La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

venerdì 9 ottobre 2009

In ricordo di Marek Edelman di Gad Lerner

dal blog del collega Gad Lerner riprendo

In ricordo di Marek Edelman

Venerdì 9 ottobre, al cimitero ebraico di Varsavia, si terranno i funerali di Marek Edelman. Vi ripropongo l’intervista realizzata con il vicecomandante della rivolta del ghetto nella sua casa di Lodz il 23 maggio 2006. E il ricordo che ho pubblicato su “Vanity Fair”.
E’ il coraggio la virtù degli eroi? Si può amare la vita e metterla ugualmente a repentaglio?
Marek Edelman non poteva permettersi il lusso di queste domande all’epoca in cui, poco più che ventenne, si impegnò fra gli artefici del Zob (Organizzazione ebraica di combattimento). A quel manipolo di giovani temerari male armati, del quale Edelman fu il vicecomandante, non si offriva un’alternativa fra il vivere e il morire, ma semmai la scelta sul come morire, quando il 19 aprile 1943 scatenarono la rivolta del ghetto di Varsavia.
Stiamo parlando di uno degli episodi più tragici e gloriosi nella storia del Novecento. La rivolta che provocò l’incendio e la distruzione del ghetto, sopraggiunse dopo che già 300 mila dei suoi residenti coatti erano stati uccisi nelle camere a gas di Treblinka. Più che salvarsi, gli organizzatori della rivolta volevano ricordare a sé stessi e al mondo di essere persone e non topi. Uomini e donne ancora capaci di denunciare l’ingiustizia abbattutasi su di loro.
Mordechai Anielewicz, il comandante del Zob, dopo diciannove giorni di resistenza nel corso dei quali era avvenuto l’impensabile –ebrei che uccidevano tedeschi, anziché il contrario- si suicidò l’8 maggio 1943 nel bunker di via Mila 18 prima di essere catturato dai nazisti. Marek Edelman invece riuscì a fuggire attraverso le fogne, con pochi altri, nella parte ariana della città. Non sarò così indiscreto da indagare il senso di colpa coltivato da Marek Edelman nei sessantotto anni in cui è sopravvissuto ai suoi compagni di lotta. L’uomo si presentava con una scorza di durezza apparente. Ma di ferrea in lui c’era soprattutto la volontà di restare fedele ai suoi morti, attraverso due precise regole di comportamento: non allontanarsi dai luoghi in cui fu perpetrato lo sterminio e dove, in seguito, subentrarono la rimozione e l’oblio. Per questo usava definirsi “il guardiano delle tombe del mio popolo”. Ma neanche ciò gli sarebbe bastato. A Marek Edelman, divenuto nel frattempo stimato cardiologo dell’ospedale di Lodz, premeva testimoniare attraverso l’esempio quotidiano che il coraggio dei vent’anni può durare una vita intera. Divenne oppositore del regime comunista polacco, tanto che i burocrati, fallito il tentativo di comperarlo, giunsero al disonore di infliggendogli gli arresti domiciliari. Fu fra i sostenitori, vent’anni fa, del movimento Solidarnosc che portò alla nascita del primo governo non comunista dell’est europeo. Mezzo secolo dopo la rivolta del “suo” ghetto di Varsavia, ormai anziano, nel 1993 Marek Edelman guidò un convoglio umanitario dentro alla città di Sarajevo assediata. Di recente, dettandolo all’amica Paula Sawicka, ha trovato ancora l’energia di pubblicare un libro dal titolo bellissimo, E c’era l’amore nel ghetto, che in Italia verrà presto edito da Sellerio.
Se n’è andato serenamente nel pomeriggio di venerdì 2 ottobre scorso, all’età di 90 anni. Per rispettare i suoi desideri, anziché nel Pantheon dei benemeriti della democrazia polacca viene sepolto nel cimitero ebraico di Varsavia, in mezzo alla gente di cui ci ha trasmesso la memoria, accanto agli altri dirigenti del Bund, partito socialista ebraico, cui è rimasto fedele nell’idea che la vittoria sugli antisemiti debba ottenersi nel luogo natale, senza bisogno di emigrare in Israele.
Il ricordo personale che serbo dei miei incontri con quest’uomo sono dettagli piccini che si perdono nell’ammirazione e nel rimpianto. Sono lieto di averlo fatto conoscere ai miei figli, sotto una pioggia scrosciante, prima della cerimonia per il sessantacinquesimo anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia. Credo di non avere mai conosciuto un’altra figura storica che regga il paragone con Marek Edelman.



2 commenti:

  1. Una lezione di determinazione e perseveranza per tutti, un invito a non lasciarsi sopraffare mai da chi fonda il suo potere sulla logica della paura. Un abbraccio, Fabio

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