Alla gente d' Abruzzo, in particolare, ma a tutti nel mondo dedico il mio abituale augurio, viene dall' Irlanda
Che la strada si alzi per venirti incontro.
Che il vento sia sempre alle tue spalle.
Che il sole brilli caldo sul tuo viso.
E possa la pioggia cadere dolcemente sui tuoi campi.
Cammina in pace e sii contento
Ovunque tu sia sulla tua strada,
E finche’ non ci incontreremo di nuovo
Che Dio ti tenga gentilmente nel cavo della sua mano.
quest' anno ho deciso di aggiungere anche questo messaggio di pace
Shalom aleichem (Ebraico: שלום עליכם) è un tipico saluto ebraico. Il significato è "che la pace sia su di voi". Questo tradizionale saluto ebraico trasforma ogni incontro in uno scambio di pace.
Pace a voi, angeli ministratori, angeli dell'Altissimo,
del Supremo Re dei re, il Santo, Benedetto Egli sia.
Venite in pace, angeli di pace, angeli dell’Altissimo,
del Supremo Re dei re, il Santo, Benedetto Egli sia.
Beneditemi con la pace, angeli di pace, angeli dell’Altissimo,
del Supremo Re dei re, il Santo, Benedetto Egli sia.
Andate in pace, angeli di pace, angeli dell’Altissimo,
del Supremo Re dei re, il Santonedetto Egli sia.
La canzone che avete ascoltato e' in Yddish, una lingua discendente dal tedesco medievale con apporti ebraici, aramaici, romanzi e slavi, la cui rappresentazione grafica si serve di caratteri ebraici. E' la lingua di tutti i giorni, il 'parlare di casa', un filo che lega le comunita' ebraiche sparse un po' dovunque nell' Europa centrale e orientale.
Adesso gustatevi questo brano di un grandissimo film ''Train de vie'' , il Treno della Vita, in cui si racconta la drammatica esperienza dei popoli perseguitati. In questo brano c'e' un duello musicale tra zingari ed ebrei, due popoli tormentati, ma che si sono sempre ripresi, cosi' come si riprendera' la gente d' Abruzzo tormentata dal terremoto.
A questi miei auguri aggiungo quello di Cinzia Paolucci
Le campane suonano anche per te
Attraverso la finestra senza tende, da molto tempo vedo risplendere una piccola stella.
Non dormo. Ma fra Sabato santo e Pasqua, la notte non è fatta per dormire.
Le montagne e le foreste attendono: esse mi avvolgono in un alone luminoso.
La luna piena, progressivamente eleva, sospende il suo pio volto.
Il sole non è ancora alzato: c'è un'ora di questa immensa solitudine.
Non vi sono, per custodire il sepolcro, che questi milioni di stelle in armi, vigilanti dal Polo al Sud.
E d'un tratto, al chiaro di luna, le campane, in grappolo enorme nel campanile,
le campane, nel cuore della notte, come da se stesse, le campane si sono messe a suonare!
Non si capisce ciò che dicono, parlano tutte insieme!
Ciò che impedisce loro di parlare è l'amore, la sorpresa tutta insieme della gioia!
Non è un flebile mormorio, è la campana, verso i quattro punti cardinali, cristiana che suona a distesa!
Voi che dormite, non temete, perché e vero che io ho vinto la morte!
La terra che in un uragano di campane da tutte le parti si scuote, vi insegna che io sono risorto!
(Paul Claudel - Tu chi sei?)
e quello di Paola Tassinari, una poesia di Giuseppe Ungaretti
VEGLIA
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
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Augurio molto bello. Non hai però letto quello dei bambini di scuola elementare su scientificando.
RispondiEliminabellissimi auguri....
RispondiEliminaserena Pasqua anche a te cuor gentile!!
franca
Questo commento mi e' stato inviato dall' amico Gaetano Barbella in risposta agli auguri che avevo inviato a lui e ad altri amici blogger di cui conosco l' email.
RispondiEliminadi GAETANO BARBELLA
È bello l’augurio di pace che si sprigiona dalla preghiera e dalla canzone che ti è piaciuto inviare non solo a me ma anche al resto della ben affiatata cerchia di amici comuni del web.
L’occasione pasquale è propiziatoria della pace ma oggi occorre di più, perché i nostri fratelli dell’Abruzzo non la possono apprezzare. Occorre la consapevolezza che la pace è difficile da ottenere, poiché sulla Terra ci sono molti uomini di governo incapaci di garantirla anche se la promettono.
Per ricambiare alla tua bella email ho pensato di trasmetterti tre pagine di un bel libro del 2005 che è questo: Salam Shalon. Da Venezia a Gerusalemme in bicicletta di Alberto Fiorin, Ediciclo Editore, p. 14,15 e 16.
Si tratta di un viaggio di quattromila chilometri di tredici persone — undici ciclisti, un fotografo e l’autista del mezzo d’appoggio e che fanno parte dell’Associazione Ponti di Pace. È cominciato il primo agosto 2004 e si è concluso dopo 33 giorni.
