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mercoledì 19 marzo 2014

“Oca pro nobis”, un sillabo anticlericale

da MicroMega

“Oca pro nobis”, un sillabo anticlericale


Pubblichiamo la recensione di Michele Martelli e la prefazione di Carlo Augusto Viano al libro “Oca pro nobis” di Carlo Cornaglia, Filippo D’Ambrogi, Walter Peruzzi e Maria Turchetto (Odradek). Un’opera satirica brillante e insolita che con disegni, prose, versi e anche musica prende di mira contraddizioni e imposture della dottrina cattolica.

di Michele Martelli 
Un libro divertente e istruttivo, per grandi e per piccini: Oca pro nobis. Controsillabo giocoso e irriverente (Roma, Odradek, 2013). Facile e snello, fatto di poesie e prose, disegni e canzonette (fruibili con uno smartphone o un pc), impostato come un tabellone del gioco dell’oca, con rimandi agili e veloci da una casella all’altra, e con la possibilità, per chi si collega a internet, di trascorrere a piacere dalla lettura dei testi all’ascolto della musica, il volume è stato composto a più mani, da quattro autori: Carlo Cornaglia, poeta satirico noto ai lettori di MicroMega, che ha scritto le poesie e le canzonette, Filippo D’Ambrogi, ideatore del libro e autore delle musiche, Walter Peruzzi, studioso di politica e dissacrante storico del “cattolicesimo reale”, che è l’autore delle schede in prosa, e Maria Turchetto, docente di filosofia all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, disegnatrice delle tavole dell’oca che sintetizzano in immagine il titolo e il contenuto dei 63 capitoletti. Il volume è aperto dalla Prefazione di Carlo Augusto Viano, noto storico della filosofia e studioso di etica, uno dei più rigorosi rappresentanti del laicismo in Italia, che fa un rapido e magistrale quadro storico e teorico dell’anticlericalismo. (Per chi vuole saperne di più, segnalo l’intervista agli autori inhttps://www.uaar.it/news/2013/12/21/oca-pro-nobis-intervista-conaglia-dambrogi-turchetto/).

Un’operetta davvero insolita, scritta per istruire divertendo, secondo il motto che da secoli è una sorta di logo della satira e del teatro comico-satirico, ovvero l’oraziano «Ridendo dicere verum» (Dire la verità scherzando)» e il più noto «Castigare ridendo mores (Sferzare i costumi ridendo)» della Commedia dell’arte seicentesca: nel nostro caso, ovviamente, le idee e i costumi sferzati sono quelli catto-clericali. Dario Fo ha detto una volta in un’intervista a MicroMega che «la satira è nata per mettere il re in mutande», perciò «il [suo] linguaggio non può che essere virulento, sfacciato, insultante»; in fondo, la satira «è un atto di rifiuto», «una contro-aggressione che risponde allo smacco del potere con uno sghignazzo che non può essere elegante».

Ma in Oca pro nobis la dissacrazione e lo sberleffo satirico, tipico della fluida e brillante versificazione in quartine perlopiù di endecasillabi a rima alternata o baciata di Cornaglia, è accompagnato e integrato dalle schede critiche e storico-documentarie di Peruzzi volte a porre in evidenza le incoerenze, contraddizioni e storture della dottrina cattolica e dell’oppressivo potere politico-religioso del clero, sempre pronto a imporre i suoi diktat a Stati, partiti e parlamenti. Come dal sottotitolo, il libro vuol essere un Controsillabo che fa il verso a quel famoso Sillabo del 1864 di papa Pio IX, che fu un’incredibile e assurda catena di negazione dei valori della modernità e della laicità, del liberalismo e della democrazia, anatemizzati e scomunicati senza riserve (dalla libertà di religione, di pensiero e di stampa alla separazione fra Stato e Chiesa).

Già da una rapida scorsa all’Indice dell’Oca si capisce che gli autori affrontano i temi principali che vedono la cultura laica e libertaria opposta al dogmatismo e all’integralismo autoritario cattolico. Si va dai temi etici, bioetici e di genere a quelli del rapporto tra politica e religione, dai dogmi teologici e dottrinali agli excursus storici, per dimostrare le assurdità delle “Verità di fede”, l’intolleranza teocratica della Chiesa gerarchica, la sua estraneità ai moderni diritti civili, la sua volontà prevaricatrice sui dissidenti, i diversi, gli eretici, i crimini e le guerre di sterminio (crociate e “guerre sante”) di cui storicamente si è macchiata, direttamente o come complice dei carnefici.

