Nella nostra società della morte non si può parlare. È divenuta una parola tabù che solitamente si evita, ricorrendo ad espressioni più eufemisticamente dicibili del tipo: "si è addormentato", "se n'è andato", "ci ha lasciato" e così via seguitando. Invece, e’ opportuno curarsi poco dei tabù linguistici e rifarsi a Epicuro ("Abituati a pensare che nulla è per noi la morte, né per i vivi, né per i morti, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte noi non siamo più"), Seneca, Cicerone, Agostino, Montaigne, Lessing, Novalis, Schopenhauer, Pascal, Nietzsche, Heidegger per i quali, anche se con diverse sfumature, si deve vivere in modo da avere al momento giusto la propria volontà di morire il "vivere per la morte" costituisce il senso autentico dell'esistenza.
Il cristianesimo parla sempre di eternità, si pone nella dimensione dell'infinito.
Alla luce di una analisi che vede il mondo moderno in preda a un diffuso indifferentismo Kierkegaard vede nella morte (o meglio nel pensiero della morte) la situazione decisiva che è in grado di risvegliare l'uomo dal suo torpore spirituale quotidiano. Ciò si coglie in modo specialissimo nel breve scritto: Accanto ad una tomba. In quest'opera Kierkegaard non intende stendere un invito a "imparare a morire", né fornire consolazioni per la morte, ma suscitare quelle riflessioni che ci portino a una vita più autentica, che ci facciano comprendere come la morte possa essere la sua vera, unica maestra. A suo avviso, è il "pensiero della morte" che fa sì che l'uomo viva un'esistenza che porti le stimmate della serietà e non quelle della vacua fatuità. "La serietà della morte - egli scrive - non inganna, perché non è la morte la cosa seria, ma il pensiero della morte. Se dunque tu, mio caro uditore, terrai fermo a questo pensiero e, nel pensarlo, non ti preoccuperai d'altro che di pensare a te stesso, allora grazie a te questo discorso senza autorità diventerà una cosa seria. Pensarsi morti in prima persona è la serietà, essere testimoni della morte di un altro è stato d'animo". La morte, egli afferma, è maestra di serietà ed è il pensiero della morte ad indicare "la giusta direzione nella vita e la giusta meta verso cui indirizzare il viaggio. E nessun arco si lascia tendere così tanto, nessun arco sa imprimere tanta forza alla freccia, come il pensiero della morte sa sollecitare il vivente - sempre che sia la serietà a tenderlo". Il pensiero della morte non deve portare l'uomo a immergersi nei piaceri sensuali della vita affogandolo nell'oggi e non deve neppure portarlo a coltivare l'idea romantica della morte come unico luogo possibile di felicità, ma spingerlo a impegnarsi nella vita non sprecando il tempo che gli è stato dato. La morte per chi vive seriamente non è un narcotico, ma una "fonte di energia come nient'altro e rende vigili come nient'altro". La morte, infine, è la cosa più certa, ma nello stesso tempo è anche l'unica cosa in cui non c'è nulla di certo, nessun uomo, infatti, conosce il momento esatto in cui l'incontrerà. "La certezza della morte - scrive Kierkegaard - determina una volta per tutte il discente nella serietà, ma l'incertezza della morte è il sorvegliante quotidiano (...) Serietà diventa quindi vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo e al contempo come se fosse il primo di una lunga vita".
La morte è un mistero che gli intellettuali hanno spesso cercato di spiegare, facendosene cioè un'opinione. Ma secondo il filosofo, "per quanto concerne la morte, non ci si deve affrettare ad avere un'opinione. L'incertezza della morte si prende costantemente e in tutta serietà la libertà di verificare se chi ha un'opinione abbia veramente questa opinione, ovvero se la sua vita ne sia espressione". Vale quindi per la morte ciò che Kierkegaard dice valere per il cristianesimo: occorre cioè distinguere nettamente "il sapere cos'è il cristianesimo (la cosa più facile)" dall'"essere cristiani (la cosa più difficile)".
Il concetto cristiano della morte è ricco e consolatore: la morte per il cristiano è il momento di incontrarsi con Dio, quel Dio cercato durante tutta la vita. La morte per il cristiano è l'incontro del Figlio con il Padre; è la intelligenza che trova la suprema verità, è la intelligenza che si impossessa del sommo Bene. La morte non è morte.La morte è la grande consigliera dell' uomo. Ella ci mostra l' essenziale della vita, come l' albero nell' inverno, una volta spogliato di tutte le sue foglie, mostra il tronco. Il grande stimolo per la vita e per la lotta durante la vita, è la morte: potente motivo per il cristiano di darsi a Dio per Dio stesso. E mentre l'incredulo non assume nessuna impresa per timore alla morte, il cristiano si affretta a lavorare perché il suo tempo è breve, perché manca cosí poco per presentarsi a quello che gli diede tutto. Per quelli che hanno fede ogni cosa che vedono gli parla dell' altro mondo, le bellezze della natura, il sole, la luna, tutto non è che immagine che testimonia la bellezza di Dio.
