La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Dettagli di un sorriso

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Il calcio dell' Asino

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NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

sabato 21 giugno 2014

Parole come silhouettes

da il manifesto

Parole come silhouettes

Poesia. La raccolta in versi «Come i coralli» di Nicoletta Bidoia e i suoi teatrini fatti a mano
La poe­tessa non è una donna che se ne sta con le mani in mano. Lavora. Nico­letta Bidoia in poe­sia scrive versi, in pra­tica, a libro chiuso, costrui­sce tea­trini di carta. In entrambi que­sti mondi, s’aggirano figure leg­gère: parenti, sco­no­sciuti trat­teg­giati sullo fondo della sto­ria, ma tro­viamo anche figure cele­bri tratte dall’opera lirica, dalla danza, dalla let­te­ra­tura: ciò che acco­muna poe­sia e lavoro qui è la carta. Come foglio per la scrit­tura e come cosa mate­riale da tagliare, incol­lare, pie­gare in ver­ti­cale: in ogni caso, sono pagine o archi­tet­ture da cui emer­gono mondi fra­gili, sem­pre sul punto di crol­lare. Sono mondi sem­plici, mondi addor­men­tati nella memo­ria popo­lare, micro­co­smi che sognano in se stessi la ferma coe­sione dei coralli. Come i coralli è il titolo della recente rac­colta di poe­sie di Nico­letta Bidoia, per La Vita Felice (pp.78. euro 13). Nel libro, la prima sezione è un fami­liare attra­ver­sa­mento del secolo, il Nove­cento. Sullo sfondo, c’è la Sto­ria, e il bina­rio su cui corre la scrit­tura ne riporta il sonoro. Dal fra­gore della guerra al rumore del turno di lavoro, dal turno di lavoro all’opera ascol­tata alla radio: «Tor­nare a casa, tor­nare ai cari nomi / al tor­nio in fab­brica da Monti e alle lotte / e ascol­tare in Tea­tro Bastia­nini, la Tebaldi (…) e arri­vare fin qui, ai 92, nel ’13, lui / socia­li­sta di Nenni e Per­tini a impre­care con­tro il Cava­liere (…)».
Qui qual­cuno canta. E pare lo sfondo di un’opera moderna, quel can­tic­chiare a bassa voce lavo­rando è la rico­stru­zione d’una scena popo­lare: in casa l’opera, con l’orecchio alla radio, fuori Ban­diera Rossa, saet­tando in bici. Si intra­ve­dono altri tempi, altri luo­ghi e se in casa echeg­gia a quell’amor ch’è pal­pito fuori c’è Guido che da Tre­viso corre alla Fenice su due ruote. «La lirica in fami­glia era così: log­gioni come il pane quo­ti­diano». Nella seconda sezione del libro, inti­to­lata Silenzi, il tempo è quello in atto e si attua un pas­sag­gio: le poe­sie per­dono il titolo. È la descri­zione del momento in cui la poe­tessa si mette al lavoro e rac­conta «le ore beate del rita­glio (…)».
Nella terza sezione, Par­lami, entriamo più diret­ta­mente nei tea­trini di carta. «Nel col­lage ho messo insieme / Caproni che cam­mina con Sereni / (e solo per­ché di Penna non ho figure intere).… Poi la Carpi che viva scal­pita nel bordo/(…)». «Un via­vai di morti che s’intrecciano ai vivi». Ed è l’anello più sor­pren­dente di que­sta poe­tica: chiuso il libro, sorge il tea­trino e lì esseri e cose rina­scono un’altra volta. Come da un log­gione, sul sonoro s’innesta il visi­bile: sulla carta ormai ver­ti­cale, figu­rine si muo­vono, par­lano, s’asciugano gli occhi, sven­gono. Escono pian­gendo e rien­trano ridendo, come se niente fosse.
Nico­letta Bidoia rita­glia, piega, attacca, alle mani affida un com­pito che appare bene­detto e chiaro a tutti : sem­pre vanno insieme scri­vere e fare. Un libro, un col­lage. Un ricamo, un cap­pello, un vestito. Poe­sia non è altro che que­sto poiein, que­sto fare che ci tiene final­mente a testa china. Come anti­che figure, sapienti e oscure, come sta­tue semo­venti in un rifu­gio. Che pace quell’essere lì, quel tor­nare agli avi, quel ritro­vare una parente, un’antenata: «stava china giorni all’uncinetto/su cen­ti­naia di presine/così ti ricordi di me e non ti scotti».
Siamo qui, non c’è dub­bio. E da qui a là il passo è breve. Là, nella carta dipinta una tenda, una piega, un bot­tone. Una Tosca, una Tra­viata – la Cal­las! – là donne e uomini rien­trano can­tando… E qui, nel tea­tro inte­riore, paral­lelo, un altro sipa­rio s’è alzato: com­pare una stanza, una radio e seduto lì accanto un essere umano can­tic­chia, tam­bu­rella con le dita: A quell’amor ch’è pal­pito
In fondo al libro, alcune note dell’autrice rive­lano, come in un casting, nomi più o meno noti: Nureyev, Scar­latti, Cic­co­lini, Fla­iano… nomi, date, cose pre­cise che realtà poe­ti­ca­mente acui­scono il mistero. Siamo nella realtà? Que­sto mondo non è vir­tuale, è di carta. È fug­ge­vole, eppure tende al corallo, ciò che è più fra­gile si rin­sal­derà.
«Il corallo dopo­tutto è come noi». «Pare uno/ ma sono tanti i tre­mori che lo fanno».

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