Basterà qui dare qualche assaggio per cominciare ad assaporare il testo, che va ovviamente gustato nella sua interezza. I dogmi di fede e quelli politico-religiosi? Fino a ieri, c’era il Limbo per i bimbi morti non battezzati (per averlo negato, nel XIV sec. Giovanni Wycliff fu arso vivo sul rogo), oggi non si sa, forse non c’è più, scomparso, parola di Benedetto XVI: l’oca in evidente stato di confusione affonda la testa nella sabbia (pp. 98-99); fino a ieri, le “guerre”, soprattutto quelle religiose, erano santificate da Dio (“Dio lo vuole”, così papa Urbano II nel 1095 incitava i Crociati allo sterminio degli infedeli), oggi no, la Chiesa papale sconfessa il jihad islamico (tipo Al Qaeda, per intenderci), senza fare ammenda delle sue colpe passate: l’oca impettita marcia con stivali, elmetto e moschetto (pp. 72-73); così per la pena di morte, ieri giustificata e praticata, oggi condannata: l’oca, poveretta!, questa volta ci rimette la testa, recisa da un colpo di mannaia (pp. 104-105).

La libertà e i diritti umani e civili? Oggi le gerarchie accettano la libertà di stampa, ma ieri creavano l’Indice dei libri proibiti(1559), sentendosi autorizzati dal Padre eterno a bruciare sul rogo i libri esecrati insieme ai loro autori (in realtà sin dal Concilio di Nicea, nel 325, fu decretato di dare alle fiamme i libri di Ario, e di uccidere chi li nascondeva): nel 1966 l’Indice è stato abolito, ma senza ombra di autocritica per il passato (pp. 126-127): «Brucia brucia brucia / qui c’è puzza di bruciato / Ma è profumo d’incenso / per il papato», canta Cornaglia a proposito del «mortifero flagello dei libri» (p. 92). Fino a ieri gli ebrei, esecrati come “perfidi giudei” e “deicidi”, sono stati perseguitati, segregati nei ghetti, espulsi dallo Stato Pontificio, esclusa Roma, e dai Regni cattolici, talvolta convertiti con la persuasione o con la forza, e il loro libro sacro, il Talmud, dato alle fiamme; oggi si deplora l’antisemitismo, parlando ipocritamente di errori commessi da singoli (pp. 134-135). E similmente sulla schiavitù, giustificata per quasi duemila anni (“Schiavi, obbedite ai vostri padroni”, Paolo, Ef., 6,5 ), definitivamente condannata da Leone XIII e poi dal Vaticano II (1965): ed ecco l’oca, triste, il capo reclinato, e il piede offensivamente legato ad una catena (pp. 18-19). Infine, per concludere, sulle questioni oggi dette “bioetiche”, la Chiesa si è invece arrogato da sempre il potere di decidere sulla nascita, la vita e la morte di credenti e non credenti, senza mai cessare, come la cronaca degli ultimi decenni dimostra, di ingerirsi nell’attività legislativa degli Stati, per impedire o annullare la legalizzazione e legittimazione del divorzio, dell’aborto, delle coppie di fatto e delle unioni gay, del fine vita e dell’eutanasia.

Esemplari a quest’ultimo proposito i versi di Cornaglia: «Vuoi morir quando è finita? / Attenzion perché la vita / non è tua ma è del Signore! / Non si muor quando si muore / ma oggidì grazie alla Scienza / quando del sondin fai senza / e la Chiesa è un’aguzzina, non vuol mai staccar la spina. / Eppure io, io sono mio / non appartengo a nessuno neanche a Dio. / Sì io, io sono mio / e su di me, decido io! […] Non c’è un Dio nell’aldilà / ma se c’è con sé vorrà / Welby e quelli a Welby eguali / mentre preti e cardinali / ed i falsi benpensanti / li terrà da sé distanti / relegandoli in eterno nel profondo dell’inferno.»: ed ecco, nella pagina a fianco, l’oca in veste di prete, col nero crocifisso in mano, pronta a impartire l’estrema unzione (pp. 122-123).

