LA LINGUA È STANCA IL LUOGO COMUNE AVANZA (Guido Ceronetti)
Il luogo comune, sciagura a noi, è il linguaggio , ormai, è il parlato italiano della fine. Ne elenco un certo numero: anche un piccolo esito (cento, duecento bravi che lo escludano dalle loro comunicazioni verbali, specie se pubbliche) merita il canto di Simonide per i caduti delle Termopili. Cominciamo dal più logoro, dal più scopino di latrina infetta, dal rifugio di tutti i predicanti: rimboccarsi le maniche!
Posso dire che, nella mia lunghissima carriera scribacchina, non l’ho mai usato: lo scrivo adesso soltanto per svergognarlo, additarlo al disprezzo, schernirlo.
È il re dei luoghi comuni, un non invidiabile trono. È il transito obbligatorio di tutte le scempiaggini politiche. Signore Iddio, sappiamo quanto sei tirchio nell’elargire salvezze, ma dà orecchio a questo granellino di senape di supplica: liberaci dalle maniche rimboccate, dai loro rimboccatori, dall’ideologia rimbocchista, dal rimbocchimento generale dell’italiano medio e universitario.
Tradotta in sermone legittimo la locuzione significa molto semplicemente “lavorare con impegno”, cosa che a nessuno piace, mentre a rimboccarsi le maniche tutti sono pronti sempre. La metafora è di epoca agricola (tra il Gesualdo verghiano e il Doganiere Rousseau) ed è forse ancora perspicua in sopravvissute gare bocciofile. Oggi i benemeriti dei lavori agricoli hanno maniche corte e canottiere di filo di Scozia fragranti. Ma avrete visto il cavalier Mussolini in piedi sulla trebbiatrice, a torso nudo, tra i covoni dorati e le massaie incinte: come si sarebbe rimboccate le maniche, pur operando con tanto impegno per l’Istituto Luce?
Ritagliatevi questa superba colonna e tenete le maniche al loro posto, lontano dalle tentazioni del Maligno.
Ve ne servo altre, tutti ad altissima diffusione mediatica, scolastica, famigliare, buoni per tutte le occasioni, sempreverdi per tutte le interviste, disseminati in tutti i convegni culturali.
Il contesto globale. In quest’ottica. Si assumano le loro responsabilità. A trecentosessanta gradi. Va focalizzato. La piccola e media impresa. È nel nostro Dna. È calato nei sondaggi. Al minimo storico. Su base annua. Fuori dal tunnel. La locomotiva tira. Giovani e meno giovani. Lo Stato è presente. Si sono chiamati fuori. Un vera chicca. Si sta ancora scavando in cerca di altre vittime. Le sinergie presenti sul territorio. Nel mirino degli inquirenti. La fuga dei cervelli. Vai su WU-WU-WU. Siamo un polo di eccellenza. Subito le riforme. Le soglie di povertà. Spalmati sul territorio. Una gigantesca caccia all’uomo. Le fasce a rischio. La dieta mediterranea. Di tutto e di più. Tutto e il contrario di tutto. Le criticità. Gli uomini-radar. L’emergenza rifiuti. Ci vuole un nuovo soggetto politico. Non abbassare la guardia. La microcriminalità. Non va demonizzato. La stragrande maggioranza. Il colosso mediatico. Il Made in Italy. Pitti Uomo. Poi l’affondo. L’impatto ambientale. Sette chilometri di coda. Incasso record. Pesanti apprezzamenti. Un’Europa che guarda al futuro. Più fondi per la ricerca. È iniziato il controesodo. Stuprata dal branco. Dare un segnale forte. Le sostanze dopanti. Liberalizzare le droghe leggere. Varato il piano. La strada è tutta in salita. Si commenta da sé. Non ho la palla di cristallo. Ci sono luci e ombre. Approcciarsi alle problematiche. Le quote rosa. Bere molta acqua. Gli intrecci mafia-politica. Il presunto assassino. La malasanità. Errore umano. Molta frutta e verdura. A tasso zero. Accetto per il bene del Paese. È un Far West. È un film dell’orrore. L’ospizio-lager. Da lasciare ai giovani. Non arrivano alla fine del mese. Più tecnologia. La stanza dei bottoni. La costituzione più bella del mondo. Sull’orlo dell’abisso. È stato segretato. È stato desegretato. È stato risegretato. Assolutamente sì.
Assolutamente sì.
Mi fermo qui per potermi ricaricare, non ci vorrà molto. Una pausa per non rimboccarmi troppo le maniche.
Purtroppo la prevalenza del luogo comune indica una patologica stanchezza della lingua, un progressivo spegnimento di creatività, di cui non è difficile diagnosticare le cause, comuni a tutta Europa. La classe politica, che parla e predica esclusivamente mediante luoghi comuni, ne è avvelenata e paralizzata, come il tremendo Laocoonte vaticano. Con il popolo parlante il contagio si trasmette incessantemente. Ci vorrebbe un Quebec italofono, da qualche parte — in Mongolia… in Brasile… — perché si ripetesse il miracolo linguistico quebechese, la conservazione del francese del XVIII. La lingua è stanca. Emigrate.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.