La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

IN TERRITORIO NEMICO
Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

Dettagli di un sorriso
romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

NON STO TANTO MALE
romanzo di Gianni Zanata

lunedì 23 febbraio 2009

Quattro o cinque piccole bagatelle

Vi presento un cortronico

quattro o cinque piccole bagattelle


Gli autori

Nato a Cagliari - Italia - Roberto Zanata si e' laureato con lode in Filosofia.

Compositore, musicista e studioso di musica elettroacustica e elettronica, prevalentemente autodidatta.

Attivo dai primi anni Novanta ha realizzato in Italia e all'estero composizioni per musica da camera, allestimenti teatrali, computer music, arte elettronica, acusmatica e opere multimediali.

Dal 2002 e' membro della Societa' Italiana d'Estetica.

Nel 1990 per la Galleria Intergrafica di Cagliari ha realizzato "Assenza Ingiustificata" – istallazione multimediale in collaborazione con R.Musanti. Messa in scena e musiche de "L'ultimo nastro di Krapp", Teatro Palazzo D'Inverno (Cagliari - 1996).

Ha partecipato nel 1996 agli Internationale Ferienkurse fur Neue Musik di Darmstadt dove ha studiato tra gli altri con K.Stockhausen e M.Spalinger.
Nel 1997 e' stato compositore ospite alla Biennale di Musica Contemporanea di Zagabria.

Ha partecipato nel 1999 a Szombathely (Ungheria) ai Seminari di composizione organizzati in occasione dell'Internazionale Bartok Festival dove ha studiato con M.Jarrell e M.Stroppa.

Una sua composizione e' stata selezionata e eseguita durante lo svolgimento del festival: "Cablogramma" per violoncello e elettronica (quest'ultima realizzata con tecniche di sintesi del suono elaborate con il software Csound).

Ha partecipato nel 1999 come compositore al Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Pola (Croazia).

Ha partecipato come compositore e contribuito a promuovere l'organizzazione nel 2000 di un seminario tenuto a Grosignana (Istria) dal maestro Agostino Di Scipio sull'uso del Kyma (sound design environment) per la composizione musicale algoritmica. Nel corso del seminario ha realizzato per Kyma la composizione "Sintesi". Nel 2001 ha collaborato con l'Accademia della musica di Zagabria come compositore presso il laboratorio dimusica elettronica.

Ha partecipato nel 2003 alla Biennale di Musica Contemporanea di Zagabria sia come compositore che conferenziere. Gli e' stata eseguita in prima assoluta la composizione "Cifre per quartetto d'archi" per elettronica e quartetto d'archi. Ha tenuto una conferenza dal titolo "Criticism and sound: Music for programe" in occasione del Simposio Internazionale dedicato al tema "Musical constellations in the digital age" .

Nel 2004-2005 ha seguito diversi seminari presso l'Archivio L.Nono a Venezia.

Nel 2005 ha composto le musiche per lo spettacolo teatrale "Requiem" su testi di A.Tabucchi, regia di A.Iovinelli, rappresentato presso l"Istituto Italiano di Cultura - Zagabria.

Nel 2006 ha composto le musiche per lo spettacolo teatrale "Orazi e Curiazi" per la regia di A.Iovinelli realizzato in collaborazione con la filodrammatica dell'Universita' di Zagabria e l'Istituto Italiano di Cultura rappresentato sia in Croazia che in Ungheria.

Nel 2007 ha partecipato come musicista e compositore al Festival Music in Touch organizzato da Spaziomusica Ricerca (Cripta di S.Domenico - Cagliari, Italia) con la performance audio-video "Jet Lag" realizzata con R.Musanti.

Dal 2007 collabora attivamente con la clavicembalista Sanda Majurec alla realizzazione di alcune composizioni basate sull'improvvisazione da cui "LHE" per clavicembalo e live eletronics.

Dal 2008 collabora attivamente con il pittore e artista elettronico Tonino Casula alla realizzazione di musiche per cotronici (cortometraggi elettronici).


