La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

IN TERRITORIO NEMICO
Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

Dettagli di un sorriso
romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

NON STO TANTO MALE
romanzo di Gianni Zanata

mercoledì 27 marzo 2013

Confessioni di un serial killer, di plz



Non e’ vero quello che si dice di me.
Sono un serial killer.
Altri sono borseggiatori, truffatori, spacciatori, papponi, rispettabili professionisti, politici, non sempre onesti, religiosi, non sempre coerenti..
Sono un serial killer. Un coscienzioso serial killer: cosi’ per passare il tempo.
Voglio l’ attenzione delle donne. Le ascolto, pero’, ogni volta che hanno uno dei loro cazzi di su e di giu’. Sul fatto che non hanno comprato questo o quello, che si sono lasciate e prese con questo e quello, che i loro bambini oggi hanno la febbre, che sono incasinate nei divorzi, che i mariti non le comprendono e le lasciano sempre troppo sole.
Mi attirano le casalinghe. Le piu’ frustrate. Spesso per la famiglia hanno rinunciato a un lavoro gratificante o non ne hanno mai avuto una occasione perche’ rimaste incinta ragazzine e costrette a sposarsi. Donne sole che trovano la loro realizzazione nella finzione delle fiction televisive e nei reality-show.
Le abbordo nel parcheggio dei centri commerciali.
Visto cosi’ ho l’ aria di un brav’ uomo. Ispiro fiducia.
Le aiuto a caricare la macchina e a portare la spesa a casa. Mariti e figli sono sempre fuori casa: al lavoro e a scuola.
Vado a letto con loro. Mi infilo sotto le loro lenzuola. Scopo in silenzio. Non stanno mai zitte: continuano a parlare, dei loro problemi. Non chiudono mai la bocca. Sono convinte di poter parlare su qualunque cosa e di poter fare le vittime che si prendono la loro rivincita scopando con il primo uomo che stanno a sentirle.
Le ascolto. Non dico nulla.
Ascolto. In silenzio. Non voglio entrare nei loro casini.
Questo mi facilita’ poi ucciderle.
L’ unico modo per dare un senso alla vita.
La mia.
Loro trovano pace nella morte.
La loro.


La notte e’ freddissima, ma la luna splende vivamente. Sulle colline vicine un bizzarro uomo passeggia tranquillamente in quel posto e cosi’ tanto freddo.
Un altro uomo di avvicina.
Peter, uno dei due, parla per primo e dice a Frank che comprende la sua inquietudine, ma che tutto senza dubbio si aggiustera’.
- Per il momento Peter so bene che non ho niente da temere.
- Ti vedo pensieroso, come sempre quando hai un problema difficile.
- Quali malvagita’ si annidano nel cuore dell’ uomo? Tu lo sai.
Frank mentre parla si rivolge a Peter con un ghigno demoniaco.
- Tu non hai ancora capito.
- Che cosa?
- La morte, aggiunge Frank.
- Ah.
- No, tu non hai capito cosa vuol dire ricominciare.
- Prendila calma, Frank, prendila calma e abbassa un po’ la voce.
- Non la vedro’ mai piu’, urla e piange senza lacrime, lei non c’ era a Castle quella notte, non c’ era. Ha preferito andarsene. Le parole di Frank escono a stento.
- Non e’ andata via. Tu trent’ anni fa, su questa collina, in una notte freddissima, con una luna splendente vivamente, le hai preso la faccia fra le mani, l’ hai baciata sulla bocca, con sensualita’. Lei sorrideva, come se avesse nel petto tutta la felicita’ del mondo. Tu allora l’ hai colpita con un coltello a serramanico, conficcandolo nella sua pancia, aprendola come si apre un agnello per scuoiarlo.
Quali malvagita’ si annidano nel cuore dell’ uomo? Peter tu lo sai.
E’ una notte fatata in cui gli uomini si abbandonano ai flutti dei sogni, inseguendo streghe e chimere.

Questo io sono.
Sono un serial killer.
Altri sono borseggiatori, truffatori, spacciatori, papponi, rispettabili professionisti, politici, non sempre onesti, religiosi, non sempre coerenti..
Sono un serial killer. Un coscienzioso serial killer: cosi’ per passare il tempo.

I'm a SK and I sail close to the wind.

