In viaggio a piedi da Londra a Trieste per un reportage ‘classico’ sulla Grande guerra
È ancora possibile fare del buono e sano reportage nel giornalismo moderno? In un sistema dell’ informazione che sembra interessato solo alla velocità della comunicazione e alla brevità dei contrenuti, c’è ancora spazio per chi desidera seguire le indicazioni di Anton Čechov (Scarpe buone e un quaderno di appunti. Come fare un reportage)? Nicolò Giraldi e il suo progetto (Giro nella storia) sono la dimostrazione che si, è ancora possibile fare del giornalismo classico e scrivere ottimi reportage andando sui luoghi, incontrando le persone e raccontando quello che si vede con i propri occhi.
Un’ esperienza che Giraldi – giornalista triestino, classe 1984, vive a Londra, scrive per La Voce del Popolo(quotidiano italiano della minoranza in Slovenia e Croazia), ha conseguito un Master presso la London School of Journalism - ha deciso di raccontare l’Europa a cento anni dalla Grande Guerra: un viaggio a piedi da Londra a Trieste, dove arriverà il 9 luglio, durante il quale Giraldi percorrerà i luoghi di quell’ evento tragico che fu la prima guerra mondiale. Dall’ Inghilterra fino all’ Italia attraverso quello che fu il fonte occidentale, cioè Francia e Belgio, per poi dirigersi verso Stoccarda, la Baviera, l’Austria e le Alpi Carniche fino a Kobarid/Caporetto e Trieste, “luogo simbolo, assieme a Trento, della Grande Guerra e di un percorso risorgimentale italiano iniziato sessant’anni prima”.
Lsdi ha intervistato Nicolò Giraldi durante il suo viaggio: Un’occasione per parlare del suo progetto, ma anche per avere un giudizio sul giornalismo italiano da un professionista che vive all’ estero.
Intervista a cura di Fabio Dalmasso
Quando e perché ti è venuta l’idea di realizzare questo viaggio?
L’ idea di partire mi è venuta qualche mese fa. Volevo fare qualcosa di speciale, qualcosa che raccontasse il Centenario della Grande Guerra in maniera diversa, attraverso uno sguardo diverso. Ci sono poi altre ragioni, non necessariamente inserite in una gerarchia. C’ è l’amore per P.L. Fermor ed il suo Tempo di regali e Tra i boschi e l’acqua e il tributo a Nicolò Giraldi, il mio bisnonno istriano che combatté in Galizia con l’ uniforme austroungarica.
Come è organizzato il tuo viaggio? Quali le tappe che ti sei prefissato?
Le tappe che ho toccato sono tantissime. Da Londra ho percorso la tratta fino a Dover seguendo la Pilgrims Way, itinerario dei pellegrini verso Canterbury. Poi in Francia e Belgio ho seguito la linea del fronte, quella che si assesta dopo la prima battaglia della Marna. In Germania il tragitto è più un lavoro sulla memoria, non avendo avuto il fronte in “casa”. Poi ci saranno le Dolomiti ed il fronte dell’Isonzo, infine la mia Trieste.
Stai riscontrando un buon seguito, ad esempio sui social network?
Il seguito è buono. Si può sempre migliorare. Anche se in effetti, essendo partiti forse non in tempo un po’ per colpa mia, il risultato al momento è buono.
Qual è la cosa che più ti ha stupito fino ad ora: un luogo, un incontro…? Perché?
In effetti non ce n’ è una in particolare. Quando si viaggia ogni luogo ha la sua peculiarità, la sua bellezza. Anche un bar gestito da una famiglia di origini asiatiche in Lussemburgo diventa fantastico. Perché quello che vedi è nuovo, è funzionale al racconto, al presente cucito al passato, che poi sono i musei, i memoriali, i cimiteri della Grande Guerra. Tutto ha un qualcosa di unico. Perché l’ unicità deve essere consapevolizzata? Non sopporto quando si dice “questa roba non mi piace, questo fa schifo”. Un giornalista dovrebbe attenersi a quello che succede, non criticare.
Quali sono le difficoltà che stai riscontrando in questo progetto, se ne hai riscontrate?
Di difficoltà ce ne sono tante. E ben vengano. Non esistono persone non affette da questa sindrome. O almeno, io non ne conosco. Dal metter insieme i dettagli del viaggio, dal camminare per tanti chilometri, la stanchezza, il voler stare in silenzio e non poterlo fare, il mio francese assolutamente terribile, e l’inglese assente dei francesi. Ogni giorno fuoriesce qualcosa che non avevi programmato. Sono felice perché in fondo nelle difficoltà trovo la forza per risolvere i problemi.
Tu vivi a Londra, hai un Master presso la London School of Journalism, come giudichi il giornalismo inglese?
Nel giornalismo inglese c’ è molta più inchiesta. Per il resto l’ accoppiata marketing e comunicazione la fa da padrona anche lì. Conta il numero di copie vendute, i like, i soldi che l’ azienda guadagna. I titoli delle locandine sono divenuti un qualcosa di spaventoso. In Italia, a meno che l’ editore non abbia una buona squadra di avvocati, fare inchiesta significa non lavorare più.
Cosa ne pensi invece del giornalismo italiano attuale?
Il giornalismo italiano è cosi anche perché ci sono giornalisti che continuano a lavorare per 3,4,5 euro a pezzo. Il ripensamento della professione dovrebbe essere in cima ai pensieri di chi decide. Ma questo è un discorso lungo, visto che a mio avviso, uno sguardo riformista di lungo periodo, in questo momento in Europa nessuno sembra possederlo.
Hai già in mente qualche progetto simile per il futuro?
Adesso sono concentrato sul raccogliere più informazioni, testimonianze e contenuti possibili. E appena arrivo a Trieste (9 luglio) inizierò a concentrarmi sullo sviluppo di questo progetto. Libro, docufilm, abbiamo tante idee in cantiere…
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