Tonino Casula parla di Tonino Casula


Sono un pittore che, in quanto tale, ne ha fatto di tutti i colori. Ho realizzato chi sa quante centinaia di metri quadri di pitture, pubblicato libri con Einaudi, Mondadori e altri, fatto conferenze, partecipato a dibattiti insegnato... Attualmente, non faccio piu' cose da appendere al muro (quadri), ma cortronici (corti elettronici) astratti, cioè niente che somigli alla cosiddetta "realtà esterna".
LE DIAFANIE Quella di far nascere il mio mondo poetico da un uso accorto delle mani fu una cosa che se ne andò a bimbe con la realizzazione delle mie computer graphics. Il salto non era cosa da poco, anche se non se ne andarono a bimbe i millenni di pittura che avevo alle spalle. Del resto, liberarsene era stupido, oltre che impossibile. Comunque, era urgente abbandonare i supporti cartacei, per la loro insopportabile dipendenza dai chiodi al muro. Con le diafanie, mi sembrò di avere trovato per il mio lavoro l’uscita più naturale, comunque la meno incoerente con le peculiarità linguistiche della macchina. Erano diapositive, infatti, su cui depositavo le immagini che avevo elaborato col calcolatore. Le diafanie non rimandavano e non nascevano come riproduzioni di oggetti ma erano oggetti in sé. Inizialmente, pensai di chiamarle epifadìe, una cosa a metà tra epifania e diapositiva, cioè apparizione per mezzo di diapositive. Solo che, con quella “d” nella desinenza finale, più che l’idea dell’epifania, cioè dell’apparizione, avrebbe richiamato quella del raffreddore. Allora ricollocai le desinenze in altri spazi e così venne fuori diafanie: il raffreddore se ne andò, ma in compenso rimase l’aura della befana.
Nel novembre del 1989, avevo messo a punto la prima intitolata "La prima volta, con un tantino di precauzione" (18'32”) senza sapere cosa sarebbe successo, con la mente piena di aggettivi e avverbi e traslati, e senza neppure conoscere il funzionamento dei proiettori. Smettendo di produrre roba da appendere ai muri per lavorare alle diafanie, capii subito che non mi sarei mai arricchito. Del resto, neppure con i quadri ci ero riuscito. Eppure, erano bellissimi. E zeppi di spunti filosofici e/o scientifici, senza contare le implicazioni poetiche. Nelle diafanie era il valore estetico a emergere. In più (e questo dimostrava che il rapporto con le immagini era principalmente linguistico, cioè caratterizzato dal piacere di vedere come erano fatte, più che da cosa rappresentavano), non c’era il disturbo di una storia da seguire e, anzi, la storia ciascuno poteva inventarsela come voleva, se proprio ci teneva, senza neppure sentirsi costretto nelle maglie di una qualche logica narrativa che non fosse quella che egli stesso si sceglieva di volta in volta, a seconda della carica evocativa che attribuiva alle immagini. percettivi. I segni che utilizzavo non rivestivano mai una funzione referenziale, non rimandavano cioè a cose esistenti. Tuttavia, per il fatto stesso che i segni venivano percepiti, significava che lo spettatore, proiettando sulle immagini le sue proprie assunzioni inconsce, vedeva qualcosa che lo rimandava a qualcos’altro di già visto in precedenza. Insomma, non era difficile, appunto, ricavarne delle storie, come se ad agire sul piano di proiezione fossero comunque immagini di cose. Dipendeva dal fatto che per vederle, anche se non rimandavano intenzionalmente a cose, le nostre assunzioni inconsce, proiettandosi su quelle immagini, le facevano somigliare a immagini di cose che conoscevamo già.
I CORTRONICI BIDIMENSIONALI I miei primi cortronici 2D (corti elettronici 2D) nascono con una versione animata di Paint De Luxe. È un programma per animazioni bidimensionali (2D), con definizione molto bassa (320x200), che procura il vomito agli informatici dello zoccolo duro, per i quali tanto più la qualità è elevata, quanto più la tecnologia è avanzata, e si sa che quanto più la tecnologia è avanzata, tanto più sale il prezzo. Come nel medioevo: siccome l’oro e il blu di lapislazzuli costavano un occhio, gli artisti di mezza tacca ma con adeguata disponibilità finanziarie impreziosivano con la foglia d’oro e col blu di lapislazzuli le loro croste. Il criterio di fondo che regola i miei cortronici 2D (se si preferisce, la mia poetica) è analogo a quello delle diafanie: arrivare alle forme, o uscirne, con l’aggiunta o la sottrazione di parti che compongono ogni immagine, così che la prima immagine lasci il posto alla seconde, questa alla terza e così via, in una sorta di compenetrazione continua delle une nelle altre, capace di produrre, nei passaggi intermedi, un meticciato sorprendente di forme. Mentre nelle diafanie le parti vengono scambiate durante le dissolvenze, nei cortronici si muovono in uno spazio bidimensionale. Inoltre, nei cortronici, il legame con la musica è più puntuale e non legato ai tempi lenti e incostanti delle diapositive. Questi infatti, sono condizionati dall’elasticità dei tempi del loro trasporto, e spesso costringono a un uso improprio di un tempo visivo rubato, che però non deriva dal ritardo espressivo di una nota, ma dal ritardo o dall’anticipo incostanti nel formarsi dell’immagine. Tutto ciò rallenta o accelera fastidiosamente il ritmo, senza una ricaduta espressiva. Con Paint De Luxe, raggiungo risultati soddisfacenti in Stop, uno dei primi cortronici che ho realizzato, e in La caduta del desiderio, l’ultima che ho costruito con quel programma e che nelle mie rappresentazioni è