Si dice che i serial killer abbiano avuto problemi con i genitori, soprattutto con la madre.
Per me non e' cosi'.
I miei genitori Johanna e Louis erano delle persone fantastiche, innamoratissime.
La loro e’ storia da raccontare.
Mia madre nata nei primi anni del ventesimo secolo era una donna straordinaria. Figlia di un imprenditore di Castle che operava nel settore dei trasporti era cresciuta in una delle piazze centrali della citta’, dove erano le proprieta’ di mio nonno, Frank: casa padronale, stalle, cavalli, calessi, landau, carri per il trasporto delle merci e la stazione di posta dove i cavalli degli operatori delle campagne intorno sostavano, in attesa del ritorno nei paesi, una volta che i loro padroni avevano concluso i loro affari o scaricato le merci che poi venivano distribuite da mio nonno.
La famiglia di mia madre comprendeva altre tre sorelle e due fratelli.
Nonno Frank, molto severo, impediva ai figli, soprattutto alle sue bambine, di andare nelle stalle dove bazzicavano gli stallieri e gli uomini del contado.
Mia madre, ribelle, era l’ unica che trasgrediva gli ordini del padre. Appena alzata si precipitava nele stalle e trafficava con i cavalli.
Col crescere degli anni, oltre ad essere sempre piu’ bella, una donna dalla pelle madreperlacea, capelli corvini, occhi scuri, labbra carnose, naturali, non come quelle rifatte oggi dai chirurghi plastici, che realizzano interventi mostruosi che trasformano le bocche delle loro clienti in antiestetici canotti di carne, era diventata un’ abile amazzone. Cavalcava come gli uomini, non seduta con le gambe pendenti sul lato sinistro dell’ animale, come si usava in quegli anni, ma incosciando la bestia per meglio stringerlo tra le gambe e poterlo governare senza problemi. Cavalcava spesso a pelo, senza sella, ed era bravissima nell’ eseguire acrobazie con il cavallo lanciato al galoppo.
Era la disperazione del padre.
Inoltre si divertiva a fare capriole aggrappata alle travi delle stalle.
Partecipava con grande perizia anche alla doma dei puledri.
Una volta la vide il proprietario di un circo il quale propose a nonno Frank una scrittura per la figlia.
Johanna dovette restare chiusa nella sua camera per due settimane, fino a quando il circo lascio’ la citta, non fosse mai che la ribelle figlia decidesse di aggregarsi alle troupe circensi.
Nonno Frank aveva paura dell’ estrema socievolezza della figlia che esibiva sempre e che forse per i tempi, secondo lui, non era consona con una particolare maturita’ di comportamento.
Mia madre andava nella vicina spiaggia di Little George a fare lungo galoppate che immancabilmente si concludevano con un bagno in mare del cavallo e suo. Si divertiva a lanciare il cavallo nella grigia distesa dalla spiaggia che arriva sin quasi all’ orizzonte. Generalmente Little Gorge era poco affollata. Quasi sempre poca gente distesa sulla sabbia o seduta sulle sedie a sdraio, pochi altri a prendere il sole vicino all’ acqua. Gli uomini o in completi o nei loro costumi interi e le donne nei loro pagliaccetti con l’ ombrellino a impedire una, allora, disdicevole abbronzatura. Una volta, in sella a Devil, uno stallone dal manto nero, fu trascinata al largo dalla corrente. Mia madre, sotto gli occhi terrorizzati del padre, che gia’ presagiva una disgrazia, riusci’ con pazienza e perizia a ritornare a riva, assecondando il nuoto di Devil nelle onde e nella corrente. Anche questa bravata le costo’ la ‘’reclusione’’ di due settimane nella sua camera, guardata a vista dalla severa governante, che avrebbe dovuto proibirle anche di mangiare i dolci preparati dalla cuoca. Invece la governante le portava di nascosto piu’ di una fetta di torta, senza dire una parola, un dito sulla bocca in segno di avvertimento, in un ironico teatro della cospirazione.
Uno degli stallieri soprannominato Lead Feet per il modo di camminare pesante, come se i suoi piedi fossero infilati in scarpe di piombo le aveva insegnato a sparare con la pistola. Ogni giorno si esercitava al tiro sparando a barattoli di latta o bottiglie. Naturalmente quando il padre non era in casa. Se l’ avesse scoperta le sarebbero toccati altri giorni di clausura.