«A corredo di ogni testo», scrivono gli autori «oche, tantissime oche, irreverenti, ironiche, tenere, graffianti» (p. 11). Mi chiedo se però, interpellate, le oche sarebbero contente di essere rappresentate a immagine e somiglianza di preti, papi e cardinali. Se non altro, perché, maschi e femmine, esse si accoppiano senza chiedere a terzi il permesso e la benedizione. E l’etologo aggiunge che talvolta perfino “divorziano”.

E nemmeno l’“oca giuliva”, che, “per la serie ‘la Chiesa che vorrei’”, sogna a più riprese una Chiesa senza potere, povera e dei poveri (vedi il festoso «Dàtuttoaipoveri day”, pp. 138-139), disposta a schiodare i crocifissi dai luoghi pubblici (“Scrocifissione day”, pp. 38-39), ad accettare i mezzi contraccettivi (“Preservativo day”, pp. 56-57), a rinunciare all’ora scolastica di religione (“Nooradireligione day”, pp. 84-85), ad aprirsi alle unioni civili (“Coppiedifatto day”, pp. 112-113), nemmeno l’“oca giuliva”, dicevo, si direbbe forse soddisfatta, perché probabilmente convinta che una tale “Chiesa altra” ci sia stata, e ci sia tuttora, sicuramente minoritaria, marginale, episodica, frammentata e dispersa, certo talvolta repressa per la sua “pericolosità”, talvolta tollerata dalle gerarchie, perché buona ad essere usata come foglia di fico o valvola di sfogo di umori critici e spinte ribellistiche, ma tuttavia innegabile. Un parroco o un diacono, e persino una suora o un episcopo disobbediente, che per es. distribuisce i preservativi (come in tante parti dell’Africa, contro l’Aids), o che fa suo, povero tra i poveri, il destino dei dannati della terra (come nei paesi latino-americani dell’epoca della Teologia della liberazione), non è infatti soltanto il sogno, ingenuo e illusorio, di un’“oca giuliva”!

Hanno però ragione gli autori, penso, a suggerire con realistico disincanto che una riforma radicale, profonda e duratura della Chiesa gerarchica, con gli attuali rapporti di forza, consolidati da dottrine, norme e canoni sacrali e da quasi due millenni di potere autocratico, è un’impresa al limite dell’impossibile.

Possibile invece, come nell’augurio degli autori, “de-cattolicizzare” e laicizzare l’Italia. Questo il messaggio, l’intento, la missione, per così dire, di Oca pro nobis. Un libro da leggere per divertirsi, e da meditare per capire e non dimenticare.
di Carlo Augusto Viano
Nella cultura contemporanea manca una critica significativa della religione in generale e delle singole religioni. Si tratta di un aspetto importante della nostra storia intellettuale, presente nella cultura antica, a opera di letterati e filosofi, perfino dei filosofi che poi pretendevano di formulare una loro religione o proponevano pratiche religiose elaborate autonomamente. Il pluralismo religioso del mondo greco-romano favoriva un confronto tra le religioni, in cui era possibile criticare, anche aspramente, credenze e pratiche di questa o quella religione. Poeti e sofisti avevano messo in luce l’arbitrarietà delle immagini antropomorfiche delle divinità o interpretato in modo non edificante le vicende nelle quali, secondo la mitologia tradizionale, essi erano implicati. Anche filosofi come Platone, che aspiravano a fondare una religione, davano un’immagine dissacrante di profeti e predicatori, che pretendevano di indicare la via verso paradisi pieni di delizie. Uno storico patriottico come Tito Livio ci ha dato un’idea dei modi nei quali gli indovini ufficiali sapevano adattare i loro responsi alle opportunità politiche o erano costretti a farlo, mentre uno scrittore come Luciano di Samosata ha svelato i trucchi di indovini e santoni. Anche l’ossessione ebraica dell’idolatria, ancorché connessa ai problemi posti dai rapporti del popolo ebraico con quelli con i quali doveva convivere, alimentava la critica di credenze e pratiche religiose.

