subito, irrequieto, febbrile, imprendibile. Pratt spedisce moglie e figli in altre città, avamposto della sua smania di cambiare, sperimentarsi altrove, e il raggiunge solo mesi dopo. Pratt quando c' è monopolizza la scena, canta, suona, disegna, parla, mangia, beve, racconta, discute, ride, riceve amici, si fa massaggiare i piedi, quando non c' è apre un vuoto pari alla sua colossale presenza. Egoista, si direbbe banalmente, se il suo ego seduttore, coinvolgente anzi travolgente, il suo fascino di grande viaggiatore e di artista indiscusso, non soverchiasse perfino quella parola: il mondo pullula di egoisti silenti e sfuggenti, di egoismi che non lasciano traccia, che feriscono solo per viltà. Non così il padre di Jonas, Lucas, Marina e Silvina Pratt, che di tracce (e di cocci, di dolori, di gioie, di figli) ha disseminato il suo viaggio. Tanto che il libro, che avrebbe potuto intitolarsi Senza Hugo per quante sono le mancanze di Pratt nei confronti dei suoi, si chiama al contrario Con Hugo, rivendicando in ogni pagina, quasi in ogni riga, la potenza e la fertilità dell' uomo, la sua presenza magnetica anche quando scompariva senza dare notizia di sé. Il classico "neanche una cartolina".
«Per seguire la sua vocazione di vita, le sue chiamate - racconta ancora Milo Manara - non si peritava di mollare lì chiunque e qualunque cosa. Famiglie, persone, amici. Credo di essere stato uno di quelli che lui sopportava meglio, perché conoscevo a fondo il suo carattere, i suoi modi cangianti, e capivo di dovermene andare un istante prima che me lo dicesse lui. Aveva terrore di una cosa soltanto: la noia. Appena una situazione gli risultava deprimente, stagnante, poco espressiva, inutile alla sua ispirazione artistica, prendeva e se ne andava. Credo che solo un artista possa capire questa smania così monopolizzante, questa obbedienza esclusiva alla propria arte. Viveva solo per salvaguardare la sua opera, e dunque l' artista che la animava». «Era affascinante e insopportabile. Durissimo. Possedeva diplomazia in dose zero, era capace di essere il più socievole degli amici, il più travolgente degli showman, e appena dopo chiudersi del tutto, respingere chiunque. Era come il mare, il mare che lui ha tanto disegnato, lo stesso fascino e la stessa imprevedibilità, calmo e ospitale e un attimo dopo cupo e pericoloso».
Pratt era stato adolescente in Etiopia, figlio della colonizzazione fascista. Ma evidentemente si era lasciato segnare, in quel frangente, da volti, costumi, lingue e suoni che l' artista saprà trasformare, con miracoloso talento, in una sorta di cosmopolitismo umanitario modernissimo, quasi visionario nella capacità di intrecciare nelle sue storie tutte o quasi le razze, le religioni, le credenze politiche del pianeta. Tutte le sue storie sono incroci di culture, crocevia di razze, faccia a faccia tra i formidabili profili, gli sguardi taglienti che Pratt tracciava sulla pagina.
Corto Maltese, il suo eroe marinaio pubblicato e tradotto in quasi tutte le terre del mondo da lui raggiunte via mare, è «figlio di una gitana andalusa e di un marinaio bretone, nato a Malta e trascinato in Laguna». Pure se entro i confini epici (e dunque non retorici) del romanzo d' avventura, Corto non ha altra chiave se non questa: il mondo è uno e gli uomini si rassomigliano anche quando si odiano e si combattono. L' afflato che li unisce è l' insaziabile bisogno di scoprire e di scoprirsi. Di partire e tornare. Di vivere.
