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martedì 8 giugno 2010

IL SIGNOR PERO' di Ludovica De Nava

immagine da da www.initalia.rai.it


Il signor Però

Nel paese Comunque della regione Insomma, c’ era una piccola casa bianca col comignolo sempre fumante sopra un tetto di tegole vecchie con qualche ciuffo d’erba che cresceva sopra e fioriva in primavera.

In quella casetta abitava un signore magrolino che somigliava a una carota: il signor Però.

Non si sa se quello era davvero il suo nome, però tutti lo chiamavano così, in paese, perché “però” era la parola che diceva più spesso.

Però non era mai contento: se il calzolaio, suo vicino di casa, lo salutava dicendogli: Bella giornata, eh?

Lui gli mostrava il suo ombrello, agitandolo in aria, e rispondeva: Eh, pare, pare! Però già ci sono laggiù delle nuvole! È meglio uscire con l’ombrello, e non farsi troppe illusioni!

E il bello era che dopo un po’ una nuvolaglia nera si addensava proprio sulla sua testa, e cominciava a piovergli addosso una pioggia fitta fitta, e lui era contento di essere stato previdente, e non si accorgeva che il sole aveva continuato a splendere per tutti gli altri.

Non era sfortunato, il signor Però, anzi: in casa sua ospitava, a sua insaputa, una piccola fata invisibile che ogni sera, prima di addormentarlo chiudendogli gli occhi con le sue dita delicate, leggere come petali di rosa, versava l’acqua fresca per la notte, riempiendo a metà il bicchiere che era sul comodino.

Durante la notte, il signor Però si svegliava e aveva sete. Beveva l’acqua sbadatamente e lasciava il bicchiere vuoto. Poi sospirava, tossiva un po’ e spegneva la luce, si girava sul fianco e riprendeva a russare.

Al buio la fata, non vista, riempiva di nuovo il bicchiere fino a metà.

La mattina, svegliatosi, Però, bofonchiava contro il bicchiere che conteneva così poca acqua:

E’ mezzo vuoto, diceva. Devo ricordarmi di riempirlo, la sera.

Le fate, si sa , sono creature sensibili, e così, un bel giorno la nostra piccola amica, ferita da tanta ingratitudine, decise di iniziare uno sciopero.

Quella fu l’ultima sera che gli versò acqua nel bicchiere. Poi sgusciò dalla finestra e approfittò dello sciopero per volare nel paese delle fate.

Senza le sue dita delicate a chiudergli gli occhi, quella notte Però non dormì. E bevve tutta l’acqua. Quando all’alba si addormentò, e non sentì neppure il canto del gallo, il bicchiere rimase vuoto, e al risveglio non c’era dentro neppure una goccia d’acqua.

Però capì che un bicchiere vuoto confrontato ad uno mezzo pieno è proprio tutto vuoto.

La fata si trovava così bene con le sue amiche, ma così tanto bene, che per un po’ si scordò di Però e della sua ingratitudine, e anche della piccola casa bianca laggiù.

Ma a Però mancava qualcosa; doveva chiudere gli occhi la sera senza la sensazione di lieve carezza sulle palpebre; doveva tenere a portata di mano, durante la notte, due bicchieri colmi d’acqua, e passava lunghe ore smaniando e rigirandosi nel letto, che gli sembrava sempre più duro e scomodo.

La favola potrebbe finire qui, oppure, se volete, facciamo tornare la fata.

Ecco: la fata torna e trova Però molto cambiato: sa badare a sé stesso, non scruta più il cielo in cerca di nuvole, e non gli piove più sulla testa se per gli altri è bel tempo. Anzi: se qualcuno bofonchia che il cielo era nuvolo, lui gli dà una pacca sulla spalla, dicendo: però, sono solo nuvole e passano presto; basta un po’ di vento a disperderle.

Somiglia sempre a una carota, ma a una carota allegra, di un bel colore acceso, e il bicchiere sul suo comodino è sempre….mezzo pieno.



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