La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

IN TERRITORIO NEMICO
Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

Dettagli di un sorriso
romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

NON STO TANTO MALE
romanzo di Gianni Zanata

venerdì 5 settembre 2014

David Hume e il diritto innaturale all’obbedienza

David Hume e il diritto innaturale all’obbedienza

Saggi. La recente pubblicazione del saggio «Il governo dell’opinione. Politica e costituzione in David Hume» del filosofo Luca Cobbe consente di ripercorrere la genesi della concezione ora dominante del «soggetto» e del rapporto tra governanti e governati
Con distac­cato disin­canto, alla metà del Set­te­cento, David Hume osserva un fatto che si dimo­strerà cru­ciale per l’imminente sta­gione rivo­lu­zio­na­ria sulle due sponde dell’Atlantico. Egli nota che «nulla appare più sor­pren­dente della faci­lità con cui la mag­gio­ranza è gover­nata da una mino­ranza e dell’implicita sot­to­mis­sione con cui gli uomini rinun­ziano ai pro­pri sen­ti­menti e alle pro­prie pas­sioni a favore di quelle di chi governa». Que­sta subor­di­na­zione gli appare ancora più sin­go­lare, a fronte dell’evidente pos­si­bi­lità dei gover­nati di fare ricorso in ogni momento alla forza del loro numero. E invece obbe­di­scono. La rispo­sta all’enigma dell’obbedienza è per Hume l’opinione. Ogni governo deve costan­te­mente fare i conti con que­sto insieme di espe­rienze, cre­denze e intel­letto, dipen­dendo da esso, men­tre allo stesso tempo cerca di indi­riz­zarlo per garan­tire la pro­pria legit­ti­mità.
Il volume di Luca Cobbe,
 Il governo dell’opinione. Poli­tica e costi­tu­zione in David Hume (Mace­rata, euro 19) rico­strui­sce con pre­ci­sione la sco­perta humeana della società quale spa­zio ordi­nato di comu­ni­ca­zione delle opi­nioni, dove gli indi­vi­dui appren­dono a cono­scere le pro­prie pos­si­bi­lità d’azione e quelle che pos­sono pro­durre gra­zie alle loro rela­zioni. In que­sto spa­zio il governo che gli indi­vi­dui eser­ci­tano su stessi diviene anche il pre­sup­po­sto neces­sa­rio per il governo poli­tico. Que­sto governo tanto indi­vi­duale quanto col­let­tivo si fonda su un sistema di con­dotte che non è pro­dotto da un’azione disci­pli­nare che pro­cede sem­pli­ce­mente dall’alto verso il basso, ma da un com­plesso reti­colo di rela­zioni, fon­dato in primo luogo sull’immaginazione. In que­sto modo, lungi dall’essere una mera impo­si­zione, l’autorità diviene una costru­zione fon­data sull’immaginazione della giu­sti­zia e quindi su regole con­di­vise per la sua appli­ca­zione. Essa non è mai qual­cosa che deriva dal pas­sato, a cui obbe­dire mec­ca­ni­ca­mente, ma cor­ri­sponde al «potere di pro­durre qual­cosa che non esi­ste».
IL REBUS DELL’APPRENDIMENTO
L’opinione è sem­pre vis­suta all’ombra del sospetto di essere por­ta­trice di caos. Essa è stata con­si­de­rata il pen­siero del desi­de­rio indi­vi­duale in oppo­si­zione al bene comune o, peg­gio ancora, a quello di tutti. L’ordine della scienza, della sovra­nità, della pro­prietà è stato sto­ri­ca­mente la rispo­sta all’instabilità delle opi­nioni, mirando a garan­tire un canone uni­ver­sal­mente accet­tato sulla cono­scenza, la poli­tica, l’economia. Come Cobbe dimo­stra, Hume sta­bi­li­sce una nuova epi­ste­mo­lo­gia poli­tica gra­zie alla quale opi­nione e indi­vi­duo diven­gono gli ele­menti fon­da­men­tali di un diverso sistema d’ordine. In primo luogo l’opinione è sot­tratta alla sua dimen­sione pura­mente indi­vi­duale, per inda­gare quali forze con­tri­bui­scano alla sua for­ma­zione, mostrando quanto l’immaginazione, le cre­denze e l’intelletto degli indi­vi­dui dipen­dano da forze non indi­vi­duali.
