La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

domenica 28 dicembre 2014

L’invenzione di un tipo umano: il terrorista

da il manifesto
ALIAS DOMENICA

L’invenzione di un tipo umano: il terrorista

Resistenza. Nella storia dei gap di Santo Peli, tentativi e fallimenti nelle azioni di piccoli gruppi, presto disintegrati da errori e tradimenti; ma si contarono anche gesti eroici, soprattutto fra le donne
Un libro di sto­ria che ha nel titolo la parola «ter­ro­ri­smo» è una occa­sione da non per­dere. Viviamo immersi in un pre­sente senza tempo: l’orizzonte è occu­pato da una spe­cie di terza guerra mon­diale con­tro il ter­ro­ri­smo. I «Guan­tà­namo files» docu­men­tano quante e quali tor­ture siano state pra­ti­cate nel ter­ri­to­rio extra-legem della con­ces­sione strap­pata a Cuba dall’imperialismo ame­ri­cano del primo ‘900 men­tre giu­dici e governo degli Stati Uniti chiu­de­vano gli occhi e la cul­tura giu­ri­dica del paese abi­tuato a defi­nirsi orgo­glio­sa­mente «gover­nato dalla legge» sci­vo­lava verso gli abissi della legit­ti­ma­zione di trat­ta­menti degra­danti in nome della guerra al ter­ro­ri­smo. E ora, ecco che lo sto­rico Santo Peli pro­pone di col­le­gare la Resi­stenza col ter­ro­ri­smo in Sto­rie di Gap Ter­ro­ri­smo urbano e Resi­stenza (Einaudi, pp. VIII-280, euro 30,00).
La Resi­stenza è un’epopea di mon­ta­gna, non la si può imma­gi­nare senza pae­saggi alpini. Lo dicono le sue can­zoni: «Dalle belle città date al nemico/ fug­gimmo un dì su per l’aride mon­ta­gne»: ma se il par­ti­giano fosse rima­sto sulla mon­ta­gna, magari sepolto «sotto l’ombra di un bel fior», la sto­ria dell’Italia sarebbe stata diversa. Nes­suno si sarebbe accorto che c’era una guerra civile, così come nes­suno seppe allora della depor­ta­zione degli ebrei del ghetto di Roma o della strage di Meina. Gli occu­panti tede­schi ave­vano tutto l’interesse a tenere all’oscuro la popo­la­zione e a pre­sen­tarsi come i tutori dell’ordine che il regime repub­bli­chino non era in grado di garan­tire. Così all’arrivo degli alleati gli ita­liani sareb­bero usciti dai rifugi anti­ae­rei né più né meno come vi erano entrati. Fu pen­sando a come tra­sfor­mare la guerra in rivo­lu­zione sociale e poli­tica che a fine set­tem­bre 1943 il Par­tito comu­ni­sta dette vita, accanto al modello orga­niz­za­tivo delle nascenti bri­gate Gari­baldi, alla costi­tu­zione dei Gap, gruppi d’azione patriot­tica: accanto al modello iugo­slavo della guerra per bande i comu­ni­sti si impor­tava così in Ita­lia quello fran­cese dei «Francs-tireurs et par­ti­sans».
Il colore ita­liano lo dava l’epopea risor­gi­men­tale: il nome di Gari­baldi, l’evocazione dei «patrioti», la Resi­stenza come secondo Risor­gi­mento. In realtà quello che fu orga­niz­zato coi Gap fu un pro­getto di ter­ro­ri­smo urbano. Fu voluto e attuato «solo dal par­tito comu­ni­sta», come scrisse Pie­tro Sec­chia : anche se non man­ca­rono apporti signi­fi­ca­tivi del Par­tito d’azione e del Par­tito socia­li­sta. Tema duro e dif­fi­cile: finora nes­suno lo aveva per­corso in modo siste­ma­tico. Dif­fi­cile per la man­canza o la disper­sione delle fonti, che ren­dono impos­si­bile una rico­stru­zione det­ta­gliata capace di mostrare i fili che con­net­tono tante sto­rie di indi­vi­dui e di pic­coli gruppi; ma dif­fi­cile anche per ragioni ine­renti il feno­meno del ter­ro­ri­smo. In que­sto libro appare straor­di­na­ria­mente inte­res­sante l’analisi di come fu creato il ter­ro­ri­sta quale tipo umano. C’è un sen­ti­mento comune, una repul­sione che scatta davanti al com­pito di ucci­dere a san­gue freddo una per­sona che non si cono­sce. L’odio con­tro un fasci­sta, come il colon­nello Inga­ramo, una spia come il Pol­la­stra (Bruno Landi) o Nello Nocen­tini, un tor­tu­ra­tore come il mag­giore Carità, era una spinta suf­fi­ciente all’azione: si poteva con­tare anche sulla appro­va­zione del quar­tiere popo­lare anti­fa­sci­sta. Ma per­ché ucci­dere a freddo un vec­chio pro­fes­sore indi­feso, come Gio­vanni Gen­tile? O un sol­dato tede­sco, un gio­vane uomo ignaro e senza altra colpa che di essere un occu­pante stra­niero? Non ci fu certo il tempo di sele­zio­nare e adde­strare i mem­bri delle Gap. Da qui gli epi­sodi di atten­tati fal­liti per l’invincibile dif­fi­coltà a diven­tare un assas­sino di per­sone sco­no­sciute e indi­fese. Eppure non c’è dub­bio che la neces­sità sto­rica e poli­tica della discesa della guerra civile nelle città esce con­fer­mata dallo stu­dio di Peli e le vicende indi­vi­duali da lui rico­struite ci ripor­tano il sapore aspro del risve­glio a caro prezzo degli ita­liani dall’attendismo, dalla tor­pida quiete ven­ten­nale del regime.
