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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

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NON STO TANTO MALE

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mercoledì 18 febbraio 2009

Enigmi del ritratto Pacioli, di Gaetano Barbella

Il fratello in web Gaetano Barbella, alias "Il Geometra Pensiero in Rete", (http://www.webalice.it/gbarbella/) mi ha inviato un interessante scritto che volentieri pubblico in questo blog che, da "lettino psicanalitico" di un serial killer, si sta trasformando in un "caffé letterario"


Enigmi del ritratto Pacioli
“ IACO. BAR. VIGENNIS P.1495 ”








Illustrazione 1: Ritratto di Luca Pacioli - Pinacoteca del Museo di Capodimonte di Napoli.


La questione
posta dal sito http://www.ritrattopacioli.it/

Cartiglio segnatura e mosca

E’ solo per la carenza di reperti documentali, di testimonianze ed attestazioni storiche, se resta tuttora irrisolta la questione attributiva dell’enigmatico “Ritratto di Luca Pacioli”, conservato nella Pinacoteca del Museo di Capodimonte di Napoli e raffigurante il frate matematico autore della “Summa de Arithmetica” e del “De Divina Proportione”?
La scarsità di documentazione disponibile non fornisce notizie in ordine alla esecuzione e originaria destinazione del dipinto.
Le prime notizie documentali sono posteriori di oltre un secolo alla presumibile formazione del ritratto e risalgono ad un inventario del 1631, senza informazioni sulla data e modalità di acquisizione, sulla collocazione e conservazione nel palazzo Ducale di Urbino.
Incluso in un elenco di beni del Guardaroba dei Della Rovere, la prima inventariazione reca solo mere ipotesi sull’autore ed anche i successivi documenti non soccorrono, riguardando soltanto il trasferimento del dipinto, a metà del XVII secolo, da Urbino a Firenze e dalla dinastia urbinate a quella medicea fiorentina, tramite Vittoria della Rovere-Medici.
Le tracce del dipinto ricompaiono secoli dopo a Napoli, sempre nel possesso della discendenza dei Medici, nel ramo cadetto di Ottaviano, per giungere alla attuale destinazione museale a seguito di esercizio della prelazione statale sulla vendita destinata all’estero.
Se la tradizione storica tace, l’attribuzione attuale è generica e residuale, solo presuntivamente autografa, essendo riferita ad incerte interpretazioni delle indicazioni siglate rilevabili sull’anomalo “cartiglio” raffigurato nel dipinto.
La ricerca storiografica e quella critica non hanno tratto stimolo e tanto meno fatto progressi neppure a seguito della revoca critica delle originarie ipotesi formulate.
Dopo un iniziale sollecito agli studi dovuto alla acquisizione ed esposizione nel museo della Reggia di Capodimonte, nonostante periodici riesami in diversa cadenza, più o meno rarefatta, non si è pervenuti a sostanziali apporti documentali o critici risolutivi, quantomeno di indicazione di elementi di novità per l’apertura di ulteriori percorsi di indagine e, con l’esaurimento progressivo nel tempo delle possibili interpretazioni rilevabili dalle indicazioni stesse del dipinto, si è verificata una protratta stasi della ricerca attributiva.
Considerata la elevata qualità pittorica ed artistica dell’opera, l’intensificazione espositiva in mostre, l’adozione dell’immagine a simbolo di un ordine professionale, la più intensa divulgazione dell’immagine in riproduzioni fotografiche, anche per illustrazione di copertina di opere editoriali, l’assenza di studi recenti assume significato e carattere di vera e propria implicita desistenza e rinuncia all’indagine.
Sugli esiti delle ricerche si è frapposto l’ostacolo fuorviante della iscrizione “IACO.BAR. VIGENNIS. P. 1495”, apparente abbreviata segnatura ed ineludibile ed irrisolta crittografia, resa ancor più ambigua dalla sovrapposta raffigurazione di una mosca.
L’interpretazione del malinteso cartiglio e delle sue iscrizioni e abbreviazioni ha condizionato l’indagine sin dall’origine, sviando da prospettive e direzione storiche per l’individuazione dell’autore.
Ma anche l’omissione di una approfondita ermeneutica del dipinto e la preferenza data alle sole metodiche di analisi stilistico-pittorica, ha ristretto il campo della ricerca trascurando altri ambiti di necessaria indagine critica.
Si è in tal modo rimesso al fortuito ed al caso la soluzione della questione, alla mera eventualità di un rinvenimento archivistico risolutivo che non è ancora sortito.
Su tale anomalia ha inciso, oltre all’assenza di tradizione e citazioni storiche, l’effetto riduttivo indotto dall’anonima e riservata conservazione presso la Corte Urbinate e successivi possessori.
Si è implicitamente attribuito al dipinto un valore prevalentemente documentario, nella limitativa valutazione di pregevole ritratto di rilevanza storica piuttosto che artistica, giudizio certamente non adeguato ai contenuti ed ai pregi estetici che vi sono espressi.
L’opera, rimasta prima incognita e poi sostanzialmente non compresa, si è tuttavia imposta e diffusa per le sole intrinseche qualità estetiche, per vigore e suggestione di immagine, pur in difetto del richiamo e clamore di una prestigiosa paternità d’autore.