Personalmente il pensiero della morte e' lontano. Tento di vivere in profondita' la mia esistenza, attraversando tutte le esperienze possibili, la sensualita', il misticismo, l' essoterismo, la meditazione filosofica, ricercando il tutto nel particolare, forte della convinzione che nessuna acquisizione e' definitiva, e che la conoscenza ha sempre innumerevoli aspetti da scoprire.
Ecco perche' per me l' assoluto e' in questo mondo.
Il cristianesimo parla sempre di eternità, si pone nella dimensione dell'infinito.
Alla luce di una analisi che vede il mondo moderno in preda a un diffuso indifferentismo Kierkegaard vede nella morte (o meglio nel pensiero della morte) la situazione decisiva che è in grado di risvegliare l'uomo dal suo torpore spirituale quotidiano. Ciò si coglie in modo specialissimo nel breve scritto: Accanto ad una tomba. In quest'opera Kierkegaard non intende stendere un invito a "imparare a morire", né fornire consolazioni per la morte, ma suscitare quelle riflessioni che ci portino a una vita più autentica, che ci facciano comprendere come la morte possa essere la sua vera, unica maestra. A suo avviso, è il "pensiero della morte" che fa sì che l'uomo viva un'esistenza che porti le stimmate della serietà e non quelle della vacua fatuità. "La serietà della morte - egli scrive - non inganna, perché non è la morte la cosa seria, ma il pensiero della morte. Se dunque tu, mio caro uditore, terrai fermo a questo pensiero e, nel pensarlo, non ti preoccuperai d'altro che di pensare a te stesso, allora grazie a te questo discorso senza autorità diventerà una cosa seria. Pensarsi morti in prima persona è la serietà, essere testimoni della morte di un altro è stato d'animo". La morte, egli afferma, è maestra di serietà ed è il pensiero della morte ad indicare "la giusta direzione nella vita e la giusta meta verso cui indirizzare il viaggio. E nessun arco si lascia tendere così tanto, nessun arco sa imprimere tanta forza alla freccia, come il pensiero della morte sa sollecitare il vivente - sempre che sia la serietà a tenderlo". Il pensiero della morte non deve portare l'uomo a immergersi nei piaceri sensuali della vita affogandolo nell'oggi e non deve neppure portarlo a coltivare l'idea romantica della morte come unico luogo possibile di felicità, ma spingerlo a impegnarsi nella vita non sprecando il tempo che gli è stato dato. La morte per chi vive seriamente non è un narcotico, ma una "fonte di energia come nient'altro e rende vigili come nient'altro". La morte, infine, è la cosa più certa, ma nello stesso tempo è anche l'unica cosa in cui non c'è nulla di certo, nessun uomo, infatti, conosce il momento esatto in cui l'incontrerà. "La certezza della morte - scrive Kierkegaard - determina una volta per tutte il discente nella serietà, ma l'incertezza della morte è il sorvegliante quotidiano (...) Serietà diventa quindi vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo e al contempo come se fosse il primo di una lunga vita".
La morte è un mistero che gli intellettuali hanno spesso cercato di spiegare, facendosene cioè un'opinione. Ma secondo il filosofo, "per quanto concerne la morte, non ci si deve affrettare ad avere un'opinione. L'incertezza della morte si prende costantemente e in tutta serietà la libertà di verificare se chi ha un'opinione abbia veramente questa opinione, ovvero se la sua vita ne sia espressione". Vale quindi per la morte ciò che Kierkegaard dice valere per il cristianesimo: occorre cioè distinguere nettamente "il sapere cos'è il cristianesimo (la cosa più facile)" dall'"essere cristiani (la cosa più difficile)".
Il concetto cristiano della morte è ricco e consolatore: la morte per il cristiano è il momento di incontrarsi con Dio, quel Dio cercato durante tutta la vita. La morte per il cristiano è l'incontro del Figlio con il Padre; è la intelligenza che trova la suprema verità, è la intelligenza che si impossessa del sommo Bene. La morte non è morte.La morte è la grande consigliera dell' uomo. Ella ci mostra l' essenziale della vita, come l' albero nell' inverno, una volta spogliato di tutte le sue foglie, mostra il tronco. Il grande stimolo per la vita e per la lotta durante la vita, è la morte: potente motivo per il cristiano di darsi a Dio per Dio stesso. E mentre l'incredulo non assume nessuna impresa per timore alla morte, il cristiano si affretta a lavorare perché il suo tempo è breve, perché manca cosí poco per presentarsi a quello che gli diede tutto. Per quelli che hanno fede ogni cosa che vedono gli parla dell' altro mondo, le bellezze della natura, il sole, la luna, tutto non è che immagine che testimonia la bellezza di Dio.
Personalmente il pensiero della morte e' lontano. Tento di vivere in profondita' la mia esistenza, attraversando tutte le esperienze possibili, la sensualita', il misticismo, l' essoterismo, la meditazione filosofica, ricercando il tutto nel particolare, forte della convinzione che nessuna acquisizione e' definitiva, e che la conoscenza ha sempre innumerevoli aspetti da scoprire.
Ecco perche' per me l' assoluto e' in questo mondo.
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