risultato il più gettonato. Dopo quel programma, hi usato l’Animator pro sempre bidimensionale ma molto più potente. Potevo lavorare con definizioni che arrivano a 1024x768 pixel, anche se di quelle non sapevo che farmene, visto che per trasferire le animazioni in un videotape, il formato utile era il 640x480, che comunque dava una definizione circa 5 volte più alta del Paint De Luxe. Non per niente, il primo cortronici realizzato con quel programma si chiama Una bella definizione. Con l’Animator pro, ho strizzato il cortronico bidimensionale fino allo spasimo. Francesca la fatina è un cortronico dedicato a una mia nipotina, Francesca, per studiare la musica dei TH26, tre musicisti che si richiamano alla musica electro beat, frastornosa, molto poco ben vista (ben sentita?) dalle orecchie delicate. Li ho conosciuti nella sala compressori della miniera di Monteponi, dove si teneva un rave con musica massacrante, dove io ho mandato i miei cortronici, con un suono di 7000 watt, che significava uscirne sordi. I TH26 mi dicono di essere lì, per rendere un omaggio musicale a W. Borroughs e, mentre mi mettono in mano una telecamera, mi pregano di riprendere l’evento. Ora, Borroughs recitava le sue poesie agli studenti di Berkeley, mentre la polizia li pestava a sangue. Noi eravamo a Monteponi, molti anni dopo, i ragazzi di Iglesias non erano i ragazzi di Berkeley e, alla vista della polizia, se la sarebbero data a gambe per non sciuparsi il trucco. Cosa c’entrava Borroughs con loro? E la musica dedicata a Borroughs come c’entrava? Ho pensato che i TH26 inseguissero, dietro il martellare ossessivo dei rumori erogati a 10.000 watt, aure melodiche intimidite e lontane, chi sa, forse riverberi mentali di suoni inesistenti. Mi sono domandato se le immagini avrebbero enfatizzato quelle aure e chiedo a quelli del TH26 un piccolo brano di prova, riservandomi di lavorare in seguito su un pezzo più lungo. Nasce così Francesca la fatina e, più tardi, Madre del caos, che il gruppo ha utilizzato più volte dal vivo, per cucirvi sopra la musica. L’idea di enfatizzare quelle aure è nata quando lavoravo a Ah, il nuovo che avanza. Volendo misurarmi su un lavoro lungo, avevo chiesto a Favata di montare per me una sua storia musicale di circa mezz’ora. Per raggiungere quella lunghezza, egli aveva accodato un certo numero di brani preconfezionati. Ma non ha fatto un lavoro pulito: in uno dei punti di sutura, ha lasciato uno scroscio che mi mandava in bestia ogni volta che, durante i riascolti di controllo, le immagini cadevano in quel punto, a conclusione di un evento. Ho scoperto che, allungando la durata dell’evento in modo che cada al suo interno, lo scroscio non si sente più. Meglio, si sente ma solo se vado a cercarlo: l’evento visivo schiaccia quello sonoro. Dunque, non è da escludere un’influenza reciproca dei due sistemi, quello visivo e quello sonoro, anche se è stato sempre difficile per me capire come si esercitino in Madre del caos. Ho lavorato a Sinistra consumista, titolo di una poesia di Annamaria Janin, la quale voleva accoppiare a ciascuna delle sue poesie un lavoro dei pittori per farne una cartella di grafica. Lo chiede anche a me, ma siccome non faccio più cose da appendere, deve accontentarsi di una videocassetta. Qualche mese dopo, lavoro a Quel lampo bianco che fissò le ombre sui muri, in ricordo dell’atomica su Hiroshima. La musica è dei Coincidentia oppositorum, un gruppo di giovani compositori che si preparavano alla grande a un concerto che avrebbero eseguito alla cripta di San Domenico. In quel luogo è andato anche Al ristorante della stazione. Ho usato la musica su strutture visive aniconiche, come del resto ho sempre fatto anche con le diafanie. Pensavo di complicare il lavoro proiettando il cortronico mentre un attore avrebbe declamato un testo letterario. Ho scelto Gadda per l’uso che lo scrittore fa della lingua, volto più al controllo delle possibilità di riflessione di quest’ultima su se stessa, che alla costruzione di una facile referenzialità. Il problema era di legare in un unico evento tutti gli ambiti che avrebbero concorso a determinarlo, facendo attenzione che tutto si tenesse. Ma non intendevo progettare le immagini facendo coincidere note alte con colori chiari e note basse con colori scuri. Insomma non intendevo adattare le immagini al testo. Mi interessava verificare se e come i vari linguaggi concorrenti (visivo, musicale, letterario e teatrale) si sarebbero tenuti, in una struttura complessa non ancora (?) condizionata da convenzioni linguistiche, e dove i soli elementi di referenzialità erano contenuti nel testo di Gadda, comunque tutt’altro che facile, e nella musica di Romeo Scaccia che, nella parte finale, sottolinea con citazioni dall’Aida e dalla Carmen l’ironia che lo scrittore, in quel testo, adombra intorno ai patiti della lirica. Sono partito da un’ipotesi semplice che a me sembra ragionevole, anche se forse non lo è del tutto: se ciascuno dei linguaggi si tiene, allora si tiene anche la struttura dove essi giocano insieme. Era una scommessa che valeva la pena fare, per vedere cosa sarebbe successo, lasciando che fossero i linguaggi a decidere. Che il testo di Gadda si tenesse sul piano letterario era fuori di dubbio. Non c’erano dubbi neppure sulla tenuta della musica, né delle immagini. Restava la recitazione la cui tenuta, invece, lasciò a desiderare. Presentando l’opera nella cripta di San Domenico, ho usato due