
I TRE GIORNI DELLA MERLA
Questa serie di puntate, portate avanti dal fratello Pier Luigi di una parentela conseguita sul campo, in seguito ad un mio commento, non si può dire che diano veramente la spiegazione che si è voluta concepire a conclusione di quella ora a commento. Ma non si può neanche dire il contrario. Male che vada, può ritenersi un bel gioco che sta nello sviluppare un tema o più temi su un post, come quello di Pier Luigi sul precariato degli scrittori di Roma, ma non solo di lui perché siamo in quattro a giocare la partita, io, Pier, Annarita e Teo. Dunque se Teo ha tirato in ballo “I tre giorni della merla” nel suo Forum, non mi resta che trovare il modo di svilupparlo in prosieguo al post ora a commento. Potremmo definire il gioco in atto, il gioco dei “post ofitici”, ovvero annodati fra loro. In quanto alla relazione di parentela con Pier Luigi, il gioco si è fatto pesante, per dire che sembra trattarsi di una relazione conventuale. Siamo nel web e può anche andare, ma potrebbe essere contagioso ed allora cosa dirò a mia moglie quando scopre ogni cosa?
Perciò comincio dal Matto di questa puntata, perché ci sta a pennello.
Ma il Matto sembra sfocarsi ad un certo punto, menomale! e siamo al tempo dei “tre giorni della merla”, ci avvisa l’attenta Teo dal suo Forum, presa però per le favole, per le fantasie che ella legge avidamente. Come a dire che fare? uscire all’aperto presi da una sicurezza che non ci viene da noi, e sfidare anche il cielo sicuri di averla fatta franca e così diventare superbi Maghi, la prima carta degli Arcani Maggiori?
Ma la prudenza non è mai troppa, ce lo suggerisce il sommo poeta Dante citando nella sua Commedia, Purgatorio XIII, 123, il dire della nobildonna senese Sapia posta nel girone degli invidiosi, il cui contrappasso è la cecità.
Queste sono le sue parole colme di stolta superbia:
«Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia,
gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”,
come fé 'l merlo per poca bonaccia.»
(sconfitti si diedero alla fuga; vedendo l’inseguimento fu tale la gioia che mi travolse che io guardai il cielo e dissi a Dio “ormai non ti temo!” come fece il merlo appena vide un po’ di sole)
Ma Tamino (Tanino) della favola mozartiana ne ha passate tante che ha imparato in modo superno questa lezione, al punto ardere interiormente, ricolmo di secchezza che gli viene dal “fuoco di ruota”. Non vede alcun beneficio ad uscire ora all’aperto, malconcio come si trova. Nel senso che se non sopraggiunge un “diluvio”, ovvero gli giunga “acqua benedetta” per far rinascere la vita esteriore che non ha proceduto di pari passo a quella interiore sorretta da un eccezionale drago, prolunga la sua permanenza nel “camino” della merla. Che importa se si annerisce ancora, come un merlo? Forse occorre proprio che questa operazione al NERO giunga alla perfezione.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere, poiché questo stato gli permette di scoprire arcani legati alla ruota infuocata prima accennata, per altri segno della fortuna, non per lui però, almeno per ora. E così ha visto “girare” la duplice ruota di Leonardo che ha posto nel Cenacolo, la stessa della cupola della Chiesa in cui si trova. Non contento (si fa per dire, poiché occorre non stazionare a causa del fuoco che brucia, come sui carboni ardenti) ha trovato un’altra “duplice ruota” al posto della Monna Lisa. Annarita, poi ve la mostrerà nel suo blog di Matematica.
Chissà potrebbe essere questo un post da sviluppare prima o poi, ma ora passo la mano.
gaetano
I GIORNI DELLA MERLA
I tre giorni della merla sono il 29, il 30, il 31 di gennaio e sarebbero i giorni più freddi dell' anno. Non è sempre vero, la tradizione dice che se questi giorni sono freddi , la primavera sarà bella e mite; se temperati , la primavera giungerà in ritardo. Il nome giorni della merla viene dal fatto che, nella notte dei tempi , tutti i merli erano bianchissimi. La favola ci racconta che una merla bianca , negli ultimi giorni di gennaio , volava con i suoi piccoli alla ricerca di un riparo dal freddo intenso. Giunta ormai allo stremo delle forze, vide un camino; decise di portare i suoi piccoli in quella dimora, riuscendo a salvare sè stessa e loro, ma diventando , assieme ai suoi piccoli , nera per la fuliggine. Da allora , in segno di gratitudine , tutti i merli accettano di essere neri.
Teoderica
I GIORNI DELLA MERLA E LA CANDELORA
Grazie Teo del ricordo.