Il cristianesimo ha ereditato l’ossessione antidolatrica ebraica, ma l’ha inserìta in un programma che mirava non a salvaguardare la purezza della religione tradizionale, bensì alla sottomissione dei seguaci delle altre religioni, ovunque si trovassero. I cristiani attingevano alla demonologia ebraica per interpretare le pratiche delle altre religioni, riconducendole all’opera del diavolo e dando in un certo senso credito alle loro pretese di effettuare operazioni soprannaturali: ne risultava un’immagine del mondo come teatro della lotta tra potenze soprannaturali. Veniva così a mancare qualsiasi presupposto per formulare una critica radicale delle pratiche religiose, smascherando gli inganno sui quali si costruiscono. Da Erodoto a Luciano gli antichi avevano smontato i trucchi con i quali i profeti simulavano eventi portentosi, per corroborare le strabilianti credenze che proponevano e indurre i seguaci a credere nei loro poteri straordinari. La cultura cristiana reprimeva qualsiasi critica di questo tipo, perché dubitare del potere soprannaturale di qualcuno rischiava di gettare l’ombra del dubbio anche su Gesù e i suoi eredi.

Soltanto gli eredi dell’aristotelismo, come Pietro Pomponazzi, sono riusciti a tener viva la tendenza a svelare le imposture religiose, partendo dall’idea che l’ordine naturale rende impossibili i miracoli. Gli impostori, cercando di far credere a fatti mai accaduti o simulati con inganni, carpiscono la fiducia delle persone per interessi privati o per fini pubblici, cioè per indurre comportamenti collettivi. Machiavelli e i suoi eredi hanno messo in luce l’utilizzazione delle imposture religiose come strumento di governo, aprendo la possibilità di considerare le tre figure fondamentali delle religioni di ceppo ebraico, Mosè, Gesù e Maometto, come impostori. Era la ripresa della critica religiosa ben praticata nell’antichità, con la quale la cultura antica aveva smascherato profeti come Pitagora o Apollonio di Tiana, ma che era servita ai dotti pagani anche per smascherare le imposture cristiane, a cominciare da quelle attribuite a Gesù. La critica dei miracoli e delle imposture che ne derivano avrebbe costituito un aspetto fondamentale dell’illuminismo e dei deismo moderni, segnando profondamente la cultura europea seicentesca e settecentesca. Illuministi e deisti si illusero di creare una religione razionale, che non avesse bisogno di miracoli né di imposture, trasformando la divinità in una specie di sorvegliante lontano sull’ordine naturale delle cose o in un disinteressato legislatore morale. Le cose sono andate poi in tutt'altro modo e, alla fine, sembrò che soltanto l’ateismo potesse mettere al sicuro dalle imposture religiose.

L’ateismo moderno ha conosciuto due varietà. La prima è cresciuta sull’idea che l’ordine dell’universo, collegato nelle religioni razionali all’idea di un dio immaginato come un orologiaio, capace di costruire un meccanismo in grado di funzionare da solo, non ha mai bisogno, né per instaurarsi né per conservarsi, di una divinità onnipotente. La seconda varietà, che si avvaleva soprattutto dei suggerimenti della biologia e in particolare della teoria dell’evoluzione, partiva dall’idea che il mondo vivente, stimolo principale delle istanze religiose, fosse retto essenzialmente dal caso e perciò non potesse far posto a un’entità cui si attribuiva il potere di dominare la casualità e di indirizzarla verso una fine. Entrambe queste forme di ateismo hanno svolto un’utile critica delle credenze religiose e delle falsità in esse contenute, ma si sono spesso espresse in forme concettuali rigorose e asettiche, efficaci nel mostrare l’arbitrarietà delle dottrine incorporate nelle fedi religiose, ma meno interessate a svelare le imposture delle quali quelle fedi si servono.

