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NON STO TANTO MALE

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domenica 1 marzo 2009

Salvator Ruju


Il fratello in web Gaetano Barbella, Il Geometra Pensiero in Rete, curioso e profondo lettore ha scritto:

POESIA SARDA E L’ECOPOETICO

Oggi mi è capitato di venire a conoscenza di un insigne poeta dialettale che non conoscevo, nientemeno di casa quasi tua, Pier Luigi, sassarese per la precisione.
Si tratta di Salvator Ruju
e il libro di raccolta delle sue poesie, a cura di Caterina Ruju, si intitola AGNIRÉDDU E RUSINA

SASSARI VÉCCIA E NÓBA

Edizione Ilisso.

Per ora mi è piaciuto leggerne alcune e conto di leggerle tutte con calma. Ma quale il nesso relativo con «ecopetico»? Il fatto che «ecopoetico» vuole essere inteso come fenomeno fisico, appunto, cioè come riflessione delle onde sonore come tu spieghi in questo post a commento.
E riscontro effettivamente nella poesia dialettale sarda, situazioni fonetiche che hanno del meraviglioso nel produrre suoni. L’ascolto può essere svincolato dal senso poetico mitologico che la poesia dialettale in questione suggerisce.
Si accenna nel poemetto suddetto alla varietà di suoni della grafia “sassarese” che ha sempre suscitato tanto interesse negli studiosi di fonetica.
La cosa mi incuriosisce ma anche mi affascina perché non ci avevo mai fatto riflessione.
Pier Luigi mi piacerebbe sentirti parlare di queste cose di casa tua.

Intanto mi onoro citare una delle poesie di Salvator Ruju, una breve ma assai bella.
È questa:

SÒ GUASI SESSANT’ANNI...


Sò guasi sessant’anni... A ti n’ammènti?

Allóra ti dizìa:

– Candu sòggu, Marì, affacc’a tè,

la lùzi di lu zéru à più iprandòri,

tutta la tèrra mi par’un giardhinu,

un incantu, un fïòri lu disthinu,

di vurézzi pa sèmpri cussì bè.

Sò guasi sessant’anni... A ti n’ammènti?

E abà còsa ti digu?



SON QUASI SESSANT’ANNI...


Son quasi sessant’anni... Te ne ricordi?

Allora ti dicevo:

– Quan- do sono, Maria, vicino a te,

la luce del cielo ha più splendore,

tutta la terra mi pare un giardino,

un incanto, un fiore il destino

di volerci per sempre così bene.

Son quasi sessant’anni... Te ne ricordi?

E adesso cosa ti dico?


Chi volesse leggere il libro lo trova interamente pubblicato in pdf cliccando qui.

Gaetano Barbella


SALVATOR RUJU (Agniru Canu)

Agniru Canu, pseudonimo dialettale di Salvator Ruju, nasce a Sassari il 6 maggio 1878..

Il suo esordio letterario è rappresentato da due raccolte di versi A Vent’anni (1898) e Palmira (1899). In occasione dell’inaugurazione, sul monte Ortobene di Nuoro, della statua del Redentore, dà alle stampe il poemetto Il canto di Ichnusa che verrà pubblicato anche su altri giornali nonché letto, con grande entusiasmo di pubblico, all’inaugurazione della società Elleno-Latina di Roma, retta da Angelo De Gubernatis, dal poeta crepuscolare Tito Marrone.
Consegue, nel 1908, a Catania, la seconda laurea in lettere con una tesi su Petrarca discutendola, tra gli altri, con Luigi Capuana. Due anni più tardi fa rientro a Sassari dove si sposa e contemporaneamente si dedica all’insegnamento dopo aver vinto i concorsi per l’Istituto Tecnico e per le Grandi Sedi.
Nel 1948 pubblica in volume l’Eroe cieco dedicato alle coraggiose imprese della Brigata Sassari. Collabora, inoltre, con diverse riviste e quotidiani locali, dà alle stampe novelle e poesie nonché i saggi: Le tendenze estetiche di Pietro Aretino (1909), L’antifemminismo di Francesco Petrarca (1909), Le rime spirituali di suor Maria Rosalia Merlo (1921).
Contemporaneamente coltiva la sua passione per il sassarese. Infatti, con la collaborazione di Giosuè Muzzo, attende alla redazione, nel 1955, del Supplemento al dizionario italiano-sassarese.
“Agniru Canu” e’ il poeta più di tutti ha cantato in versi dialettali la Sassari zappadorina (agricola).