L’opinione in Hume non è la rispo­sta soli­ta­ria a una realtà estra­nea ed esterna. Di con­se­guenza l’individuo non è deter­mi­nato da una riserva di potere cono­sci­tivo, poli­tico o eco­no­mico che può fare frut­tare nei limiti posti dalla pre­senza di altri indi­vi­dui simili a lui. Si tratta piut­to­sto di un indi­vi­duo che apprende nel con­fronto e nello scon­tro con gli altri indi­vi­dui, venendo in que­sto modo silen­zio­sa­mente spo­de­stato dalla posi­zione di pre­sup­po­sto unico e uni­ta­rio dell’ordine politico.
UN INDI­VI­DUO SOCIALE
5clt1fotinapiccolaQue­sto indi­vi­duo viene «rela­ti­viz­zato», per­ché la sua costante opera di appren­di­mento non può col­lo­carlo in una posi­zione poli­tica chia­ra­mente defi­nita. Come sovente fa anche su altri ter­reni, Hume non parla dell’individuo distac­can­dosi in maniera ecla­tante da coloro che lo hanno pre­ce­duto. Egli intro­duce piut­to­sto gli spo­sta­menti, appa­ren­te­mente par­ziali e mar­gi­nali, che fini­scono però per inno­vare in maniera signi­fi­ca­tiva il qua­dro com­ples­sivo.
L’individuo di Hume non è così quello di Hob­bes – libero e uguale e, pro­prio per que­sto, biso­gnoso di una sovra­nità asso­luta in grado di limi­tarne i movi­menti – ma non è nem­meno quello di Locke, che in fondo non è mai dav­vero uguale, per­ché defi­nito all’origine dal suo rap­porto con la pro­prietà. L’individuo di Hume non esi­ste senza la società e solo al suo interno, cioè nella comu­ni­ca­zione costante con gli altri indi­vi­dui, viene pro­dotto e agi­sce. Non si tratta però di un’astratta cele­bra­zione delle comu­ni­ca­zioni e delle loro inte­ra­zioni, ma della «sco­perta» di quel nuovo spa­zio comu­ni­ca­tivo che è la società. La sco­perta della società è l’esito più rive­lante dell’epistemologia poli­tica di Hume. Essa è un sistema di rife­ri­mento in grado di sta­bi­lire regole di con­dotta che si pos­sono tra­scen­dere indi­vi­dual­mente solo se non ne viene messa in discus­sione la vali­dità com­ples­siva.
La società è lo spa­zio pre­sente che dà signi­fi­cato al pas­sato, gra­zie all’immaginazione del futuro che la costi­tui­sce. Essa fini­sce così per essere l’ordine gerar­chico che si afferma tra indi­vi­dui uguali, nel quale la gerar­chia però non è la sem­plice per­si­stenza del pas­sato, ma il costante appren­di­mento di un potere pre­sente all’interno della rela­zione socie­ta­ria. La sto­ria assume così il rango di fat­tore costi­tu­tivo dell’agire per l’influenza che costan­te­mente eser­cita sulla for­ma­zione delle opi­nioni e delle azioni pre­senti, diven­tando un fat­tore di legit­ti­ma­zione e di costante, poten­ziale dele­git­ti­ma­zione.
La sto­ria della società ride­ter­mina in con­ti­nua­zione che cosa può essere un indi­vi­duo, secondo uno schema sco­no­sciuto all’individualismo clas­sico. La dot­trina di Hume regi­stra di con­se­guenza il tra­monto delle tra­di­zio­nali dot­trine del diritto natu­rale, cioè della pos­si­bi­lità di fon­dare la legit­ti­mità poli­tica su comandi immu­ta­bili che dovreb­bero essere inscritti diret­ta­mente nella mente degli uomini. Essa però non può nem­meno accet­tare le teo­rie del con­tratto sociale, cioè l’idea che la costi­tu­zione poli­tica pre­sente debba la pro­pria legit­ti­mità a un patto che nes­suno dei viventi ha sti­pu­lato. Quando parla di governo Hume non ne fa una cate­go­ria meta­sto­rica che coin­cide con l’evidenza che gli uomini si sono sem­pre sot­to­po­sti a una qual­che forma di potere. Come ben dimo­stra Cobbe, Hume regi­stra che la pre­senza di una plu­ra­lità di forme di governo degli uomini, pro­prio per­ché non pre­sume che gli indi­vi­dui pos­sano obbe­dire solo per paura o per un con­senso sem­pre già dato.