Nella cultura ottocentesca, accanto all’ateismo “maggiore”, si è sviluppata una critica religiosa in un certo senso “minore”, spesso etichettata come anticlericalismo. In realtà anche la critica all’organizzazione ecclesiastica delle religioni ha avuto due varietà, delle quali una non assimilabile alle forme “minori” di anticlericalismo e connessa piuttosto alle dottrine ateistiche. In questa varietà i preti erano visti soprattutto come agenti del potere politico o di quello sociale delle classi dominanti: era la posizione sociale del clero, più che le sue pratiche, ciò che la critica intendeva colpire. Questo tipo di anticlericalismo “ideologico” ha contribuito a screditare l’anticlericalismo minore, e ingiustamente. L’anticlericalismo ha avuto un’illustre tradizione anche in quella che è considerata la storia intellettuale del mondo occidentale ed è vissuto perfino all'interno del cristianesimo. C’è un anticlericalismo medievale, che è stato spesso represso e per questo non ha potuto lasciare tracce vistose, ma esso è emerso nell’umanesimo rinascimentale, raggiungendo espressioni ragguardevoli negli umanisti italiani, in Erasmo, in Machiavelli e in Guicciardini. E una componente anticlericale era presente nella cultura religiosa da cui è nata la riforma protestante.
Proprio il clima di forte repressione religiosa esercitata in Europa dalla Riforma e dalla Controriforma ha relegato in secondo piano l’anticlericalismo, costringendolo a esprimersi in forme clandestine o a dissimularsi. Ciò ha contribuito a nascondere parzialmente i contenuti anticlericali dell’illuminismo e a dare una veste dottrinale all’ateismo o ad accompagnare la critica al clero con l’invenzione di una religione civile o razionale. Dopo le delusione nei confronti delle religioni artificiali, nella cultura liberale e socialista dell’Ottocento, l’anticlericalismo, relativamente libero da ideologie globali, ha potuto esprimersi con indipendenza e creatività. È così emersa la vena anticlericale che aveva percorso la cultura moderna e che ha dato vita ai movimenti ottocenteschi per la secolarizzazione della vita civile. Nell’anticlericalismo ottocentesco ha potuto avere pieno riconoscimento la vena umoristica e satirica, che ha smascherato e messo in ridicolo gli atteggiamenti del clero e gli strumenti usati dai preti per far valere le loro imposizioni religiose.

La cultura del Novecento ha subito un forte regresso da questo punto di vista, perché ha visto il ritorno di atteggiamenti di sottomissione alle culture religiose. I movimenti ottocenteschi collegati alla costruzione delle nazioni erano stati spesso accompagnati dalla promozione di forme di vita secolarizzate, perché la nazione si era configurata come l’entità capace di proteggere i suoi membri da imposizioni, che non fossero quelle fondate sull’identità nazionale. Ma i nazionalismi novecenteschi hanno attenuato il legame con la tradizione liberale, veicolo delle istanze laiche e anticlericali: è sembrato che anche le nazioni dovessero avere una sanzione religiosa e spesso è parso che la cosa più agevole fosse attingere alle religioni correnti. È significativo che lo stesso Benedetto Croce designasse il proprio liberalismo come una “religione della libertà”. E quando i nazionalismi novecenteschi presero la via dei totalitarismi, le chiese furono generose nel sostenerli, ricevendo in cambio protezioni, privilegi e persecuzioni dei dissidenti. Ma anche quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i regimi totalitari sono scomparsi dal mondo occidentale e il laicismo liberale ha riconquistato prestigio, l’anticlericalismo e la critica delle religioni non ha più ripreso vigore. L’anticomunismo, che ha segnato i regimi democratici occidentali durante la guerra fredda, ha generato alleanze tra la cultura clericale e i partiti più o meno liberali e democratici, facendo dimenticare l’appoggio offerto dalle chiese ai regimi fascisti e nazisti e la vocazione autoritaria dei movimenti religiosi. La cultura di sinistra, che dovrebbe essere la sede naturale della critica alle religioni e ai loro atteggiamenti clericali, ha invece spesso assunto un atteggiamento morbido nei confronti dei partiti di ispirazione religiosa e delle pretese ecclesiastiche. A orientarli in questo senso sono valse non soltanto ragioni di opportunità politica, alla base di alleanze di governo, o la preoccupazione di respingere l’ateismo di stato di tipo sovietico, ma anche ragioni ideologiche interne: sembrava che le religioni trasmettessero una cultura improntata alla solidarietà e capace di costituire un’alternativa all’ideologia borghese, ispirata ai principi del capitalismo e del liberalismo individualistico.

