La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

venerdì 24 ottobre 2014

CULTURA La libertà neoliberista contro la democrazia

da il manifesto
CULTURA

La libertà neoliberista contro la democrazia

Saggi. «La dittatura dello spread» di Alessandro Somma per DeriveApprodi. La ricerca delle origini dell’ideologia neoliberista portano alla crisi tedesca degli anni Trenta. La democrazia e la classe operaia erano il nemico interno che andava combattuto da uno stato forte

Nel noto sag­gio, Le ori­gini cul­tu­rali del Terzo Reich, pub­bli­cato nel 1968, lo sto­rico tede­sco, natu­ra­liz­zato sta­tu­ni­tense, George Lach­mann Mosse, ana­liz­zando il pro­cesso di incu­ba­zione della cul­tura nazio­na­li­sta del Volk del XIX secolo che sarebbe sfo­ciata poi nell’ideologia nazi­sta, scri­veva: «la rivo­lu­zione nazi­sta fu la rivo­lu­zione bor­ghese “ideale”, in quanto “rivo­lu­zione dell’anima”, che in effetti non suonò minac­cia per nes­suno dei legit­timi inte­ressi eco­no­mici della classe media; al con­tra­rio, l’ideologia nazional-patriottica aveva di mira, all’interno, un altro nemico».
Il bel libro di Ales­san­dro Somma
 La dit­ta­tura dello spread. Ger­ma­nia, Europa e crisi del debito (Derive&Approdi, euro 20), pur nella dif­fe­renza disci­pli­nare (Somma è un giu­ri­sta, docente di Diritto com­pa­rato euro­peo a Fer­rara), sem­bra riper­cor­rere lo stesso iter di ana­lisi. Il pon­de­roso e denso sag­gio (300 pagine), indaga le ori­gine cul­tu­rali dell’unificazione euro­pea sino all’attuale moneta unica, a par­tire dal punto di vista dell’evoluzione del pen­siero poli­tico tede­sco.
La sto­ria ha ini­zio con un’approfondita ana­lisi del pen­siero ordo­li­be­ri­sta degli anni Trenta: decen­nio cru­ciale che segna una cesura con la tra­di­zione libe­rale e influenza in modo deter­mi­nante il futuro pen­siero della seconda metà del Nove­cento. Come già ana­liz­zato da Michel Fou­cault nella
 Nascita della Bio­po­li­tica, il pen­siero ordo­li­be­rale ha accom­pa­gnato l’ascesa del nazi­smo, in una sorta di com­pli­cità com­plessa (Ale­xan­der Rustow e Jörg Rupke abban­do­nano la Ger­ma­nia nazi­sta, emi­grando entrambi a Istam­bul, Lud­wick Ehrard rimane in Ger­ma­nia sino a diven­tare mini­stro dell’economia con Ade­nauer per poi suc­ce­der­gli). Il pen­siero ordo­li­be­rale, infatti, giu­sti­fi­cava la neces­sità di uno Stato forte (sino a con­tra­starne le forme demo­cra­ti­che) a van­tag­gio di un sistema eco­no­mico in grado espri­mere la pro­pria potenza con­cor­ren­ziale, senza il vin­colo posto dal con­flitto capitale-lavoro («il nemico interno»). Il man­te­ni­mento dell’ordine pro­prie­ta­rio por­tava a pri­vi­le­giare la libertà eco­no­mica a sca­pito delle libertà politiche.
IN CON­TI­NUITÀ CON IL NAZISMO
Dopo l’avvento e la caduta del nazi­smo, la rina­scita eco­no­mica tede­sca doveva per forza svol­gersi all’interno di un con­te­sto for­mal­mente demo­cra­tico, sia per con­trap­porsi al modello sovie­tico sia per favo­rire il soste­gno eco­no­mico sta­tu­ni­tense. Due sono stati i pila­stri della cre­scita eco­no­mica della Ger­ma­nia occi­den­tale: la riforma mone­ta­ria voluta da Ade­nauer e appli­cata dall’allora mini­stro dell’economia Lud­wick Ehrard e il lan­cio della cosid­detta «eco­no­mia sociale di mer­cato», che pose le basi per lo svi­luppo della gover­nance del lavoro (Mit­be­stim­mung).
Il libro di Somma ana­lizza in det­ta­glio le ori­gini cul­tu­rali del modello sociale tede­sco, defi­nen­done l’ordinamento socio-economico già nel 1938 al Col­lo­quio Wal­ter Lip­p­mann in pre­vi­sione della caduta del nazi­smo: alcune di quelle linee-guida post-nazismo sarà pro­prio il nazi­smo a stra­vol­gerle. Come sot­to­li­neato da Dar­dot e Laval ne
 La nuova ragione del mondo è in que­sto momento sto­rico che si met­tono le basi per la nuova razio­na­lità neo­li­be­ri­sta. Somma sot­to­li­nea come tale fon­da­zione abbia ori­gine nel periodo nazi­sta.
