La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

mercoledì 5 giugno 2013

Un paese di complici

da MicroMega

Un paese di complici



Già Calamandrei denunciava omertà e acquiescenze alle illegalità. Oggi una filosofa parla di "società di briganti". E dice: non ci sto. Intervista a Roberta De Monticelli, di cui esce in questi giorni "Sull'idea di rinnovamento", pamphlet filosofico-politico edito da Cortina.

colloquio con Roberta De Monticelli di Enrico Arosio, da L'Espresso


«La vergogna di dirsi italiani». «Lo sfascio che produce altro sfascio». «Questo Paese non riformabile». Un raggio di sole illumina un alto soffitto dietro al volto intenso di Roberta De Monticelli, in collegamento Skype da Berlino. Raggio di sole sui toni aspri e il pessimismo dolente di un'intellettuale (ordinario di Filosofia della persona all'Università San Raffaele) che di questa Italia depressa e frustrata sta facendo una malattia. «Sto qui in Germania felicemente e dolorosamente», dice, quasi fosse in esilio. La ricordavamo appassionata nelle piazze di "Se non ora quando" e Libertà e Giustizia, severa nelle apparizioni televisive da Gad Lerner su La7, sfiduciata negli ultimi interventi giornalistici. Ora, con un pamphlet filosofico-politico, "Sull'idea di rinnovamento", edito da Cortina, in libreria a giugno, fa capire che non cambierà nulla, nel declino italiano (civile, etico, istituzionale) se la domanda di giustizia non sarà domanda di verità, se il "noi" demagogico non maturerà in tanti "io" maturi. Fenomeno a 5 Stelle incluso, al quale la filosofa milanese, che pur lo segue con interesse, non perdona forzature e volgarità.

È finito il tempo del distacco sdegnoso? I filosofi devono tornare a parlar chiaro, nel senso di parlar politico?«Dopo quasi 15 anni a Ginevra, tornata in Italia mi sono sentita quasi forzata a non finger più che la società civile non esista, anche se al filosofo potrebbe far comodo. "La cieca e dissennata assenza" degli intellettuali italiani, diceva Piero Calamandrei. Parlava dell'acquiescenza muta, che diviene complicità. Ecco: non più».

Un'Italia depressiva. Assenza di speranza. Indifferenza. Il grido "Sono tutti uguali". Lei si muove per reagire a una frustrazione?«Io mi muovo con Kant: "Se la giustizia scompare non ha più valore la vita degli uomini sulla Terra". Questa esigenza travalica il soddisfacimento dei nostri bisogni fondamentali, quella che chiamiamo la giustizia sociale. Qui si va più in là. Si tratta del bisogno di senso delle nostre vite. È il caso di occuparsene».

Gli slogan sul "tutti uguali" provengono dagli astensionisti come dai 5 Stelle. Ma l'appiattimento su "noi" e "loro" è accettabile?«No, non lo è. È il risultato di uno scetticismo generale che sconfina nel cinismo. La questione morale attraversa la cultura italiana da Guicciardini a Leopardi fino al pensiero azionista e oltre. L'assenza di distinzioni si radica proprio nel non prendere sul serio l'esperienza morale di ciascuno. Ma non ci possiamo permettere di ignorare le emozioni e le distinzioni».

Beppe Grillo, il vero innominato del suo libro, affiora in vari punti. Ma il rinnovamento tocca anche il Pd in crisi generazionale, il Pdl condizionato dai processi di Berlusconi. Lei ha colto la novità dei 5 Stelle, ma è come se già fosse un po' delusa.«Sì e no. Oscillo. C'è il principio "un voto una testa", la politica fondata sull'esperienza vera di ciascuno. Una dose di democrazia diretta. L'idea del controllo di cittadinanza, che ha un fondo illuministico. Il cittadino che legittima il potere.
Dall'altro lato, l'espansione della comicità. Lo sparlare, il calunniare tipico degli italiani che, come lamentava Leopardi, è più del suddito che del cittadino. Grillo, che nasce come un "consumer advocate", parte anche da questo. Non dimentichiamo quello che è un dato di fatto: con poche eccezioni, la stampa italiana è assai poco indipendente. La Rete dà parola ai non aventi parola».

Alla Rete lei riconosce pregi come la diffusione orizzontale dell'informazione. Ma denuncia stereotipi e prepotenze. Scrive di "banalità beota e turpiloquente". Se ne abusa troppo?«Gli italiani sono particolari. Siamo caciaroni ma approfondiamo meno di altri. La banalità, il turpiloquio è indice del livello di emotività. Manca la capacità di vera attenzione. L'urlo, in politica, può attirare. Ma l'indignazione che si scarica subito non approfondisce. Però non vorrei risultare più anti-grillina di quanto mi senta».