Quando Pratt, negli anni Settanta, avverte il pregiudizio politico contro il vitalismo di Corto (e suo), e si rende conto che il fumetto avventuroso è considerato un genere "d' evasione", l' esatto opposto dell' "impegno", non fa una piega. Non partecipa al dibattito su se stesso. Si limita a fare osservare agli intimi che gli basta e gli avanza l' Ulisse di Dante, «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza», per considerare il viaggio e l' avventura come un genere «rivoluzionario, addirittura eversivo». E quanto all' "evasione", faceva notare beffardo che la parola era ottima perché gli suggeriva piuttosto la fuga dal carcere, e la sete di libertà.
Manara ricorda qualche breve discussione, subito troncata da Pratt, con giovani estremisti che gli contestavano il presunto disimpegno politico: per lui l' avventura era in sé una dichiarazione politica, presupposto di una condizione umana libera e aperta al nuovo, agli orizzonti sconosciuti, alle persone ignote. Sempre Manara annota in margine (e condivido senz' altro) che molti dei critici di allora di Pratt, all' epoca ferrei tutori dell' ideologia comunista, sono poi tranquillamente approdati alla destra e al potere. Un lungo viaggio anche quello, chissà se Pratt lo avrebbe voluto e saputo disegnare…
Le fotografie (tante) del libro di Silvina ci mostrano un uomo di notevole bellezza, appesantito dalle infinite mangiate e bevute (al ristorante - ricorda la figlia - dopo avere finito la cena sosteneva che bisognava cominciare daccapo). Nonostante la pesantezza e i bagordi, il volto riesce ancora a rammentare i tratti giovanili, virili e regolari, da attore cinematografico, che Pratt in qualche modo provò a riportare sulla carta attribuendoli a Corto, che lui riteneva essere «un incrocio tra me e Burt Lancaster, il solo che potrebbe interpretarlo al cinema». Il suo alter ego disegnato, per dire il vero, accentuava, di Pratt, l' aria latina. Molti volti dei suoi personaggi erano «presi dalla vita», a cominciare da Anna della Giungla (uno dei suoi primi eroi) che era visibilmente ispirata alla seconda moglie (la madre di Silvina) Anne Frognier, una adolescente belga che Hugo, già sposato, conobbe a Buenos Aires, innamorandosene per la vita anche se con l' intermittenza nevrotica del suo andirivieni per il mondo.
Rimarrebbe da spiegare qualcosa del talento artistico di uno dei più grandi disegnatori del secolo scorso, che ha influenzato fortemente decine di disegnatori (in Italia, oltre a Manara, certamente l' Andrea Pazienza meno satirico e più pensoso). Manara lo definisce «un sottrazionista». Nel senso che la sua pagina, anno dopo anno, periodo dopo periodo, si libera lentamente dei chiaroscuri e degli ornamenti delle tavole giovanili, fino ad assumere una misteriosa, ineffabile purezza. Il Pacifico, l' ultimo Pacifico di Corto, è appena una linea, un orizzonte, eppure contiene il mare, il sole e il cielo per intero. I suoi volti - soprattutto i suoi profili - sono una specie di miracolo di semplicità, una linea appena che scorre dai capelli al mento eppure indica perfettamente un prototipo razziale, un carattere, uno sguardo sulla Terra. Molto del suo meglio nacque nella casa di Malamocco, estremità del Lido, racchiusa tra il mare aperto e la laguna, quasi appoggiata sugli scogli, una prua, un invito al viaggio. Silvina Pratt ricorda quell' appartamento con pagine tra le più intense, il senso di mare e di sconfinatezza, il senso di casa e di raccoglimento. I due sensi che diedero movimento e anima a Hugo Pratt e alla sua opera, quello della partenza e quello del ritorno, l' eterna odissea, il mare che accoglie e respinge, l' amore che aspetta, la miracolosa, dolorosa pazienza femminile. I cassetti con le fotografie che tanto tempo dopo una donna (una moglie, una figlia) raccoglie e vivifica. Infinite Penelopi sorreggono il viaggio di Ulisse, cercando anche senza l' illusione di trovarlo un bandolo, uno scopo, una direzione in quella linea sottile, infinita, che chiamiamo orizzonte.
(Da: La Repubblica — 06 luglio 2008)
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