videoproiettori, uno che mandava le immagini su una parete, a fianco dell’attore, e l’altro sui capitelli. Il flusso delle immagini del secondo videoproiettore arrivavano leggermente sfasate rispetto alle immagini del primo, su cui era sincronizzata la musica. Tale sfasamento creava, in chi alternava lo sguardo tra le due sorgenti, un sistema di attese sempre premiate, come in una sorta di eco visiva. Inoltre, in basso, sotto lo spazio che ospitava le immagini a parete, una mezza dozzina di televisori che mandavano immagini casuali trattate e governate da Francesco Casu, un giovane videoartista che mi è piaciuto inserire nell’evento, per vedere cosa succede. Succede che il risultato non è dei più entusiasmanti: troppa ridondanza di segnali, a parte la scarsa tenuta complessiva. I CORTRONICI TRIDIMENSIONALI La potenza del programma che utilizzo per i cortronici tridimensionali spiega bene il problema della complessità. Ciò che voglio dire è che non ho difficoltà a immaginare due serie sovrapposte di fasce uguali, parallele ed equidistanti e che non ne ho neppure a immaginarle reciprocamente ruotate di un tot, una sull’altra. Invece, qualche difficoltà nasce se le fasce da muovere nel mio spazio mentale sono tre: in questo caso, dopo averne ruotato due, devo trattenerle così ruotate, prima di ruotarci sopra la terza, se no l’immagine si sgretola. Con quattro fasce, non ce la faccio proprio. Per capire cosa succede, devo visualizzare il problema su una superficie, cioè devo disegnarmele. con riga e squadra, e seguirne analiticamente il processo, passo dopo passo. E tuttavia, anche in questo caso, non è che “capisca” davvero cosa succede: le dinamiche percettive irrompono pesantemente sul disegno e la mia mente si perde in un intrico di linee rette che si mostrano nel rispetto delle leggi sulla pregnanza, non sempre rispettose della logica del processo. Affrontavo in tal modo quei problemi, cioè disegnandomeli su supporti di vario tipo, fino alla fine degli anni 80, quando mi sembrava utile costruire oggetti di forma quadrangolare da appendere al muro. E, di fronte al groviglio complicato dalla pregnanza, mi dicevo che il risultato relativo alla complessità di quel problema era ciò che avevo davanti agli occhi, e non poteva essere che quello, visto che io stesso l’avevo realizzato, con riga e squadra, seguendo analiticamente il processo, passo dopo passo. Ho smesso di costruire oggetti da appendere al muro, quando ho capito che potevo chiedere a una macchina cretina ma veloce chiamata computer cosa succede a sovrapporre e ruotare tutte le fasce uguali, parallele ed equidistanti che volevo. La macchina mi dava le risposte in tempi brevissimi, e io esclamavo: “cazzo, però!”. E però, a essere sincero, continuo a non capire cosa succede. Infatti, le leggi sulla pregnanza continuano a irrompere: oltre alla mia mente, sono le mie capacità percettive a non farcela. L’intrico di fasce che la macchina mi restituisce riesco a vederlo, ma non riesco a seguirne l’ordine, anche se sono stato io stesso a darlo alla macchina: “ruota la prima di un tot, la seconda di un tot diverso, la terza di un altro ancora, e poi la decima, la tredicesima, la ventiduesima…”, insomma tutte le fasce che voglio, con i gradi di rotazione che voglio, tutti diversi, continuando a esclamare: “cazzo, però!”. A dirla ancora come la dicono a Oxford, quelle complessità sono un vero casino. Alla fine, ho capito che c’è poco da capire e che devo fidarmi: se la macchina dà quelle risposte, quelle risposte devono essere. In fin dei conti, anche quando salgo su un aereo, devo fidarmi: devo fidarmi del pilota, il quale, a sua volta, deve fidarsi del quadro comandi e di quelli che l’hanno costruito, e deve fidarsi anche degli operatori della torre di controllo, i quali devono fidarsi del radar e di quelli che lo hanno costruito, i quali devono fidarsi di quelli che ne hanno studiato i materiali, che li hanno prodotti, controllati, comprati, venduti, montati, trasformati, corretti, aggiornati… Del resto, devo fidarmi anche del macellaio che mi vende il filetto. A farla breve e a pensarci bene, non c’è azione, fra quelle che compiamo ogni giorno, anche la più consueta, che non cavalchi sconosciute e incalcolabili complessità. Ecco, ciò che muove il mio mondo creativo attuale, quello dei cortronici 3D è proprio il problema della complessità, in cui mi piace immergermi in totale libertà e consapevolezza, chiedendo alla macchina cretina ma veloce qualcosa di più che ruotare un certo numero di fasce uguali, parallele ed equidistanti, non solo perché mi piace continuare a esclamare, ma anche per convincermi che le mie creature, per quanto volutamente aniconiche, oppure proprio per questo, risultino tuttavia metafore epistemologiche della realtà, come è giusto che sia per le opere d’arte. Anche con i cortronici 3D il mio rapporto con i materiali è quelle del pittore: sfumati, contrasti, trasparenze. Per prendere confidenza col programma 3D, ho utilizzato i vecchi materiali delle diafanie. Pensavo che sarebbe stata una soluzione provvisoria, tanto per cominciare a capire quali potevano essere le sue potenzialità. Ma, allo stato attuale, i materiali continuano a essere gli stessi, un po’ perché sono miei e ne faccio quel che voglio, un po’ perché mi piace indagare i loro comportamenti, una volta che li decontestualizzo dal loro mondo primigenio delle diafanie, per farli vivere nell’ambiente ben più dilatato del 3D.