E quanto si sente?«Mi fanno simpatia, nonostante tutto. Si può aver paura dell'opinione massificata in Rete, ma l'urlo è l'ultima cosa che ti resta quando le parole sono ridotte a una melma priva di senso. La via buona del grillismo riguarda il ricondurre la politica entro argini morali».

Per Simone Weil "le collettività non pensano affatto". Lei usa la metafora del prato: sono i singoli fili d'erba che verdeggiano e cambiano il prato intero. Diffida del "noi"?«Indubbiamente diffido del "noi". Il discorso di Casaleggio è facilmente liquidabile. Bisogna distinguere tra la capacità della Rete di generare spazio pubblico e diffondere informazioni, e la pretesa di creare pensiero collettivo. Il soggetto collettivo, da Hegel in poi, ha portato più danni che altro. Sono d'accordo con Simone Weil: il vero male non è il male, ma la mescolanza tra bene e male. La Rete opera sotto una realtà, quella italiana, che è una società consortile. In Italia non si scoperchia, non si fa luce; c'è omertà, scambio di favori. Occorre passare da sudditi a cittadini, dal consiglio di facoltà fino alla grande politica».

Lei parla di "società di briganti".«In Italia la differenza tra uno Stato e una società di briganti non esiste più. Non esiste più se legalità vuol dire impunità per i fuorilegge, responsabilità vuol dire consorteria; libertà vuol dire egoismo; rinnovamento vuol dire Angelino Alfano».

Al deficit di giustizia lei contrappone la necessità di ricostruire fiducia reciproca. "Ottenere giustizia", scrive, vuol dire "non ottenere nulla per sé ma luce per tutti". Come tornare a riconoscere l'altro in un Paese smarrito e rissoso?«L'attuale asserita pacificazione, l'embrassons-nous di governo è il contrario assoluto della possibilità di ritrovare fiducia. Avere giustizia è far sì che tutti sappiano la verità. È una richiesta di catarsi. Quella che in Italia manca persino nell'analisi della storia del Novecento. Sia lo scetticismo morale sia la retorica (anche della Resistenza) almeno tenevano vivo il senso delle distinzioni. I vili e gli eroi. I giusti e gli ingiusti».

Non fugga nella Storia. Non parlava del governo di emergenza, il governo Letta?«È la disperazione. Dobbiamo consociarci, ci dicono. Ma per che cosa?».

Per fare cinque-sei riforme urgenti condivise.«Le faranno? Non sono così esperta di politica. Ma l'accordo tra diversi significa che alcuni meccanismi fondamentali della democrazia sono stati messi in in stand-by. Dalla delega dell'agenda politica a una convenzione di saggi al blocco delle attività parlamentari. La democrazia è svuotata. Il governo sta facendo ciò che dovrebbe fare un Parlamento. Io starei attenta a modificare la Costituzione, conosciamo bene quelli che ci stanno mettendo mano. Modificare la giustizia, ma nell'interesse di chi?».

Già le danno della giustizialista...«Lo so bene. Ma la parola giustizialismo esiste solo nella lingua italiana, non altrove. Abbiamo politici e opinionisti che quotidianamente proclamano che la politica non c'entra niente con la morale. Sono cose da pazzi. È così che siamo diventati una società di briganti».

Nessuna chance per il governo Letta, per ricostruire un poco di fiducia condivisa?«Distinguerei premessa filosofica da giudizio politico. La premessa è che è impossibile accordarsi tra guardie e ladri e considerare questo accordo politico».

Guardie e ladri?«Sì. Il terzismo è criminale, questa è la mia opinione. Una comunità deve saper vedere le differenze, riconoscere i suoi grandi e i suoi perduti. Ce lo insegna Dante quando vede Medusa, l'incantatrice, che fa tutti eguali. Se scalziamo questa distinzione tra il bene e il male, siamo al peggio del peggio. Stiamo ai fatti: noi abbiamo alle spalle una stagione politica dannosa, che ha ridotto il Paese in condizioni gravi: economia, salute, ambiente, istruzione, etica. Fare un patto su questo, noi ci mettiamo d'accordo, tu non vai in galera e ne usciamo in qualche modo, per me è inaccettabile. E dico no. Nel modo più radicale».

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