A raccontarmi questa favola e' stata la mia mamma quando ero piccino. Io ho tramandato il racconto sia ai miei figli sia ai miei nipoti. Qualche volta ho raccontato questa storia anche agli amichetti dei miei ragazzi, figli e nipoti.
Ma perché sono i giorni più freddi dell’inverno?
A prescindere che non tutti gli anni sono o saranno stati i più freddi, che siano tra i più gelidi deve avere un fondo di verità se ne è nata una leggenda, che ha sempre per protagonista un merlo.
Gennaio aveva ventotto giorni ed era il mese più freddo dell’anno. Giunto al ventottesimo giorno, un merlo, rallegrato, gridò al cielo: “Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno”. Gennaio vendicò la bestemmia facendosi prestare tre giorni da febbraio e rendendoli ancora più gelidi.
Febbraio fa parte del periodo oscuro del calendario dei popoli indo-europei, periodo senza nome prima che fossero creati i due nuovi mesi, gennaio e febbraio. Il suo nome, Febrarius, in latino significa purificare. Macrobio ricorda che Numa lo aveva dedicato al dio Februus e stabilito che durante questo mese si celebrassero riti funebri agli dèi Mani. Nelle feste, che cadevano nella seconda quindicina di gennaio, era ricordata anche Iunio Februata, Giunone Purificata che si ricordava nelle Calende di febbraio come Iuno Sospita, Giunone Salvatrice.
Nel VII secolo la Chiesa Romana adattò al 2 febbraio una festa che già era celebrata in Oriente fin dal IV secolo, ovvero la presentazione al tempio del Signore. La presentazione del neonato al tempio, e la conseguente purificazione della madre, dovevano avvenire quaranta giorni dopo il parto e, poiché il giorno della nascita era stato fissato, per convenzione, al 25 dicembre, ecco coincidere perfettamente la purificazione della Vergine con la festa pagana di Giunone purificata. Nel tempo, la Purificazione della Vergine aveva preso il sopravvento sulla presentazione al tempio di Gesù, l’ultima riforma liturgica ha riportato al festa del Figliolo. Ma è rimasta l’usanza di chiamare questo giorno Candelora, Candelaia in Toscana e Ceriola, Siriola, Zariola in altre regioni, perché vi si benedicono le candele che saranno distribuite ai fedeli. Perché candele benedette in questo giorno particolare e non in altri? Perché durante i festeggiamenti a Giunone Purificata e Giunone Salvatrice i fedeli correvano per la città portando fiaccole accese. E nel VII secolo si svolgeva già a Roma, in occasione della festa cristiana, una processione notturna con ceri accesi. I fedeli giungevano a Sant’Adriano da ogni parrocchia della città e insieme confluivano tutti verso Santa Maria Maggiore. La benedizione delle candele è un’usanza successiva alla processione, ed è documentata a Roma tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, probabilmente introdotta dal clero francogermanico. Venivano accese con un cero in una cerimonia simile a quella della veglia pasquale, mentre ora sono semplicemente benedette. Secondo la tradizione, i ceri benedetti erano conservati in casa dai fedeli e venivano accesi, per placare l’ira divina, durante i violenti temporali, aspettando una persona che non tornava, o che si pensava fosse in grave pericolo, assistendo un moribondo, durante le epidemie o i parti difficili. E Giunone era detta anche Lucina, dea della luce, protettrice tra l’altro delle partorienti.
Ai nostri giorni, febbraio ha perduto la sua connotazione di mese dedicato alla purificazione e ai morti, poiché il mese dei morti è stato spostato a novembre, nel quale inizia l’Avvento, periodo dal carattere purificatorio e di attesa della nascita di Cristo
Purtroppo nelle citta', ma anche nei paesi, si e' perduta l' abitudine di narrare le favole ai bambini e di tramandare le nostre belle tradizioni.
Una cumulativa buona fine settimana e un cumulativo vale
Pier Luigi
IL LACCIO DELL’AMORE
Bene per aver esteso in modo completo tutta la tradizione sui fatti della merla, ma resta il dubbio da sciogliere sulla buona condotta invernale (ricordarsi la traslazione ai “quattro elementi”) di gennaio che può stimarsi anche il “capitano” dei dodici mesi dell’anno, ma fra poco riprenderò questa locuzione.
Tocca a me ora completare il panorama della tradizione (naturalmente italiana) sul tema che ho aperto che riguarda la sicurezza operativa (cosa che non necessariamente esclude la vita pratica cui tenerne da conto). E qui occorre ritornare indietro e cominciare da Capodanno per sincerarsi delle premesse fatte per l’intero anno.
