La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Il calcio dell' Asino

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lunedì 3 novembre 2014

Bicchiere io mi chiamo by GIANNI ZANATA

Bicchiere io mi chiamo.
Quando l’ho saputo, non ho potuto fare a meno di mettermi a ridere. È stata una reazione spontanea, immediata. Mi ha fatto molto ridere. Ridere tantissimo. Sono uscito da casa e mi sono diretto verso il parco. Camminavo, pensavo e ridevo. Più ci pensavo, più trovavo la cosa esilarante. La cosa in sé e il pensiero: entrambi. E così ho continuato a ridere. Una risata tonda, grassa, circolare. Se fosse stato il viso di un uomo, sarebbe stato tondo, grasso, circolare e con la barba. Più immaginavo quel viso, più mi veniva da ridere. Una risata sfacciata e impertinente. Tant’è che a un certo punto si è avvicinato un tizio e mi ha detto Allora, hai molto da ridere? Sì, gli ho risposto, questa cosa mi fa morire dal ridere. Ridevo e non riuscivo a smettere di ridere, nemmeno mentre gli spiegavo i dettagli. Spiegavo e ridevo.
Il tizio mi ha ascoltato, si è messo a pensare, si è messo a ragionare sulla cosa. Non sembrava granché interessato, almeno all’inizio. Poi però mi ha guardato. Ho notato che non riusciva a trattenersi. Quando si dice una risata irrefrenabile e contagiosa. Un istante dopo si è messo a ridere pure lui. Risate tonde, grasse, circolari. Eravamo piegati in due dalle risate. Proprio da star male. Mi sono detto Adesso smetto, basta. Così ho smesso. E anche il tizio ha smesso.
Basta.
Siamo rimasti in silenzio. Giusto un attimo. Il tempo di uno sguardo.
Niente. Non ce l’abbiamo fatta.
Abbiamo ripreso a sghignazzare, ridere e ululare. Tanto da cadere per terra. Tanto da lacrimare. Risate sempre più tonde, sempre più grasse e circolari.
Ci rotolavamo tra siepi e panchine senza vergogna. Poco più in là una donna ci osservava. Prima da lontano, poi da più vicino. Sembrava più infastidita che incuriosita. Con tono grave e accusatorio ha detto Ma non vi vergognate, eh, alla vostra età, a stare lì, buttati per terra? Noi allora ci siamo seduti, abbiamo cercato di ricomporci. Ma è stato più forte di noi. Per tutta risposta ci siamo messi a ridere, ancora più forte, in modo ancora più sguaiato. Sdraiati per terra, le mani sulla pancia, i muscoli del viso indolenziti dalle risate.
La donna non ha detto nulla. Si è allontanata scuotendo il capo. Il tizio allora le ha detto Senti, aspetta, questa cosa fa sganasciare dalle risate, come fai a resistere? Lei si è fermata, si è voltata e si è portata una mano alla bocca. Ecco. Stava ridendo pure lei. Non riusciva a smettere. Piegata in due. Non è possibile, urlava, non è possibile. Aveva un modo di ridere che ci faceva ridere. Le trascinava, le risate, le allungava sino a trasformarle in grida soffocate e gorgoglianti, in lamenti nudi e singhiozzanti.
La donna si è lasciata cadere per terra. Si stava contorcendo dalle risate. Da stare male. Lei peggio di noi. Noi peggio di lei. A ridere. Tanto da restare senza fiato.
Così siamo rimasti.
Proprio senza fiato.
Distesi per terra. Gli occhi sbarrati a guardare il cielo. Un velo sottile di polvere sulla pelle. Cosparsi di cognac. Rispettosi della verità.
In fondo in fondo soltanto coglioni.

arcenciel

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