L’«economia sociale di mer­cato» del secondo dopo­guerra si scon­tra ini­zial­mente con la visione social­de­mo­cra­tica della «demo­cra­zia eco­no­mica». Tut­ta­via, dopo la svolta di Bad Gode­sberg (1959), le due visioni, entrambe volte a dare rispo­ste in grado di annul­lare il con­flitto tra capi­tale e lavoro (la prima tra­mite un wel­fare sociale subor­di­nato alla libera con­cor­renza del mer­cato, il secondo tra­mite una coge­stione nelle deci­sioni pro­dut­tive tra sin­da­cato e padro­nato), ten­dono a con­ver­gere in quello che oggi pos­siamo defi­nire il modello tede­sco: un forte wel­fare selet­tivo e for­te­mente con­di­zio­nato (dove l’intrusione dello Stato nella sfera pri­vata dei cit­ta­dini è par­ti­co­lar­mente forte) con­giunto alla piena libertà impren­di­to­riale sulla base del sistema di coge­stione.
Ha ragione Somma quando afferma: «I modelli teo­rici e le pra­ti­che ordo­li­be­rali, di cui l’economia sociale di mer­cato costi­tui­sce uno svi­luppo, indi­cano una com­bi­na­zione di riforma delle libertà eco­no­mi­che e com­pres­sione delle liberta poli­ti­che». E tale com­bi­na­zione, che nel periodo tra le due guerre favorì in Europa la nascita dei tota­li­ta­ri­smi nazi­sta e fasci­sta, non scom­pare nel dopo­guerra. Il pri­mato del nazio­na­li­smo eco­no­mico prese piede anche oltreo­ceano, come testi­mo­nia il mac­car­ti­smo in Usa. La posta in gioco diventa il deli­cato rap­porto tra prin­cipi di equa­li­ta­ri­smo e effi­cienza (pre­sunta) dell’economia di libero mer­cato, ovvero tra libertà poli­ti­che e libertà eco­no­mi­che. Anche se lo svi­luppo di un costi­tu­zio­na­li­smo incen­trato sul prin­ci­pio di ugua­glianza prende piede in molti paesi (la costi­tu­zione ita­liana ne è l’esempio più ecla­tante), tut­ta­via tale rap­porto si declina in con­creto e nella pra­tica, all’interno dei sin­goli Stati-nazione, a van­tag­gio delle seconde e a sca­pito delle prime.
Ana­liz­zando le dif­fe­renze tra i diversi capi­ta­li­smi, lo sto­rico fran­cese Michel Albert distin­gue tra «capi­ta­li­smo renano» e «capi­ta­li­smo neo-americano» (senza tener conto del «capi­ta­li­smo fami­liare» tipico dei paesi del Sud Europa). Il primo, pre­do­mi­nante in Ger­ma­nia, Nor­dEu­ropa e Giap­pone si fonda sull’esistenza di un forte Stato in grado, tra­mite poli­ti­che sociali ade­guate, di attu­tire gli effetti distor­sivi del libero mer­cato, il secondo, esito dei pro­cessi di ristrut­tu­ra­zione in Usa e in Inghil­terra di Rea­gan e That­cher, si fonda sul pri­mato del mer­cato, rele­gando lo Stato ad un ruolo minimo.
A tale riguardo, il pro­cesso di inte­gra­zione euro­pea ha come inten­di­mento l’individuazione di una «terza via», dove, secondo le parole di Mario Monti, si invoca una «mag­gior dispo­ni­bi­lità degli Stati mem­bri con una tra­di­zione di eco­no­mia sociale di mer­cato ad acco­gliere inte­gral­mente la con­cor­renza, e dei paesi di tra­di­zione anglo­sas­sone a risol­vere alcuni pro­blemi sociali con misure mirate».
In realtà tale «terza via» si è rive­lata una chi­mera. La gover­nance euro­pea che ne è sca­tu­rita è una ver­sione di ordo-liberismo (com­pres­sione delle libertà poli­ti­che e delle istanze demo­cra­ti­che in nome della ragion di Stato) con­dito con una for­male con­cor­renza di mer­cato comun­que in grado di man­te­nere una strut­tura di potere nei gan­gli essen­ziali della valo­riz­za­zione capi­ta­li­stica (mate­rie prime e finanza, in primo luogo) e lo sman­tel­la­mento pro­gres­sivo dell’economia sociale di mer­cato in nome della pri­va­tiz­za­zione del wel­fare sul modello anglosassone.
CON­VER­GENZE GLOBALI
La pre­ca­riz­za­zione del mer­cato del lavoro in Ger­ma­nia ini­zia nei primi anni 2000, le poli­ti­che di auste­rity minano sem­pre più la strut­tura del wel­fare euro­peo, il pro­cesso di inde­bi­ta­mento pri­vato euro­peo con­verge con quello anglo­sas­sone, le deci­sioni poli­ti­che ed eco­no­mi­che si con­cen­trano sem­pre più in poche mani, sgan­cian­dosi da qual­siasi con­trollo demo­cra­tico. Il pri­mato delle gerar­chie eco­no­mi­che si con­so­lida sem­pre più sino a diven­tare un vero e pro­prio regime nel quale il mono­po­lio della vio­lenza non viene solo eser­ci­tato dall’ordine poli­zie­sco ma soprat­tutto dall’ordine eco­no­mico.
Para­fra­sando Mosse, pos­siamo quindi dire; «l’unificazione mone­ta­ria euro­pea» è la rivo­lu­zione bor­ghese «ideale», in quanto «rivo­lu­zione dell’anima», che non suona minac­cia per nes­suno dei legit­timi inte­ressi eco­no­mici della nuova classe di rentier.

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