I miei gomiti e le tue ginocchia sono imbarazzanti.
Piove. Oh, se piove.
Guardo da dietro la finestra. È scesa già la notte. E piove. Oh, se piove. Ma l’avevano detto, alla tv, che sarebbe piovuto. Ah, sì, e pure tanto. Che sarebbe piovuto. Oh, se l’avevano detto.
Un lampo, un tuono. Piove parecchio.
Chissà se il seme di tapioca che ho piantato in giardino ne risentirà. Chissà se questa pioggia gli farà bene.
Oh, sì, magari gli farà proprio bene.
Guardo da dietro la finestra. È scesa già la notte. E piove. Oh, se piove. Ma l’avevano detto, alla tv, che sarebbe piovuto. Ah, sì, e pure tanto. Che sarebbe piovuto. Oh, se l’avevano detto.
Un lampo, un tuono. Piove parecchio.
Chissà se il seme di tapioca che ho piantato in giardino ne risentirà. Chissà se questa pioggia gli farà bene.
Oh, sì, magari gli farà proprio bene.
Bussano alla porta.
È Gertrude con il suo gustoso carico di caramelle a scansione.
– Ma guarda come sei bagnata – le dico – va’ ad asciugarti, va’.
– No, no – dice lei scuotendo il capo – prima le caramelle. Dài, mangiamone un paio.
Gertrude mi porge il sacchetto. Dentro ci sono due confezioni di caramelle a scansione, di quelle che piacciono a me.
– Ah, sei unica – le dico sorridendo – devono essere proprio buone, queste caramelle.
– Sì, sì – dice lei. – Àprile, àprile!
– Le apro? Sul serio?
– Sì, sì! Dài, àprile.
Scarto una confezione, prendo una caramella, la metto in bocca, chiudo gli occhi e sollevo il mento. Mi sfugge un gemito di piacere.
– Allora? Sono buone? – domanda Gertrude prendendone un paio pure lei.
– Mmh – dico – sono buo-nis-si-me!
– Sono stata brava?
– Bravissima!
Mangio un’altra caramella. E un’altra. Un’altra. Un’altra. E un’altra ancora. Un’altra ancora. E un’altra ancora.
Gertrude si leva le scarpe, si asciuga il viso e le braccia.
Poi ci prendiamo per mano e iniziamo a danzare intorno al tavolo della sala da pranzo.
Danziamo e sorridiamo, cantiamo e danziamo, danziamo e ascoltiamo il rumoreggiare sciocco della pioggia, mentre sui muri umidi e scrostati le sagome dei demoni si schiudono come ampolle di miele misurando il vuoto che separa i nostri corpi dal fiato caldo della realtà.
Di colpo non danziamo più. Non sorridiamo più.
Restiamo così, occhi negli occhi, mano nella mano, granelli di pelle frammischiati ai sospiri, in quel morso mutevole e rabbioso che gli esseri umani chiamano angoscia.
– Ma guarda come sei bagnata – le dico – va’ ad asciugarti, va’.
– No, no – dice lei scuotendo il capo – prima le caramelle. Dài, mangiamone un paio.
Gertrude mi porge il sacchetto. Dentro ci sono due confezioni di caramelle a scansione, di quelle che piacciono a me.
– Ah, sei unica – le dico sorridendo – devono essere proprio buone, queste caramelle.
– Sì, sì – dice lei. – Àprile, àprile!
– Le apro? Sul serio?
– Sì, sì! Dài, àprile.
Scarto una confezione, prendo una caramella, la metto in bocca, chiudo gli occhi e sollevo il mento. Mi sfugge un gemito di piacere.
– Allora? Sono buone? – domanda Gertrude prendendone un paio pure lei.
– Mmh – dico – sono buo-nis-si-me!
– Sono stata brava?
– Bravissima!
Mangio un’altra caramella. E un’altra. Un’altra. Un’altra. E un’altra ancora. Un’altra ancora. E un’altra ancora.
Gertrude si leva le scarpe, si asciuga il viso e le braccia.
Poi ci prendiamo per mano e iniziamo a danzare intorno al tavolo della sala da pranzo.
Danziamo e sorridiamo, cantiamo e danziamo, danziamo e ascoltiamo il rumoreggiare sciocco della pioggia, mentre sui muri umidi e scrostati le sagome dei demoni si schiudono come ampolle di miele misurando il vuoto che separa i nostri corpi dal fiato caldo della realtà.
Di colpo non danziamo più. Non sorridiamo più.
Restiamo così, occhi negli occhi, mano nella mano, granelli di pelle frammischiati ai sospiri, in quel morso mutevole e rabbioso che gli esseri umani chiamano angoscia.
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