Questo è il brano che ho estratto dal libro e che è intonato al tuo stesso saluto di pace:
Salam alek
Salam alek, pace a te. Ecco, forse in queste due parole si può racchiudere il significato di questo viaggio in Medio Oriente. Esperienza che verrà condivisa e vissuta per quattromila lunghi chilometri da tredici persone — undici ciclisti, un fotografo e l’autista del mezzo d’appoggio e che fanno parte dell’Associazione Ponti di Pace.
Salam alek. Questa formula di saluto diffusissima in tutto il mondo islamico e diventata proverbiale perfino in italiano, tanto da essere trasformata per paronomasia in salamelecco, che ha acquistato a dire il vero il significato di un complimento eccessivamente cerimonioso.
In quante occasioni capita di sentire tale parola - salam, sholom - in questi paesi! Ogni giorno viene reiterata tante volte, forse troppe perché il significato non ne esca svalutato da un uso ridondante, che ha fatto perdere evidentemente il suo senso originale. Quando si alza la cornetta del telefono per rispondere – sia in Israele che in Palestina – la formula è proprio questa, shalom o salam.
Ma cosa si cela realmente dietro questa frase rituale? Anche l’incip dei notiziari radiofonici e televisivi nei paesi mediorientali è sempre questo, sempre lo stesso, e poi - subito dopo, con apparente cinismo ed evidente dicotomia - vengono snocciolati i bollettini di una guerra non dichiarata ma sotto gli occhi di tutti, uno stillicidio di attentati e sanguinose repressioni, di terroristi e di soldati regolari, di sassi e di muri. In poche parole, di disperazione. Ma regolarmente, ad aprite la trasmissione, risuona quasi beffarda questa parola: pace.
È per cercare di capire questo clima, di respirare questa atmosfera che ci stiamo muovendo verso est; per percepire cosa significhi la parola pace per un croato, un serbo, un turco, un israeliano. È una parola che chiude oppure che spalanca le porte? Quali immaginari nasconde?
Questo viaggio all’insegna della pace vuole in qualche modo andate alla ricerca della capacita di accettare innanzitutto le differenze, trovare l’equilibrio prezioso e delicato della convivenza. Forse la nostra piccola comunità viaggiante – con le sue regole e i suoi ritmi – può costituire un esempio di convivenza esportabile su scala maggiore; quando si ha un preciso obiettivo si riesce a superare ostacoli e difficoltà che in altre situazioni possono apparire insormontabili.
Può sembrare poco, ma è con questo spirito che affrontiamo il viaggio, avventurandoci in luoghi che paiono sordi a questa parola o che la declinano in modi assai diversi.
E partiamo con il desiderio di portare la nostra testimonianza, un messaggio di pace da consegnare alle principali autorità di tutti i paesi attraversati. Quindi anche nei paesi balcanici toccati da guerre recenti e ancora con problemi di convivenza tra etnie e popoli diversi. Poi anche in Turchia, paese proiettato verso il futuro e verso l’ingresso nella comunità europea ma alle prese con un passato che non vuole ancora ammettere e superare, macchiato indegnamente dal dramma del popolo armeno e di quello curdo Ovviamente in Siria, paese splendido dal punto di vista culturale e archeologico ma anche decisamente ostico e ancora poco permeato dalla democrazia, in cui il presidente Assad II è succeduto al proprio padre, che a sua volta ha conquistato il potere con un colpo di stato. Di sicuro anche in Giordania, nazione sconvolta e toccata duramente dal conflitto con Israele ma che sta cercando di uscirne grazie a una storica svolta voluta dal suo carismatico re Hussein, recentemente scomparso, e proseguita dal figlio Abdullah. Il fatto che il quaranta per cento circa della popolazione sia palestinese tiene altissimo il livello della tensione e rende l'idea di quanto la situazione possa essere delicata.
E infine irrinunciabilmente, con forza, in Israele, nelle mani del sindaco di Gerusalemme, perché è proprio lì che vogliamo esprimere l’urgenza, il desiderio, la necessita per noi — semplici ciclisti italiani — e per il mondo intero che si possa scrivere finalmente la parola fine a questo scempio. E di giungere alla pace, che per forza di cose può scaturire solo da un compromesso, per dirla con le parole di Amoz Oz nel suo lucido saggio Contro il fanatismo: «Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non e integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte. Ma il compromesso deve vedere coinvolte tutte le parti in causa e così si spiega la nostra necessità di recapitare il messaggio.
Salam Shalon
Gaetano
Sì, è molto bello. Gaetano lo ha lasciato anche su Scientificando.
RispondiEliminaUn abbraccio
annarita
Ho letto, ho letto.
RispondiEliminaAncora una felice e radiosa giornata.
Ghocchi fritti
Tigelle con formaggio squaquerone
Passatelli in brodo
Strozzapreti di Romagna
Filetto di maiale al forno
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