Non ho mai conosciuto mio padre, morto in guerra, l' ultima, quando avevo tre anni. La sua grande umanita', cultura, amore per la liberta' e la giustizia le ho conosciute soprattutto attraverso i racconti di mia madre.Quando penso a lui vedo mio padre, mentre mi fissa con i suoi occhi azzurri e mi dice che la liberta' va strappata dalle mani degli oppressori.Un insegnamento che trasmetto ogni giorno ai miei figli e nipoti con il mio comportamento. Come dice Adorno nei ''Minima moralia'': non si da' vera vita nella falsa.
L’ idea di liberta’ mio padre me lo ha trasmesso pochi mesi prima di morire.
E’ l’ unico ricordo che ho di lui. Un ricordo mio, esclusivamente mio.
‘’Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente’’.
Dostojevskij: ‘’Memorie del sottosuolo’’.
Quando mi ha parlato di liberta’ a ogni costo, da strappare dalle mani degli oppressori, siamo io e lui da soli. Andiamo, la mia mano nella sua, da Nayaders, dove, in tempo di guerra, aveva trasferito la famiglia, a New Adolya, un altro centro dell’ Alleopartshire, distante un paio di chilometri.
E’ marzo, non so se il giorno del mio compleanno. Ha avuto due giorni di licenza, ho poi saputo da mia madre quando dopo anni, molti, racconto l’ episodio. E’ di stanza a Castle, circa venti chilometri da Nayaders.
I miei ricordi dell’ ambiente della campagna sono piuttosto sfuocati. Diventano nitidi solo sulla sequenza della passeggiata e delle sue parole.
Camminiamo sul ciglio destro della strada. Sto alla sua destra per non correre pericoli, anche se il traffico e’ limitato a poche biciclette, a qualche carretto trainato dai cavalli, molte le persone a piedi, soprattutto donne e qualche ragazzo. Uno di questi ci passa accanto correndo.
Lui e’ in borghese, indossa un abito scuro, io un capottino chiaro con il colletto in velluto. Nella mia mente tutto e’ chiaro, soprattutto i suoi occhi di un intenso azzurro.
Camminiamo in silenzio. Mio padre mi stringe la mano. Il suo viso e’ sereno. Sono raggiante. Non passo molto tempo con lui. Quando la sera, non tutte le sere, lui torna a casa, io sono a letto e dormo, e la mattina, quando riparte, non sono ancora sveglio. Mia madre mi ha sempre raccontato che appena entrato in casa veniva nella mia camera, mi accarezzava sui capelli e mi dava un bacio sulla fronte. Rito che ripeteva quando andava via.
Arrivati all’ altezza del cimitero di Nayaders ci fermiamo, ci sediamo, uno a fianco all’ altro, su un poggiolo ricoperto d’ erba.
Comincia a parlare. Dice quanto bene vuole alla mamma, a me, agli altri due figli. Poi racconta delle brutture della guerra, della inutilita’ di un conflitto scatenato da un pazzo e assecondato da un altro stolto, solo per sete di potere, delle false speranze di vittoria decantate dal Duce, dal Re. Espone i suoi concetti di liberta’, fratellanza, di giustizia e pace tra i popoli. Parole allora non comprese. Troppo difficili per me. Sono pero’ rimaste incise nella mia mente, capite solo col crescere degli anni.
Siamo rimasti seduti forse una mezz’ ora, poi lentamente siamo tornati a casa.
Quella e’ l’ ultima volta che ho visto mio padre.Non ho altri ricordi di lui vivo.
Dopo alcuni mesi un ufficiale e’ venuto a casa per dare a mia madre la notizia che il marito era morto in un bombardamento di guerra, quella guerra da lui rifiutata, ritenuta inutile, dichiarata da un folle, appoggiata da uno stolto, solo per sete di conquista.
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