FEDERICO PONTIGGIA – “Drive”, Refn e Gosling sulla strada del capolavoro
Applausi di critica e pubblico, epiteti scomodi (“il Tarantino danese”) e la miglior regia di Cannes 64. Cult per pochi, ora il regista rischia la fama planetaria: faccia da genietto e filmografia da genio, è Nicolas Winding Refn. I baci al suo protagonista Ryan Gosling, la polemica con Lars Von Trier, Cannes è passata, rimane il suo mix di action e mélo, rarefazione e furore. Con un nume tutelare da non crederci (Douglas Sirk!) e un guidatore senza nome, che si fa strada in una Los Angeles violenta e dolce, nichilista e romantica. Dal 30 settembre nelle nostre sale, è Drive: un capolavoro. Nicolas, come nasce Drive?Per molti anni Universal aveva cercato di farlo: budget di 40 milioni, un action da franchise, con Hugh Jackman. Non se n’è mai fatto nulla.
Poi è arrivato Ryan…
Sì, e non c’era ancora la storia dello stuntman: era solo un getaway driver, e non mi interessava molto. Ma sapevo che io e Ryan saremmo potuti arrivare a qualcosa di buono: la storia di un tipo metà uomo e metà macchina. Ho letto il libro e ci ho trovato lo stuntman, così l’ho integrato nella sceneggiatura: ecco Drive.
Gosling sia lodato: se Steve McQueen volle Peter Yates per Bullitt, lui ha voluto te.
Direi Lee Marvin che chiama John Boorman per Point Blank. Ho incontrato Ryan a pranzo, ma stavo male e non ho parlato molto. Finché non gli ho chiesto di riportarmi al mio hotel, dall’autoradio veniva I can’t fight this feeling: ho iniziato a cantarla, e all’improvviso ho capito che il cuore del film era un uomo che guida ascoltando musica pop.
Ma a Hollywood l’autorialità non è a rischio infarto?
Sopravvivi a Hollywood diventando all-road. Devi sempre pensare tre passi prima di tutti, ma ho avuto l’appoggio di Ryan al 100%: è lui il motivo principale per cui sono riuscito a fare il film che volevo.
Budget?
15 milioni di dollari, e non ti concedono tanto tempo perché girare a L.A. è molto costoso. Ma ho sempre creduto in meno soldi, perché ti garantiscono più controllo creativo: qui il budget era un po’ più alto, quindi ho dovuto essere un po’ più manipolatorio.
Trovato la quadratura del cerchio tra arte e soldi?
Cerchi sempre di trovare un equilibrio, ma non ne hai la garanzia: Hollywood è un’industria, e sei valutato sui soldi. Raramente si discute se il film sia più o meno buono: non che si vogliano fare film brutti, ma è un’altra prospettiva.
Tu che film hai voluto fare?
Una fiaba a Los Angeles. La mia più grande ispirazione sono state le fiabe, e che dire di questo driver? E’ mitologico, un ciclope.
La violenza è un fil rouge?
L’arte è un atto di violenza. E’ nel cinema, ma non per distruggere, bensì ispirare: violenza o no, è un’esplosione di emozioni.
Come la musica.
La musica è fondamentale per me: cerco sempre di trovarla presto, qualche volta addirittura quando scrivo. La musica è una droga.
Qualcuno ti definisce il Tarantino europeo: che ne pensi?
Non ci penso molto. Rispetto Tarantino, ma facciamo film diversi: ad accomunarci è l’amore per il cinema.
A chi, viceversa, ti senti più vicino?
Douglas Sirk: ha fatto melodrammi stupendi.
Federico Pontiggia
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