18 commenti:

  1. Veramente interessante, direi quasi ipnotica , è un tipo di musica nuova bisogna farsi "prendere" e ti porta in altri mondi.Anche il videoartista ha elaborato un ' arte visiva ipnotica.Complimenti ad ambedue.

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  2. Grazie.
    Molti musicisti oggi compongono musica elettroacustica.
    Vale

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  3. Complimenti a Roberto e a Tonino Casula.

    Il cortronico è una forma di animazione molto suggestiva, filone della videoarte, ottenuta con immagini non figurative elaborate elettronicamente.

    Per me che amo sia la musica che l'arte figurativa(provengo da una famiglia di musicisti...e dipingo, quando mi rimane un briciolo di tempo. I miei primi disegni di volti risalgono all'età di tre anni. Non te l'avevo mai raccontato,Pier...)è una miscela irresistibile.

    Gli effetti 3D sono straordinari nel loro continuo serrarsi, dilatarsi, intrecciarsi, balzare fuori dal video, deformarsi e ricomporsi di forme e colori...

    La musica è altrettanto straordinaria e sottolinea in modo superlativo gli effetti grafici.

    Devi essere proprio orgoglioso di Roberto. Anche gli altri cortronici che ho gustato sono di alto livello.

    Ti prego di porgli le mie congratulazioni sincere.

    L'arte mi tocca profondamente in tutte le sue espressioni.