Contributi e commenti alla questione.
Le due verità

Si cerca la verità, ma non la si trova mai, sapete perché? Perché è come quel tenue filo che tiene sospeso il rombicubottaedro dell’enigmatico Ritratto di Luca Pacioli esposto nella Pinacoteca del Museo di Capodimonte di Napoli. Tutti si chiedono spiegazioni su quest’opera d’arte della quale non si hanno nemmeno cognizioni certe sul suo autore. Certezze essi cercano in ogni dove di questa sorta di esposizione allegorica.
Solide certezze sapienziali, innanzitutto, come sembra indicare quel solido poliedrico, un piccolo dodecaedro al lato opposto dell’evanescente rombicubottaedro. Esso è poggiato infatti su un grosso volume dalle tante pagine ben serrate, per significare con l’immobilità il potere incisivo del sapere del libro chiuso, però. E le dodici facce poligonali del poliedro sono quelle dell’uomo esposto al variare periodico del tempo che muta continuamente dodici volte l’anno, appunto.




Illustrazione 2: Dettaglio Ritratto di Luca Pacioli - La mosca sul cartiglio.

Ci sono due rovesci di questa sorta di medaglia del sapere del certo: il primo è la fissità di ogni cosa, sinonimo di condizione di morte che, se non altro, con il placar dei sensi essa par che si ben disponga; il secondo, non migliore del primo, è quella mosca sul cartiglio a scompigliar l’assoluta completezza del saper saccente.
È qui il “tenue” filo opposto a quella sorta di cristallo, che par che viva, in alto sospeso a sinistra, attrattivo e assai amabile, che sembra però irraggiungibile. E c’è anche discordia sull’interpretazione del cartiglio, a causa dell’iscrizione parzialmente occultata dal noioso insetto.
Che vuol dire tutto ciò, oltre a capire che le decisioni finali dei fatti della vita, spettano, comunque, alla sorte? Che è in questa sede “ombrata” provvidenzialmente messa a bella posta, che si adopera «sorella Morte», come l’ha venerata il poverello di Assisi, S. Francesco, per porre la croce che si conviene su ogni uomo, l’evangelico «peso soave» a detta di Gesù.
Il sapere è una bella cosa ma porta a far scegliere all’uomo che se ne nutre a sazietà, quasi sempre la strada del benessere, che non è quella del giusto bene. Ecco che ora si capisce il mistero riposto nella mosca che è, molto spesso, portatrice di infezioni a volte inguaribili!
E il rombicubottaedro, del quale ho tenuto sospeso anche il parlarne, dopo aver detto che la verità è come riposta nel tenue filo che lo tiene sospeso ad un cielo che nemmeno si vede?
Certo però fra’ Luca Pacioli è come assorto, assorbito da quella figura stranamente come se fosse vivente. La guarda con mestizia ed amore e sembra che l’agogni perdutamente. In realtà il rombicubottaedro non esiste, è presente solo nell’immaginazione del solerte “geometra” in lui che lo dispone alla sua specifica geometria, ed è questo che sembra indicare il suo daffare con la mano destra ed anche la sinistra.
Ma allora la verità che gioverebbe all’uomo, così come la suggerirebbe fra’ Luca Pacioli, e non l’altro accanto che è sempre Pacioli (ma come uomo disposto alle assolute certezze, se pur con i rovesci indicati dal cartiglio e la mosca peregrina), è nella fede in Cristo e nella sua Chiesa, che può essere paragonata al “velo” della mente che custodisce l’anima immortale dell’uomo.
Ecco la verità del potere cristallino e dell’antica armonia delle possibili sfere in essa che ruotano, un tutto all’insegna di una ferrea matematica!
Dunque la verità del rombicubottaedro sta nel mantenimento della fede attraverso un imprecisato velo dogmatico che non andrebbe mai eluso. Di qui il dogma Mariano che ha dovuto subire nell’arco della storia assalti che non si contano. Tuttavia la vita impone necessariamente che l’uomo, quello del dodecaedro, cerchi anche da sé la verità attraverso la «scienza del bene e del male», senza però propendervi al punto da mortificare l’altro, l’uomo del rombicubottaedro, il «Figlio di Dio», mentre il primo è il «figlio dell’Uomo». Il passo è breve per immaginare che si sta parlando di un emblema chiaramente cristico la qual cosa non esclude altre parvenze di espressioni culturali del mondo dell’arte e non solo.