Sassari era chiamata infatti zappadorina, urthurana (ortolana) e vignatera (vignaiola) per indicare le attività svolte dalla maggior parte delle famiglie del popolo, nella seconda meta’ dell’ ottocento e nei primi del novecento non c’ erano, infatti le industrie.

Nato da una famiglia di agricoltori in una casa di Via del Decimario nel rione del Duomo, passa la sua giovinezza in quei vicoli che erano teatro di giuochi di tutti i ragazzi di allora,

le cui esigenze erano le palline di terracotta, il tirelastico e la cirimella , la cosiddetta lippa.

Alterna il lavoro estivo nella campagna paterna con lo studio e già a diciannove anni comincia a pubblicare le sue poesia ne La Piccola Rivista.

Nel 1901, ad appena 23 anni, fonda, assieme ad Aroca, e dirige il settimanale goliardico Il Burchiello che lasciaquando, dopo il conseguimento della laurea in Legge (che non lo soddisfa) si iscrive nella Facoltà di Lettere dell’Università di Roma ove, introdottovi dalla Deledda, si inserisce nell’ambiente culturale e letterario allora molto vivace della Capitale, che gli permette di coltivare i suoi interessi giornalistici, poetici e letterari. È un periodo

molto fecondo per il Poeta, il quale, oltre che collaborare con il quotidiano sassarese La Nuova Sardegna, pubblica articoli di critica letteraria, di cronaca e novelle, oltre che

Il canto di Icnusa, elaborato che, letto nel Circolo Universitario di Roma dal poeta crepuscolare Tito Morrone, riscuote un grande successo. Yosto Randaccio, che presiedeva il Circolo di Filosofia e di Lettere, così lo ricorda: “Attrassi nella cerchia intellettuale romana il Poeta sempre un po’ timido, riluttante, incerto; dopo poche settimane

Salvator Ruju era una personalità tra i giovani più coltied intellettuali di Roma” (da S. Ruju, Novelle, a cura di C. Ruju, EDES).

E’ amico soprattutto del pubblicista, prosatore, critico nonché fine poeta simbolista, Guelfo Civinini che gli farà da guida nei meandri del giornalismo e lo introdurrà nel clima culturale che si respirava allora a Roma, un intreccio di positivismo, spiritualismo, socialismo e dannunzianesimo.
Le letture pubbliche in seno alla “Società dei Poeti”, che coinvolge nomi noti, come il Pirandello, lo indicano tra i protagonisti del vivace ambiente culturale della Roma

di quegli anni. Diversi giornali, come La Patria, La Rivista Ligure, La Rivista di Roma, Il Travaso, lo hanno come articolista e collaboratore.

A Roma vive una nutrita colonia sarda di alto valore, infatti, oltre a Grazia Deledda, troviamo insieme a Salvator Ruju, Randaccio, Stanis Manca, Medardo Riccio, Figari, Biasi ed altri, la cui presenza indusse il poeta a scrivere ad un amico: “Qui si parla di un pericolo giallo o di un pericolonero. Ridete? Eppure è così, si tratta di un pericolo aristocratico

intellettuale. Come? Spesso in una riunione di letterati e di artisti ci siamo, cioè ci hanno trovati, per buona metà sardi”.

Tutto finisce nel 1910, perché Salvator Ruju si sposa e rientra a Sassari per dedicarsi all’insegnamento ed alla famiglia; rallenta così l’attività letteraria pur collaborando a

quotidiani e riviste locali con pubblicazioni di saggi, novelle, poesia.

Le novelle sono sempre ambientate in Sardegna. Quelle che hanno per teatro la Barbagia risentono dell’influenza della Deledda e del Satta, ove domina lo spirito e la cultura dei pastori. In quelle successive, ambientate nella Nurra di Stintino, di Sassari e di Alghero, scompare l’influenza barbaricina per lasciare il posto ad un mondo a lui più congeniale, quale quello dei contadini, degli ortolani e dei pescatori, certamente più vicino alla sua cultura ed al suo vissuto di adolescente sassarese.

Con lo pseudonimo di Agniru Canu comincia allora a pubblicare poesie in sassarese, nelle quali può esprimere il suo amore per la sua città, il suo dialetto ed i suoi abitanti, iniziando così, diciamo una seconda vita letteraria, quella in dialetto, che gli darà una peculiare e duratura notorietà nell’ambito sassarese.