Ancora oggi, dopo che i temi liberali sembrano tornati di moda e le vecchie divisioni imposte dalla guerra fredda paiono scomparse, le debolezze intellettuali nei confronti delle religioni si sono conservate. Il liberalismo populistico dei movimenti messi in piedi da Berlusconi sono sfacciatamente clericali, perfino più della vecchia Democrazia cristiana, mentre la formazioni più o meno democratiche o di sinistra sono, nella migliore delle ipotesi, timide, sia perché hanno fatto propria l’eredità dei movimenti clericali, sia perché amano, per ragioni intrinseche, la cultura cattolica. Questi lasciti pesanti ci hanno privati della capacità di formulare critiche efficaci e mordenti delle credenze religiose e degli atteggiamenti del clero. La cultura laicista ha sempre giustamente sostenuto la necessità di professare il massimo rispetto per la libertà di tutti e per le persone, ma ha interpretato questi impegni come vere e proprie autocensure, come se essi impedissero di esercitare la critica più radicale delle credenze professate dalle persone, delle pratiche da esse proposte e delle loro pretese.

Non bisogna dimenticare che i cattolici non hanno mai accettato le regole fondamentali degli ordinamenti liberali, secondo le quali le condotte religiose possono essere liberamente propagandate e seguite, ma mai imposte. Da parte loro i liberali hanno dimenticato che uno dei compiti della cultura liberale consiste nello smascheramento delle forme attraverso le quali le imposizioni religiose cercano di dissimularsi come proposte laiche, condivisibili e giustificabili con ragioni indipendenti dalle credenze religiose. I cattolici hanno sempre gradito e utilizzato la libertà garantita loro dagli ordinamenti liberali così come l’atteggiamento di rispetto nutrito nei loro confronti, ma non hanno mai ricambiato questi riconoscimenti con qualcosa di analogo. La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto la propria superiorità su ogni altra professione religiosa e ha sempre preteso di disporre del monopolio della verità; e, anche quando è sembrata aprirsi al riconoscimento della libertà religiosa, ha sempre visto nella religione la destinataria privilegiata della libertà. I laici sono sempre stati considerati dei peccatori, nei confronti dei quali forme di rispetto potrebbero essere pericolose concessioni a forme di vita viziose.

Per queste circostanze è venuta meno la letteratura satirica nei confronti delle religioni e dei loro cleri. Perciò è particolarmente apprezzabile la proposta costituita da Oca pro nobis, che rappresenta una novità e rompe un tabù. Essa mette in scena con disegni, prose, versi e musica idee e atteggiamenti correnti della chiesa, prendendo di mira soprattutto tre cose: le credenze arbitrarie della dottrina cattolica, la pretesa degli organi ecclesiastici di sottrarsi alla solidarietà nazionale per conservare privilegi economici e le regole sessuali, che i preti pretendono di imporre a tutti attraverso leggi dello stato. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II e il pontificato di Giovanni Paolo II la chiesa è sembrata disposta a rivedere alcune delle proprie posizioni, a riconoscere errori commessi e addirittura a chiedere perdono alle vittime. Nessuno intende sottovalutare l’importanza culturale di questi fenomeni, ma gli autori di Oca pro nobis hanno appuntato l’attenzione su un altro aspetto, spesso trascurato. Quasi sempre le correzioni apportate dagli organi ecclesiastici hanno riguardato il passato e hanno presentato gli errori commessi come applicazioni scorrette di principi rimasti inalterati. Non soltanto temi fondamentali del cristianesimo non hanno subito revisioni, ma correzioni e richieste di perdono si sono limitate al passato e non sono mai state accompagnate da impegni a non ripetere più le nefandezze commesse. Anzi, quando chiese perdono per ciò che secondo lui cardinali sprovveduti avevano indotto a fare a Galileo, Giovanni Paolo II si affrettò a dire che i biologi avrebbero dovuto sottomettersi al giudizio dei papi, che di meccanica magari no, ma di vita se ne intendono e sono lì a evitare che qualcuno cerchi di cacciare l’anima dal novero delle cose esistenti.

Oca pro nobis è un buon sillabo, per usare un termine caro alla cultura ecclesiastica, delle imposture della dottrina cattolica, cioè delle cose non vere in essa contenute e imposte per indurre le persone a riconoscere i poteri speciali del suo clero e a seguirne i precetti. Si tratta anche di un esercizio di mancanza di rispetto per chi non ne ha per il buon senso e la libertà di scelta delle persone, ed è un sillabo in versi, musica e figure, gli strumenti classici con i quali per secoli si è cercato di incantare le menti umane

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