La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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romanzo di Gianni Zanata

domenica 31 agosto 2014

Un sogno by GIANNI ZANATA




Un sogno.
“Una città misteriosa. Un paese mediorientale. Luoghi mai visti, mai visitati. Cieli mai guardati. Profumi d’erbe e di acque salmastre.
È quasi l’imbrunire. Sento rumori di animali e di catene.
Sono sdraiato di lato su un pagliericcio di iuta e cartone. Provo una sensazione di nausea. Mi sollevo. Prima seduto, poi in piedi. La stanza è piccola e vuota. Le imposte della finestra sono leggermente accostate. Le apro. I tetti delle case sono bassi.
Mi infilo una giacca di lino, esco. Percorro un viale, lungo e spoglio, costeggiato da un muro alto. I marciapiedi sono ricoperti di foglie.
Continuo a camminare. Il fiume in basso scorre lento. Oltre il corso d’acqua c’è il mercato. Ci sono tende sistemate in uno ampio spiazzo disseminato di pietre e polvere.
Il mercato mi fa paura. Non so perché. Ma ci sono già stato e so che è un posto pericoloso. Ho paura e accelero il passo.
Occhi che mi scrutano, voci che mi inseguono.
Una donna urla e si dispera. È in ginocchio, un velo nero le fascia il capo. È circondata da diversi uomini che la guardano in silenzio.
Loro si voltano e guardano me. La donna urla il mio nome nel frastuono dei mercanti. Devo fare presto.
Corro. Svolto in un dedalo di viuzze buie. Le finestre delle case sono chiuse. Le porte sono verniciate di bianco.
Strade strette e lunghe. Si snodano su una pendenza che mi toglie il fiato. Salgo ancora. Sempre più in alto. Mi inerpico su una collina. Arrivo in cima. Da lassù osservo il lembo occidentale dell’abitato. Un tappeto di luci soffuse.
L’oscurità mi sovrasta. Su una spianata i resti di un tempio. Vecchie colonne che sorreggono il nulla, enormi massi squadrati che sembrano sistemati alla rinfusa.
Allargo le braccia, con le palme delle mani rivolte al buio, in posizione sacrificale. E allora comincio a girare. Dapprima lentamente, poi sempre più veloce, sempre più veloce, sempre più veloce. Sino a confondermi, sino a eccitarmi, sino a stordirmi, sino a perdere i sensi e volare, volare, volare.
Volo sui pascoli e sulle alture, sui ricoveri del bestiame, sui pastori che vegliano, sulle abitazioni della pianura, sui recinti degli asili, sulle cupole delle chiese, sulle cime isolate e sugli scogli nel mare. Plano sui campi, sulle onde, sui caseggiati d’argilla, sui terreni brulli, sul fuoco degli accampamenti e sui riverberi delle tempeste di sabbia.
Plano dolcemente. Un’aquila che si lascia sospingere dal soffio del grecale. Dalla corrente di un fiume. Dall’ebbrezza di una notte senza stelle. Dallo scoppio di un sole che muore. Verso la luce improvvisa. Bianca. Accecante.
Mi svegliai di colpo”.
["Prestami una vita", Edizioni Rebus, La Spezia, 2008 - pagine 156, 157, 158]

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