ALIAS DOMENICA
Alla guerra con Holden
David Shields e Shane Salerno. IL VERO ROMANZO AMERICANO SULLA GUERRA È «IL GIOVANE HOLDEN»: È LA TESI DI UNA GIGANTESCA BIOGRAFIA DI J.D. SALINGER, MOLTO DISCUSSA, ADESSO TRADOTTA DA ISBN
Salinger a Brooklyn nel 1952, fotografato davanti al suo romanzo
A quattro anni dalla sua scomparsa, e a più di cinquanta
dalla pubblicazione negli Stati Uniti del suo ultimo libro Alzate l’architrave, carpentieri
e Seymour. Introduzione), J.D. Salinger è tornato al
centro della ribalta e dell’attenzione di lettori e critici.
Einaudi (suo editore «storico») ha proposto in tascabile una nuova versione
de Il giovane Holden, affidata
a Matteo Colombo, uno tra i migliori traduttori in circolazione,
che ha saputo lavorare con eleganza sulla sottile linea di confine tra innovazione
e attenzione alla storia del testo in Italia, ottenendo un risultato
di assoluta eccellenza. ISBN ha invece dato alle stampe, con la traduzione
di Lorenzo Bertolucci e Paolo Caredda, la nuova, colossale e chiacchieratissima
biografia di Salinger, firmata da due personaggi antiaccademici come
David Shields (romanziere e saggista, già noto al pubblico italiano
per il suo manifesto-collage Fame
di realtà) e Shane Salerno (documentarista cinematografico,
sceneggiatore, produttore e agente letterario). Intitolata Salinger La guerra privata di uno scrittore (pp. 764, euro 45,00), la biografia
è l’esito di un lungo e complesso lavoro di ricerca, sfociato, in
parallelo, nella realizzazione del documentario (firmato da Salerno) Salinger: il mistero del Giovane Holden,
distribuito in Italia da Feltrinelli e proiettato lo scorso 20 maggio
in un numero limitato di sale cinematografiche.
Negli
Stati Uniti e in Inghilterra, il volume è stato accolto in modo
sostanzialmente analogo e in qualche misura paradossale: tanto Sam
Leith sul Guardian, quanto Michiko
Kakutani sul New
York Times esprimono
una sorta di imbarazzata ammirazione per il gigantesco lavoro di ricerca
e per la mole di materiali assemblati su quello che rimane – insieme
a Pynchon – il più celebre «recluso» della letteratura americana.
Segnalano, nella congerie di interviste e testimonianze, alcune
novità decisamente significative, legate, per esempio, al ruolo svolto da
Salinger come agente del controspionaggio americano sul teatro di
guerra europeo; al suo primo matrimonio con la misteriosa Sylvia, una
ragazza tedesca che, con ogni probabilità, era stata per alcuni anni informatrice
della Gestapo, o al carteggio con Joyce Maynard, una delle adolescenti
con le quali lo scrittore, già isolato nella sua villa di Cornish, in New
Hampshire, intrattenne una relazione prima epistolare, poi sentimentale,
già raccontata dalla stessa Maynard nella sua autobiografia At Home in the World. D’altro
canto, quasi tutti i recensori si sono soffermati a più riprese
sulla scarsa professionalità dei due autori e sulla loro tendenza
a trascrivere informazioni e testimonianze dandole per verità
assodata, senza procedere a quella verifica delle fonti e della
loro attendibilità che costituisce il pane quotidiano per ogni aspirante
biografo.
Soprattutto,
a essere oggetto di critica è stata la chiave di lettura della vita
e dell’opera di Salinger che Shields e Salerno espongono con
estrema chiarezza nell’introduzione e nella conclusione del volume, nonché
attraverso una serie di interventi mirati all’interno dei singoli capitoli,
inserendosi nel flusso costante di voci e testimonianze e calandosi
nel ruolo di commentatori a fianco di grandi nomi della cultura americana,
da Mailer a Updike o Mary McCarthy. Secondo gli autori, la vita di
Salinger sarebbe stata scandita da due eventi centrali: l’esperienza bellica,
dalla quale l’autore sarebbe uscito emotivamente distrutto, ma anche capace
di trasporre le atrocità cui aveva assistito nella rabbia e nella
rivolta di Holden Caulfield e dei protagonisti dei Nove racconti,
e l’adesione alla religione vedanta, che gli avrebbe consentito di superare
i traumi del passato e riconciliarsi con se stesso, uccidendo
però la sua arte. Nella lettura di Shields e Salerno, Il giovane Holden diventa il vero romanzo di
guerra, più ancora degli acclamati Il
nudo e il morto di
Mailer o Da qui all’eternità di Jones. O meglio,
diventa il romanzo sul modo in cui l’esperienza bellica ha trasformato una
generazione intera e ne ha veicolato la rabbia verso un mondo adulto
«fasullo» e normalizzato che avrebbe trovato la sua piena espressione
nel maccartismo e nella placida cultura suburbana dei tranquillized fifties. I Nove
racconti si
collocherebbero a fianco del più celebre romanzo, replicandone la
freschezza di voce e il disincanto soprattutto in «Un giorno ideale per
i pescibanana» e in «Per Esmè, con amore e squallore», mentre
le opere successive di Salinger, spostando il focus sulla famiglia Glass, segnerebbero
il progressivo allontanamento dalla vita e dall’invenzione narrativa
nel nome di un moralismo sermoneggiante che raggiunge il culmine in «Hapworth
16, 1924», il suo ultimo racconto pubblicato sul «New Yorker»: un lungo,
sentenzioso monologo di Seymour Glass all’età di sette anni, salutato ora
come un capolavoro, ora – e più spesso – come il segno di una decadenza
ormai irreversibile.
