REPORTAGE
A Londra, tra gli scaffali lunghi 600 chilometri
British Library. Ci sono voluti 35 anni per costruirla. L’architetto St John Wilson definì l’impresa «la mia guerra dei 30 anni»
E' uno dei pochi luoghi che resiste all’assedio della cacofonia
urbana di Londra e offre un servizio pubblico dal valore incalcolabile.
La venerabile British Library è una delle istituzioni di riferimento
del sapere occidentale e globale, dalla Magna Carta ai testi autografi
dei Beatles. È custodita in un edificio modernistared-brick violentemente criticato per le
impossibili lungaggini nella realizzazione e nell’incontrollabile
levitare dei costi, tanto da minare la reputazione del suo creatore,
l’architetto Colin St John Wilson. Ma per quanto l’eccellenza estetica del
progetto sia opinabile, la sua funzione ultima — provvedere un facile
e rapido accesso a un immane patrimonio di conoscenze, circa 170
milioni di pezzi fra libri, riviste, quotidiani, rotocalchi, registrazioni
audio, brevetti, database, mappe, filatelia, stampe, disegni e manoscritti,
parte dei quali stipata su oltre seicento chilometri di scaffalature —
la svolge egregiamente.
La zona in
cui sorge è uno dei più centrali ex-slum londinesi: l’infinito cantiere
fu il primo grande passo della riqualifica di King’s Cross, zona della stazione
fino a vent’anni fa crocevia di spaccio di eroina e ora nuovo
cuore pulsante della Londra ultra-terziarizzata, con il terminal
dell’Eurostar nell’attigua stazione di St Pancras, a sua volta rinnovata
completamente di recente. Il piazzale antistante, che St John Wilson
ambiva diventasse una piazza vera e propria, capace di attrarre il
flusso di viaggiatori ferroviari provenienti da St. Pancras,
è forse il più vistoso tallone d’Achille del progetto. Né i differenti
livelli della pavimentazione, né la grande statua di Newton di Eduardo
Paolozzi,riescono ad invitare al piacere di uno spazio pubblicamente condiviso.
Di viaggiatori, nemmeno l’ombra. Ma in una rara giornata di sole è sempre
piacevole recarvisi per sfuggire all’abbraccio a temperatura controllata
(21°C permanenti in inverno ed estate, umidità al 50%, libri conservati
a 17°C) di tutto il complesso.
La mole
infinita di libri rende impossibile la consultazione diretta da parte
degli utenti, salvo che per le referenze bibliografiche. Un impressionante
sistema di trasporto su nastro meccanico garantisce il dispaccio dei
testi richiesti attraverso i terminal di consultazione del catalogo
online. Fiore all’occhiello della biblioteca sono le sale di lettura, Humanities
I e II, situate ai rispettivi piani. Una volta depositati i propri
effetti personali (non sono consentite borse che non siano quelle trasparenti
della biblioteca e il personale vigila con zelo a volte eccessivo
affinché non siano introdotte penne di qualunque tipo il cui inchiostro
possa imbrattare i testi; uniche ammesse, le matite). Dopo aver mostrato
il proprio reader’s pass all’ingresso, ci si ritrova in degli ambienti vasti,
dove il silenzio è appena rotto dall’impercettibile sfrigolio delle
meningi di centinaia di lettori. I lignei banchi di lettura sono
straordinariamente comodi e solidi. Tutto l’edificio è collegato
alla rete senza fili. Quando i testi sono disponibili, s’illumina il
display del rispettivo numero di scrivania: ci si può recare al banco principale
per ritirare i testi prenotati. Questi possono essere mantenuti in
lettura relativamente a lungo, basta specificarlo una volta che li
si restituisce a fine giornata, alle otto della sera nei giorni
feriali. Vi sono infiniti pretesti per fare una sosta: ci sono mostre allestite
nell’edificio, si può continuare a lavorare nelle caffetterie, dal
cui cibo — come nelle mense in terra britannica — è auspicabile
tenersi lontani. La cosa eccezionale è che un simile, formidabile
apparato di ausilio della conoscenza sia gratuito e che non si debba
essere un accademico dei Lincei per avervi accesso. Da qualche anno,
l’estensione dell’ingresso agli studenti delle superiori, che si accampano
ovunque con i loro laptop e le loro invisibili, intricatissime
reti di comunicazione virtuale, ha fatto tuttavia storcere un po’ di
accademici nasi.
Nessuno
s’illudeva che spostare la British Library dalla leggendaria sede del British
Museum a Bloomsbury, nella cui sala di lettura sono state scritte
e ricercate infinite opere — non da ultimo, com’è noto, Il Capitale di Marx — fosse cosa facile. Per molti
anni le varie collezioni sono state sparse in vari altri edifici dentro
e fuori Londra: al British Museum appunto, a Chancery Lane,
a Bayswater, a Holborn e con un’emeroteca nel quartiere
a Nord-Est di Colindale. La realizzazione dell’opera, commissionata
nel 1962 e compiuta solo nel 1997 dopo ritardi e disavventure,
è in stridente contrasto con l’aura di specchiato efficientismo che
di solito ammanta le opere pubbliche nordeuropee a occhi mediterranei:
tanto che St John Wilson aveva preso a chiamarla «la mia guerra dei
trent’anni».
È vero,
c’è voluto più che a costruire la cattedrale di St. Paul: ma una delle
specifiche della commessa era che l’edificio durasse come minimo un paio di
secoli. Anche qui di cattedrale si tratta, una cattedrale laica: il più
vasto edificio pubblico costruito nel Regno Unito nel XX Secolo. Quanto allo
sprezzante giudizio dell’erede al trono Charles, che la definì «la sala
delle adunate di un’accademia di polizia» è di per sé sufficiente
a incoraggiare la riabilitazione architettonica di simili
accademie.
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