    Baciotti
    annarita

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  4. Grazie, portero' i tuoi complimenti a Tonino e Roberto.
    Anche io amo la musica e i miei figli suonano tutti. Gianni e' un ottimo chitarrista.
    Una volta dipingevo. Ogni tanto mi diverto a fare schizzi con la penna.
    Ecco un' altra cosa che ci avvicina.
    Vale

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  5. Grazie per la segnalazione
    Per me invece sono pillole di cultura
    Non conoscefo questo tipo di espressione artistica
    Un abbraccio
    Saba

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  6. Grazie Saba. L' arte e' si' bellezza, ma soprattutto e' emozione, tu con le tue foto sai bene cosa voglio dire.
    Vale

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  7. Pierre la mia ignoranza è immane...

    Tutto nuovo e bellissimo per me!

    Grazie,ragazzi.

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  8. Meravioglioso. Complimenti.
    Le note, così come i colori, toccano i nostri chakras, reagiascono e interagiscono con essi e in essi, a tal punto che la musica, certa musica, riesce a equilibrarli o, spesso, disequilibrarli. Per tal motivo, a volte ci sentiamo in armonia ascoltando un determinato accordo musicale, così come chiudiamo l'udito con altri poco piacevoli.

    Buona giornata.
    Rino.

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  9. Ciao, volevo ringraziarti per essere passato sul mio blog e per aver postato quella bellissima poesia!
    Il tuo blog è molto interessante, mi permette di conoscere cose nuove e quindi passerò spesso a trovarti.
    Buona giornata
    Cinzia

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  10. Grazie Rino.
    Riferiro' i tuoi complimenti e il tuo giudizio a mio figlio e all' amico Tonino.
    Vale

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  11. Benvenuta Cinzia. Sono arrivato a te da Sabatino. Ho curiosato sul tuo interessante blog spinto dal fatto che sei di Treviso, la citta' dalla quale provengo. Io sono nato in Sardegna, ma mio padre era trevi'zan.
    Treviso una bellissima citta'. Ci sono stato piu' volte e sono andato anche per ombre.
    Poi sono rimasto colpito dal tuo pubblicare una poesia di Walt Whitman, uno dei miei poeti preferiti.
    Ti aspetto.
    Vale

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  12. Che dire a sé stessi quasi con sottomissione e in punta di piedi, oltre a rendere merito a Roberto Zanata e Tonino Casula, davvero eccellenti?
    Riconoscersi “asini” a tali specifiche prominenze ma nemmeno scoraggiarsi, giusto l’esplicazione del dilemma esposto dall’amica Paola nel suo blog che ora torna utile e che è tratto dai dialoghi di Giordano Bruno sull’asinità: “Meglio che un uomo inasinisca, o che un asino inumanisca?”
    Ecco un’occasione propizia per farsi inondare da due rari e singolari “fuochi del mondo” e convogliarli nel nostro “specchio concavo”, come suggerisce quel Teofrasto del passato e così rinvigorire una certa nostra corda del fuoco vitale allentata o del tutto da generare!
    L’uomo è sempre più consapevole di essere asino via via che gli si aggiunge una nuova scintilla vitale, ed è in questa condizione che egli si umanizza nel contempo.
    Complimenti a Roberto Zanata e Tonino Casula.
    Abbracci,
    gaetano

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  13. Grazie Gaetano.
    Non e' possibile conoscere tutto. L' importante e' essere curiosi e non negarsi al nuovo.
    Grazie.
    Vale

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  14. Confesso che non conoscevo il cortronico e mi ha fatto piacere scoprire la sintonia tra immagini in 3D e la musica elettroacustica. Lo spazio si trasforma di continuo in un gioco,sempre nuovo e sorprendente, di forme e colori Complimenti agli autori!

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  15. Skip grazie per i complimenti che trasferiro' agli autori: uno, il compositore e filosofo dell' nestetica, e' il secondo dei miei figli e l' altro, pittore, docente di semiotica, scrittore, amico carissimo fin da quando avevo i calzoni corti.
    Vale

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  16. ciao Vale, grazie del commento, ho scritto di alcuni luoghi che mi rappresentano e che sento miei, anche da punto di vista fotografico. Ho studiato alla Southern California (architettura) e quindi conosco bene la zona, adoro l'architettura e l'arte contemporanea e queste città sono piene di tutto questo, dai musei ai poi famosi studi di architettura! a presto! Luis

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  17. Caro Luis la memoria e' fatta di profumi, di colori, di sapori, di luoghi, di intuizioniVale e di personaggi.

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