Le pra­ti­che di auto­di­sci­pli­na­mento che gli indi­vi­dui svi­lup­pano in con­ti­nua­zione sono la con­di­zione di pos­si­bi­lità di un governo che poi esi­ste per limi­tare la loro libertà. La tra­sfor­ma­zione inav­ver­tita ma radi­cale alla quale è stato sot­to­po­sto il con­cetto di indi­vi­duo divine così il fon­da­mento della mutata con­ce­zione del governo. Quest’ultimo non è la forza eser­ci­tata in ultima istanza per impe­dire agli uomini di affer­mare le pro­prie indi­vi­duali e distrut­tive pas­sioni, ma non è nem­meno una sorta di replica sul piano col­let­tivo di una rego­la­zione già com­ple­ta­mente matu­rata su quello indi­vi­duale. Esso è un pro­dotto della società, non il pre­sup­po­sto della sua costi­tu­zione, e per que­sta ragione esso non è «asso­luto» nel senso con­so­li­dato del ter­mine, ma piut­to­sto un governo tra altri che ugual­mente pro­du­cono, rego­lano e limi­tano l’agire degli indi­vi­dui. Il governo poli­tico vive cioè della par­zia­lità delle opi­nioni che lo con­sen­tono, così come la società stessa è attra­ver­sata da par­zia­lità che tali riman­gano nono­stante la sin­tesi ope­rata dalla società stessa.
La costi­tu­zione diviene così lo spe­ci­fico spa­zio isti­tuito tanto dalle con­trad­di­to­rie opi­nioni del popolo, che Hume si rifiuta di trat­tare con il disprezzo che fino a quel momento gli riserva la tra­di­zione poli­tica, quanto dalle neces­sa­rie deci­sioni del governo. In una società costi­tuita da parti senza un’unità pre­co­sti­tuita, la legge, in quanto espres­sione del comando sovrano desti­nata a rego­lare con i suoi divieti e i suoi silenzi la società, viene anch’essa rela­ti­viz­zata nella sua rile­vanza, così come abbiamo visto suc­ce­dere a pro­po­sito dell’individuo e del governo. Essa non esprime la sola moda­lità di rego­la­zione rispetto alla quale si con­trap­pone l’eccezione come rispo­sta alle emer­genze occasionali.
LA PARA­DOS­SALE NORMALITÀ
La società di Hume è una para­dos­sale con­di­zione di nor­ma­lità che, non essendo garan­tita esclu­si­va­mente dalla norma giu­ri­dica, pre­vede al suo interno la pre­senza costante dell’eccezione e della tra­sfor­ma­zione della norma. Poi­ché nella società coe­si­stono nor­ma­zioni diverse, diviene assai com­pli­cato con­trap­porre la norma all’eccezione, la nor­ma­lità all’emergenza, secondo un modello oggi sem­pre più pre­sente con il declino della sovra­nità clas­sica.
Biso­gna però aggiun­gere che non sem­pre l’opinione può espri­mere quella sin­tesi «obli­qua» che Hume imma­gina possa con­fer­mare l’ordine della società. Non sem­pre essa giunge a eser­ci­tare quella che Cobbe con una espres­sione assai felice defi­ni­sce «sovra­nità infor­male». Dalle con­dotte socie­ta­rie rischiano sem­pre di emer­gere rife­ri­menti nor­ma­tivi, abi­tu­dini, imma­gi­na­zioni che, con mag­gior o minor suc­cesso, sta­bi­li­scono un con­tra­sto insa­na­bile con il governo stesso dell’opinione. Non a caso la dot­trina di Hume è sospesa tra le rivo­lu­zioni, quelle inglesi del Sei­cento e quelle atlan­ti­che della fine del secolo suc­ces­sivo e, men­tre regi­stra il mobile ordine socie­ta­rio che le prime hanno sta­bi­lito, essa viene ampia­mente uti­liz­zata per pro­durre quelle che ver­ranno. Nono­stante il quieto con­ser­va­to­ri­smo del suo autore, nella dot­trina di Hume affiora costan­te­mente un’inconsapevole ma sot­tile carica eversiva.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.