Da ottimo Casertano nel cuore (la filastrocca vi riguarda, avete sentito) mi onora presentare un gioco (ma è cosa seria) ancora praticato in provincia di Caserta, Macerata Campania. Il gioco si chiama “Il laccio dell’amore”, giusto in concreta sintonia con il concetto dei “nodi ofitici” e perciò dei post che si sono susseguiti ultimamente grazie all'amabile disponibilità di Pier Luigi.
Avrete già capito che si tratta di un rituale che è inscenato dai dodici mesi dell’anno e da un capitano tutti a cavallo, come già in parte anticipato. Non dico altro e riporto, fra poco, pari pari la presentazione che fa a riguardo un sito specifico cui andare a vedere perché sono esposte le foto della parata dei cavalieri che, muniti ognuno di un laccio confluente ad un palo centrale, girano intrecciandosi fra loro fino a che il palo è rivestito dalla treccia dei lacci. Vedi qui e qui.
Premetto che proprio al tempo di quando ero ragazzino e sentivo con piacere il racconti di zi’ Maria, quella della filastrocca per capirci, con la famiglia abitavo a Puccianiello vicino Caserta (nella casa di questa zi’ Maria) e qui era tradizione, fra altre cose, la parata annuale del “laccio dell’amore”. Naturalmente non poteva non rimanermi impresso nella mente una così bella e folkloristica manifestazione della quale vi sto facendo partecipi. Vi piacerà certamente.
Siccome è abbastanza lungo la sceneggiata del “laccio dell’amore” in questione, riporto la recita relativo all’inizio che è quella del mese di gennaio, poi il resto lo troverete attraverso il link relativi ai “qui” suddetti.
Svolgimento della manifestazione dei “ I dodici mesi”
Tra le rappresentazioni popolari che negli ultimi giorni di Carnevale allietano i Maceratesi quello dei «Mesi» costituisce il classico spettacolo “ambulante". Oggi la mobilità della rappresentazione è riferita e riferibile alle varie ripetizioni dello spettacolo che la “compagnia” fa nelle principali piazze delle frazioni e dei rioni di Macerata Campania. In epoche più antiche, invece, la mobilità era riferita ai trasferimenti che la compagnia degli artisti (non locali) faceva per raggiungere le piazze dei vari paesi. Giunta sul luogo previsto e dopo la preparazione della scena che consisteva nel formare un circolo, dava inizio allo spettacolo.
Carnevale – da “Carmen levare” – Eliminare la carne
CAPITANO
“Io songo il capitano della prima schiera e a casa mia si ... e si scala; se chisti dudici mesi non si porteranno bene, cuntrastà li voglio cu chesta mia bella frusta. E mò pulcinè sai che... vai da Gennaio e vid che te dice!
Dopo il preambolo introduttivo del «Capitano» (Capodanno!) è la volta dei Mesi, i quali, a turno, nel modo più plateale che sia poro possibile (in senso tradizionale e comico!), tra le approvazioni ed i commenti del pubblico che si assiepa dintorno, cantano a voce stesa la propria «canzone»: con timbro e tono diverso ma sempre con lo stesso motivo. Durante il canto essi tengono in mano una miniatura dell’attrezzo agricolo o strumento artigianale (prodotto agricolo o manufatto artigianale) che rappresentano i diversi tipi di lavoro caratteristici del “Mese”.
GENNAIO
Con cappello ornato di nastri o foulard e il corpo fasciato con scialle di seta, reca in mano...
CANTO:
“I’ so Gennaio e lu primme me’nzore.
Sto accustiune cu li pecorari e accaccie...
Cu li putatut.
Nu lle facce fa ‘na jurnata sana,
comme li voglia aunnà (?) sti jucatur
li voglio fa fenì e iastummà...
lloro cu guste e ie cu lu disgust
ce pose (?) ll’acqua, lu viet
e chesta frusta!
Formula di passaggio: “ Mo me ne vaco cuntient e felice... jesce febbraie e vire che te rice?!
A questo punto, facendo un mezzo inchino alla folla plaudente alza la mano che regge lo strumento identificativo del mese di gennaio, (...) la rivolge verso il mese di febbraio e rientra nel cerchio dei Mesi.
Gennaio
Io sono Gennaio e per primo mi sposo.
Sono in rotta/contrasto con i pecorai
e «accacce» con i potatori.
Non gli consento neanche una giornata intera di lavoro: come li voglio “aunnà” questi giocatori. Voglio che continuino a bestemmiare... loro son contenti ed io per dispetto gli porto pioggia, vento e questa frusta.
Adesso me ne vado contento e felice, esce febbraio e vedi che ti dice...
gaetano