Gaetano Barbella

Risposta
da: ritrattopacioli [info@ritrattopacioli.it]

«Il suo messaggio coglie la problematica della ricerca del vero. Forse va considerato, secondo il pensiero vichiano, che “verum est ipsum factum”. In ogni caso dal fatto si può riconoscere l’autore, essendone la sua espressione o intenzione. I livelli dei fatti sono diversi e può individuarsi autore e Autore.»

http://www.youtube.com/watch?v=NlT8yeEYbMs

6 commenti:

  1. Lo leggo con calma. Gli scritti di Gaetano richiedono tempi distesi e concentrazione.

    Per il momento, un ringraziamento in attesa di un commento circostanziato.

    Abbracci cumulativi
    annarita

    RispondiElimina
  2. Dalla stessa fonte ritrattopacioli [info@ritrattopacioli.it], in una successiva e-mail viene detta quest’altra frase: «Leonardo che si definiva “omo sanza lettere” criticava i “trombetti” della cultura, coloro che a sostegno delle proprie tesi invocano l’“autorità” del pensiero “consolidato”, esercitando “la memoria e non l’intelletto”.
    Le cose “narrano” ed è questo il vero “senso delle cose”. Un poliedro complesso, un volto, la grafica di nuove lettere sono frasi di un discorso che assume un significato. Come va inteso? “A ciascuno il suo”: non in senso retributivo e di equità del dare, ma di ricezione.». Dunque è in questo senso che si può cogliere «la problematica della ricerca del vero», là dove si può riconoscere l’autore ai vari livelli.
    gaetano

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  3. Sono riuscito a leggerlo
    Questa sera mi sono concesso una pausa per godermi il tuo blog
    Complimenti
    Da dove viene la firma Vale?
    Salutoni
    Saba

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  4. Caro Gaetano sempre puntuali e precisi i tuoi studi sui dipinti. Su questo il tuo scritto è esaustivo. Tra l' altro il tema risulta attuale oggi, infatti ci sono scienziati che non rinunciano alla loro fede , non la trovano in contrasto con la scienza e milioni di persone che si chiedono se sia giusto lasciare campo libero alla scienza in tematiche come la manipolazione del DNA , la clonazione ecc.Ti volevo poi chiedere se tu ravvisi in questo dipinto una mano di bottega botticelliana? Ciao ed un ciao anche a Pier Luigi.

    RispondiElimina
  5. Sì Paola, ravviso, come dici tu, una mano di bottega botticelliana nel "Ritratto di Luca pacioli". Cosa che intravedo nella "Madonna con Bambino e Angeli", guarda caso conservato a Napoli, nella Galleria Nazionale di Capodimonte, al pari del dipinto di Pacioli. Oltre alla disposizione dei vari piani a scalare, è incisivo sulla concezione matematica della pittura in relazione alla meditazione in relazione alla sua tendenza, e quella di altri suoi colleghi, molto seguita nel loro tempo. Il dipinto della Madonna con quello del Pacioli, entrambi assorti e svincolati dal piano a vari livelli a scalare, quale aggiunta metafisica.
    C'è poi un altro tema che accomuna questi due quadri, in quello del Pacioli la ricerca della verità secondo la mia visione espressa col post, e nell'altro della Madonna di Botticelli, ma in modo traslato alla necessità del suo autore di occuparsi della lotta tra un principio superiore ed uno inferiore. Si tratta del dramma esistenziale dell'uomo neoplatonico incapace di pervenire alla perfezione a causa dell'irrazionalità dettata dall'istinto. Verrebbe da pensare a questo in quel misterioso meditare della Madonna, ma non dovrebbe essere che serena e ripiena di grazia al riparo dall'assillo che fremeva invece Botticelli. Questo dubbio sembra riflettersi sul Bambino e i due Angeli che che quasi cercano di distoglierla, ma non possono fare altro che guardarla mostrandosi decisamente turbati. Ma è una mia labile percezione che è la stessa dei matematici preoccupati di far quadrare i conti.
    E grazie per l'apprezzamento delle mie cose.
    Ciao, gaetano

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