Quando i Gap comin­cia­rono a ucci­dere non solo fasci­sti ita­liani ma anche sol­dati tede­schi si sca­tenò, come pre­vi­sto, la rea­zione in forma di rap­pre­sa­glie. E la popo­la­zione ita­liana, dura­mente risve­gliata dall’assuefazione al regime di occu­pa­zione tede­sca appa­ren­te­mente paci­fica, pagò prezzi di san­gue. Si apri­rono da allora ferite dif­fi­cili da rimar­gi­nare: sap­piamo bene quale lunga scia di pole­mi­che abbia lasciato l’episodio che portò alle Fosse Ardea­tine e quanto inchio­stro con­ti­nui a scor­rere ancora intorno all’uccisione di Gio­vanni Gen­tile. Da qui emerge un pro­blema gene­rale attua­lis­simo, di cui Santo Peli illu­mina la natura tra­gica: la dif­fi­coltà di creare il ter­ro­ri­sta come tipo umano capace di ucci­dere a freddo, di met­tere nel conto il prezzo di vite inno­centi che sarà pagato.
Leg­gendo le sue pagine viene in mente una scena del film di Gillo Pon­te­corvo, La bat­ta­glia di Algeri: quella della donna che mette la bomba in un mer­cato dove stanno entrando donne e bam­bini. Nella Resi­stenza ita­liana rac­con­tata da Santo Peli incon­triamo donne e uomini a cui si dovette inse­gnare a supe­rare la repul­sione istin­tiva a ucci­dere a tra­di­mento per­sone sco­no­sciute. Impa­rare ad ammaz­zare qual­cuno senza l’impulso dell’offesa da risar­cire o della neces­sità di difen­dersi voleva dire pas­sare dal tipo del par­ti­giano (il nemico asso­luto, come l’ha defi­nito Carl Sch­mitt) all’altro e ben diverso livello, quello del ter­ro­ri­sta. E non fu facile creare que­sto nuovo tipo umano. Lo si vide ripe­tu­ta­mente nella sto­ria delle azioni di quei mesi, quando i primi mem­bri dei Gap non riu­sci­vano a pre­mere il gril­letto; erano per­sone di indi­scu­ti­bile valore e deter­mi­na­zione, ma nel momento deci­sivo li bloc­cava un istinto, un inter­detto morale pro­fon­da­mente radi­cato.
Di fatto l’esperimento dei Gap fu breve, limi­tato a pochi gruppi o indi­vi­dui, minato da una incre­di­bile povertà e pre­ca­rietà di mezzi: si pensi che i gap­pi­sti che il 1° dicem­bre 1943 ucci­sero a Firenze Gino Gobbi, il coman­dante del distretto mili­tare, ave­vano due bici­clette in quat­tro e due pistole malan­date di cui una si inceppò. Quelli che a Roma ucci­sero un mili­tare tede­sco dovet­tero ser­virsi di trin­cetti da cal­zo­laio. La sto­ria dei Gap rico­struita con una ricerca paziente e accu­rata da Santo Peli fu una suc­ces­sione di ten­ta­tivi e di fal­li­menti, di pic­coli gruppi pre­sto disin­te­grati da errori e tra­di­menti; ma fu anche sto­ria di eroi­smi straor­di­nari, in cui bril­la­rono spe­cial­mente le donne. E comun­que la resi­stenza a ucci­dere i tede­schi rimase come un osta­colo dif­fi­cile da supe­rare anche quando la lotta dalle città si tra­sferì alle cam­pa­gne. Il che avvenne nell’estate del ‘44 . Fu a que­sto punto che, con­clusa la sta­gione dei Gap, entrò in scena un nuovo pro­getto stra­te­gico, quello delle Sap.
Per dare vita all’insurrezione di popolo come vero momento di libe­ra­zione nazio­nale il ter­ro­ri­smo non bastava. Biso­gnava esten­dere la rivolta, coin­vol­gere la popo­la­zione. Que­sta l’idea di Togliatti nell’appello lan­ciato da Napoli il 6 giu­gno 1944. Fu la svolta che portò alla costi­tu­zione delle Sap: squa­dre reclu­tate dal pro­le­ta­riato di fab­brica delle città del trian­golo indu­striale, o dalle masse con­ta­dine dell’Emilia Roma­gna. Que­ste squa­dre svol­sero un’azione di attacco con­tro nemici fasci­sti e occu­panti tede­schi legan­dola però a com­piti di aiuto alla popo­la­zione. A Torino, a Milano, ven­nero abbat­tuti alberi seco­lari per por­tare legname alle fami­glie: e fu ancora a Torino che furono pre­le­vati e distri­buiti sei quin­tali di sale da parte dei sap­pi­sti.
I pro­ta­go­ni­sti cam­biano, non sono più i vec­chi mili­tanti (trenta-quarantenni in realtà): i mem­bri della bri­gata geno­vese dei Balilla sono ragazzi di vent’anni e anche meno. Quando il ter­ro­ri­smo si muove nelle cam­pa­gne non è più quello delle pic­cole unità iso­late che si muo­vono nel buio delle notti tra i vicoli cit­ta­dini: quello che nasce e si svi­luppa con le Sap è una guerra con­ta­dina con­tro il nemico di classe, un feno­meno di massa dove chi agi­sce può con­tare sulla soli­da­rietà e sull’aiuto della popo­la­zione. Que­ste pagine ci gui­dano nelle cam­pa­gne emi­liane, distin­guono con mano sicura le dif­fe­renze tra il mode­nese, il fer­ra­rese e il reggiano.

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