Si tratta
di una tesi di fondo radicale ma non priva di fascino, cui gli autori subordinano
la disposizione stessa del materiale biografico. L’attrazione di Salinger
per le adolescenti viene esasperata attraverso una lunga sequela di esempi
che, cumulati, prefigurano un vero e proprio modus operandi, ai limiti
della patologia, attribuito da Shields e Salerno allo stress
post-traumatico derivante dalle esperienze di guerra e al rifiuto di
riconoscere, in sé come negli altri, l’avvenuto passaggio alla dimensione
adulta. La stessa ribellione adolescenziale di Holden Caulfield sarebbe
figlia diretta della discriminante bellica – più che dell’esistenzialismo
imperante o di una specifica tradizione letteraria tutta americana,
da Huck Finn a Nick Adams –, e addirittura recherebbe in sé una
componente di violenza repressa che, in una qualche misura, spiega
l’adozione del romanzo come modello di vita e spiegazione del proprio
crimine da parte di una serie di celebri assassini: da Mark David Chapman,
il carnefice di John Lennon, a John Hinckley, l’attentatore solitario
che ferì quasi a morte Ronald Reagan.
L’adolescenza
bloccata costituisce, per Shields e Salerno, la cifra costante che connette
e giustifica tutti i passaggi della vita di Salinger e ne
motiva la crudeltà gratuita nei confronti delle tante ragazze corteggiate
e abbandonate, o della seconda moglie, Claire Douglas,
e della figlia Margaret. La stessa religione vedanta sembra
a tratti adottata solo per la possibilità che essa offre di raggiungere
un progressivo isolamento dalla vita pubblica e dalle responsabilità
nei confronti della dimensione famigliare, sentimentale e sessuale.
Possibilità, quella della fuga, al contempo perseguita e ripetutamente
tradita, se è vero, come sostengono i due autori, che Salinger
avrebbe mantenuto molti più contatti con il mondo esterno di quanto sia dato
credere, sfruttando il proprio stesso eremitaggio come mezzo per accrescere
la sua fama.
Salinger: la guerra privata di uno scrittore ci offre insomma un ritratto
d’artista tutt’altro che lusinghiero, e ha il merito di costruire un ferreo
collegamento tra le miserie e le meschinità – piccole e grandi
– dell’uomo, il suo fascino manipolatore e la sua arte a tratti
irresistibile. Questa strana, gigantesca, ondivaga biografia si chiude
con la rivelazione delle rivelazioni: per tutto il periodo trascorso rinchiuso
nella sua tana in New Hampshire Salinger avrebbe continuato a scrivere,
e avrebbe autorizzato, subito prima di morire e dopo aver istituito,
nel 2008, il Fondo letterario che porta il suo nome, la pubblicazione di
sue nuove opere. Si tratterebbe, secondo informazioni «fornite, documentate
e verificate da due fonti separate e indipendenti», di cinque
opere: due raccolte contenenti tutti i racconti incentrati sulla famiglia
Glass e sulla famiglia Caulfield, con molto materiale inedito; un
«manuale» di vedanta, un romanzo d’amore ambientato durante la Seconda guerra
mondiale e una novella sotto forma di diario compilato da un agente
del controspionaggio. Potrebbe essere questa la rivelazione più grande
del libro, e poco importa che contrasti stranamente con l’idea – sostenuta
dagli autori – che le ultime opere di Salinger recassero i segni di un
declino irreversibile verso l’afasia. Il Fondo Salinger non ha confermato
né smentito l’ipotesi di nuove opere: non resta dunque che attendere quello
che potrebbe rivelarsi un evento editoriale irripetibile o un clamoroso
fuoco di paglia.
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