Soltanto nel 1956 però apparirà il volume che raccoglie le poesie di Agnireddu e la Rusina; seguiranno l’anno successivo quelle raccolte in Sassari veccia e noba, che sono certamente la migliore espressione del suo spirito arguto che quasi fotografa in versi quadretti della vecchia Sassari delle viuzze, città che andava scomparendo, sommersa dalle novità sociali e strutturali, dal poeta più sopportate che accettate, di quella Sassari noba, che l’illusione di una nuova futura Sardegna industriale andava modificando sia nel paesaggio con le ciminiere della S.I.R., che oscuravano il verde degli ulivi, sia con le tute dei giovani meccanici che sostituivano i braccianti agricoli e gli ortolani.

La sua poesia ha perciò non solo risvegliato l’interesse per la parlata sassarese, ma ha anche legato con un filo di ricordi il presente al passato, conservandone nei versi la memoria.

Aldo Cesaraccio. Maestro di giornalismo in Sardegna, e non solo, critico letterario e musicale, nel presentare Sassari in poesia, così scrisse:

“Salvator Ruju va ricordato sempre come poeta, come scrittore,

come cittadino, esempio luminoso di chi ama la sua città

come la sua famiglia e fa tutto quello che sa fare e che può

fare per illustrarla, farla conoscere, esaltarne gli aspetti, i volti,

le espressioni e gli umori che la caratterizzano. Guardiamoci

attorno e vediamo come la nostra città di tutto questo abbia

bisogno, soprattutto oggi che la sua decadenza assume aspetti

inquietanti”.

Pier Luigi

Ecco un' altra chicca della Sassari di un tempo ''la gobbula''

Sassari antica: Pompeo Calvia, Agniru Canu, Ziu Cesaru. Bastano questi tre nomi per glorificare
la storia di questa città Regia. Gli stornelli e
le gobbule sono uno dei tanti aspetti della cultura della città di Sassari, superbamente ornata di pizzi e di archivolti, di fregi e di fontane, di corti e di altane, di antiche
chiese campestri e di poesia.

La gobbula sassarese è un componimento popolare analogo ad altre forme di musicalità folk come le Carols, i Jingles e i Limericks. Tra queste forme si possono annoverare anche le 'coplas' che sono canti o strofe folklorico popolari andaluse da cui sembrerebbero derivino le 'Gobbule'. Lo stesso termine potrebbe avere perso dei pezzi nella storia e da Copla, forse è diventato 'Copula' ed in seguito 'Gobula'.

Nel sassarese assume le vesti di composizione
satirico-augurale. Secondo l'etno musicologo Sassu è una forma di recitazione a carattere iterativo tra un parlante e un coro di voci maschili, femminili o miste, oppure come canto monodico maschile con l'accompagnamento di tamburello basco chiamato 'trimpanu'. Mi ricordo di avere effettuato alcune registrazioni nel periodo pre carnevalesco, soprattutto durante i giorni vicino all'epifania.




8 commenti:

  1. Non conoscevo questo autore straordinario. Grazie a te e a Gaetano adesso posso colmare questa alcuna.

    Approfondirò la conoscenza delel sue opere un po' per volta.

    Grazie ad entrambi.
    annarita

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  2. Sorellina grazie, certo e' che Gaetano e' un incredibile ''trovarobe''.
    Buona domenica
    Vale

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  3. Miei cari amici, mi voglio un po' scoprire, ma non mi sfottete poi.
    Non è proprio come tu dici, Pier. Sono troppo impegnato a fare altre cose, (Annarita tu lo sai) e poco per dedicarmi al web, tanto meno a fare il trovarobe. Diciamo che mi merito l'aiuto della sorte (non per me, ma per gli amici come voi) e così per "puro caso" (per non scontentare i "casualisti") poco prima di mettere in scena la poesia sarda, non mi ricordo nemmeno come, devo aver "cliccato" sul punto giusto. Perché? Perché volevo fare un commento sull'ecopoetico, ma non sapevo come.
    gaetano

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  4. Il mio ''trovarobe'' non era riferito a tue ricerche nel web, ma semplicedmnente al fatto che riesci a trovare aspetti nascosti nei post degli amici, affidandoti alla tua vasta cultura, oltre che cliccare sul punto giusto.
    Anche io non sono un grande navigatore nel mare magnum del web, mi affido alle segnalazioni degli amici, delle sorelline, e alla mia biblioteca, sufficientemente dotata di buoni e scelti libri, fedeli amici delle mie ore di svago.
    Vale

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  5. ...delle sorelline, eh? Ma quante ne avresti di "queste sorelline", sentiamo.

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  6. ...lapsus tastiera
    ''della sorellina''
    Vale

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  7. Così, andiamo meglio:)

    Sogni d'oro, fratellino!

    RispondiElimina
  8. Sogni d' oro sorellina
    smac, smac :-)
    Vale

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