Lotte di bande nella giungla metropolitana
Noir. «Le notti delle pantere» di Piergiorgio Pulixi per le edizioni e/o. Una guerra di bande per poliziotti corrotti e politici collusi con la criminalità organizzata
Il branco è tornato.
A circa due anni dall’uscita di Una
brutta storia (edizioni e/o) – recensito sul
«manifesto» del 31 maggio 2012 – Piergiorgio Pulixi riprende a narrare
la storia dell’ispettore della narcotici Biagio Mazzeo e della sua
squadra di poliziotti corrotti e criminali in La notte delle pantere (pp.
286, euro 16,50) pubblicato di recente dalle edizioni e/o, sempre
all’interno della collana «Sabot/age», diretta da Colomba Rossi e curata
da Massimo Carlotto. Il nuovo romanzo inizia praticamente dove era finito
il precedente. Dopo lo scontro vittorioso con il clan dei ceceni di Ivankov,
il branco è entrato in possesso di una partita di droga appartenente
alla mafia calabrese, si è liberato degli oppositori – soprattutto di
quello più pericoloso, il superiore di Mazzeo, che cercava di incastrarlo
– e sembrava ormai padrone delle strade della città, la «Giungla», come
la chiamano loro.
L’esordio del nuovo romanzo è fulminante e ribalta completamente la situazione. Biagio Mazzeo è in carcere, accusato dell’omicidio del suo capo. Anche Claudia Braga, vicecapo della banda di sbirri, viene arrestata. I calabresi, dopo aver ucciso il vecchio mentore di Mazzeo, rivogliono la droga e minacciano i poliziotti appatenenti alla banda e le loro famiglie. E, per finire, un’avvenente dirigente del Servizio centrale operativo della polizia, Irene Piscitelli, espressione dei poteri occulti che guidano e governano lo stato, contatta il protagonista, ricattandolo, affiché esegua una missione sporca e soprattutto suicida: fermare la guerra di ‘ndrangheta che vede contrapposti i clan calabresi a quelli insediatisi nel Nord.
Con il caratteristico stile adrenalinico di Piergiorgio Pulixi, la vicenda si sviluppa, spietata e violenta. Gli avvenimenti si susseguono lasciando il lettore quasi senza respiro. Certo, non manca, come nel romanzo precedente, una caratterizzazione approfondita della psicologia dei personaggi che mette a nudo i loro dubbi, le loro incertezze, le loro pulsioni, rendendoli effettivamenti umani. Capace, inoltre, di far emergere le sfumature, per cui pur usando tinte forti, la scrittura di Pulixi diventa in grado di mostrare la parte umana dei corrotti e la parte corrotta di quelli che sembrerebbero i buoni.
Ma, tra assalti, pestaggi, sparatorie, quello che emerge è il ritratto di una città e di una società marcia e corrotta. Dove le mafie si legano alle istituzioni, i governatori vengono eletti praticamente dai clan, gli intrecci tra criminalità organizzata, politica, giustizia sono la regola. Dove, ancora una volta, la lotta è solo tra «cattivi». E anche chi vorrebbe imporre la giustizia viene manipolato o stritolato oppure si piega alle esigenze del potere. Questa volta, inoltre, è come se la corruzione infettasse i meccanismi interni, le relazioni tra i componenti del branco. Se nel primo libro il guppo di poliziotti era una famiglia, dove ognuno si fidava ciecamente dll’altro, dove tutte le informazioni erano condivise così come le scelte da prendere, adesso emergono divisioni, contrasti, tradimenti. E Mazzeo inizia sempre più ad assomigliare al suo vecchio nemico, Ivankov, assumendo i tratti del capo solitario che decide da solo, non comunica agli altri ciò che sta avvenendo, manipola i suoi stessi uomini. Una separazione e una somiglianza quasi rappresentata concretamente dall’anello – anello del potere? – che Mazzeo indossa sempre e che ha sottratto proprio al capoclan ceceno.
Un avvertenza finale: La notte delle pantere – come si usa dire – è un romanzo godibile anche se non si è letto Una brutta storia, ma, mai come in questo caso, per coglierne appieno sfumature, sottotrame, sottigliezze sarebbe consigliabile leggere anche il precedente.
L’esordio del nuovo romanzo è fulminante e ribalta completamente la situazione. Biagio Mazzeo è in carcere, accusato dell’omicidio del suo capo. Anche Claudia Braga, vicecapo della banda di sbirri, viene arrestata. I calabresi, dopo aver ucciso il vecchio mentore di Mazzeo, rivogliono la droga e minacciano i poliziotti appatenenti alla banda e le loro famiglie. E, per finire, un’avvenente dirigente del Servizio centrale operativo della polizia, Irene Piscitelli, espressione dei poteri occulti che guidano e governano lo stato, contatta il protagonista, ricattandolo, affiché esegua una missione sporca e soprattutto suicida: fermare la guerra di ‘ndrangheta che vede contrapposti i clan calabresi a quelli insediatisi nel Nord.
Con il caratteristico stile adrenalinico di Piergiorgio Pulixi, la vicenda si sviluppa, spietata e violenta. Gli avvenimenti si susseguono lasciando il lettore quasi senza respiro. Certo, non manca, come nel romanzo precedente, una caratterizzazione approfondita della psicologia dei personaggi che mette a nudo i loro dubbi, le loro incertezze, le loro pulsioni, rendendoli effettivamenti umani. Capace, inoltre, di far emergere le sfumature, per cui pur usando tinte forti, la scrittura di Pulixi diventa in grado di mostrare la parte umana dei corrotti e la parte corrotta di quelli che sembrerebbero i buoni.
Ma, tra assalti, pestaggi, sparatorie, quello che emerge è il ritratto di una città e di una società marcia e corrotta. Dove le mafie si legano alle istituzioni, i governatori vengono eletti praticamente dai clan, gli intrecci tra criminalità organizzata, politica, giustizia sono la regola. Dove, ancora una volta, la lotta è solo tra «cattivi». E anche chi vorrebbe imporre la giustizia viene manipolato o stritolato oppure si piega alle esigenze del potere. Questa volta, inoltre, è come se la corruzione infettasse i meccanismi interni, le relazioni tra i componenti del branco. Se nel primo libro il guppo di poliziotti era una famiglia, dove ognuno si fidava ciecamente dll’altro, dove tutte le informazioni erano condivise così come le scelte da prendere, adesso emergono divisioni, contrasti, tradimenti. E Mazzeo inizia sempre più ad assomigliare al suo vecchio nemico, Ivankov, assumendo i tratti del capo solitario che decide da solo, non comunica agli altri ciò che sta avvenendo, manipola i suoi stessi uomini. Una separazione e una somiglianza quasi rappresentata concretamente dall’anello – anello del potere? – che Mazzeo indossa sempre e che ha sottratto proprio al capoclan ceceno.
Un avvertenza finale: La notte delle pantere – come si usa dire – è un romanzo godibile anche se non si è letto Una brutta storia, ma, mai come in questo caso, per coglierne appieno sfumature, sottotrame, sottigliezze sarebbe consigliabile leggere anche il precedente.
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