Mia madre aveva il potere di evocare gli spiriti.
Gli spiriti, i fantasmi, si dice, regnarono in tutti i tempi. La storia che sto per narrare e’ un esempio della loro esistenza? Puo’ darsi. Affermo che gran parte della incredulita’ su queste vicende sono legate al fatto che non sempre si comprende che non possiamo essere sempre soli.
La vicenda si svolge a Nayaders, un paese non lontano da Castle, la piu’ importante citta’ di Sandalyon, una grande isola dei mari temperati.
Sono le sette del pomeriggio di un giorno di settembre del 1943. Si sentono le ore suonare nel vicino campanile della chiesa. parrocchiale. La luce del giorno comincia a calare.
Sono nel salotto di casa, una stanza con un divano, due poltrone, una credenza con i servizi buoni di piatti e bicchieri, argenteria esposta, il tavolo tondo, quadri e foto alle pareti, una lampada a stelo, sul tavolo anche un portacenere di vetro e rame con un cavallino di rame sul bordo, nonostante in casa nessuno fumi. Gioco con un cavalluccio di latta, accoccolato dietro la sedia in cui mia madre e’ seduta, intenta a cucire e a lavorare a maglia.
Improvvisamente qualcosa accade in cucina, rompendo il silenzio che regna nella casa.Rumore di sedie trascinate e rovesciate. Poi come di piatti, bicchieri. Per terra. Rotti.
-Peter? Che cosa hai combinato?Mi alzo e mi faccio vedere. Si accorge che le sono accanto.
-John Charles? Che cosa e’ successo?
Nessuna risposta.
Si alza. Va in cucina per guardare il disastro. Niente. Tutto e’ in ordine.
Mio fratello e’ in giardino. Gioca con il cane.
Mia madre lo raggiunge.
-Hai toccato qualcosa?
-No.
Torna in salotto alle abituali faccende. Riprende a cucire e a lavorare a maglia.
Un’ altra sera. E’ sola in casa. Le tenebre sono gia’ arrivate. Le poche e deboli luci in strada sono accese. Noi figli siamo da una vicina.
Improvvisamente rumore di stoviglie.
Corre in cucina: piatti, bicchieri, tegami, padelle e pentole sono sul tavolo, tirati fuori della credenza.
Sbianca in viso. Le mani le tremano. Ha paura. Va anche lei dalla vicina.
Quando torniamo a casa riassetta.
Non racconta l’ accaduto.
Poi una notte, siamo tutti a letto, e’ un continuo sbattere di porte e finestre. Le ante dell’ armadio si aprono e la biancheria è scaraventata a terra.
In casa non ci sono altre persone.
Mia madre e’ spaventata, ma mantiene la calma, per non allarmare noi figli, svegliati dal fracasso.
Recita a voce alta un’ Ave Maria e un Padre Nostro. La sua voce e’ perfettamente ferma, tranquilla, composta, ma seria. Ci invita a recitare con lei le preghiere. I miei due fratelli le dicono, sempre ad alta voce. Io, ho appena tre anni, non le so per intero.
Dice: Se sei un’ anima buona vieni in pace. Se sei uno spirito cattivo l’ inferno ti inghiotta.
Ci rasserena. Fa persino un debole tentativo di sorridere.
Ancora di sera, siamo tavola, in cucina, stiamo cenando. D’ un tratto, la porta d’ ingresso è colpita come da un forte getto d’ acqua, come di secchi svuotati con violenza.
Va verso la porta che da in giardino. Rimane qualche istante ferma pensando al da farsi. E’ indecisa se tornare a sedersi o aprire.
Apre. Nessuno. Solo una grande pozza.
Di nuovo recita un’ Ave e un Padre e ripete l’ invito a venire in pace se spirito buono, altrimenti tornare tra i dannati.
L’ indomani va in chiesa e parla degli accaduti con il parroco. Mia madre parla lentamente, come per aiutarsi a ricordare tutti i particolari e non tralasciare nulla. Il corpo e’ immobile, le mani strette indissolubilmente in grembo e lo sguardo conficcato sul crocifisso appeso alla parete. Il prete l’ ascolta con gli occhi fissi sul suo viso. E’ tranquillizzata. Le dice che forse e’ ancora scossa per la recente morte del marito.Una mattina John Charles gioca in salotto. Ha una monetina in mano. Gli sfugge. Rotola sul pavimento, raggiunge la parete e si infila in una fessura, tra una mattonella e il muro. Fa per prenderla ma questa scompare nel pavimento e dopo qualche secondo si sente un pling, fine caduta. Mia madre che ha seguito la scena capisce che li’ il pavimento copre un vano vuoto. Inspiegabile. La casa non ha cantina.
Ricorda che si e’ parlato della casa come di quella dove sarebbe stato ucciso, almeno un secolo prima, un uomo per rubargli gli averi, una cassetta con centinaia di monete d’ oro. Quando la mia famiglia era andata a viverci una vicina aveva raccontato a mia madre il triste episodio, affermando che nessuno l’ aveva mai voluta acquistare e era rimasta disabitata per molti decenni. Le aveva detto che qualcuno affermava di aver visto il tesoro, fornendo una descrizione molto particolareggiata degli oggetti. Questo tanti e tanti anni fa. Poi il silenzio sulla vicenda, sulla casa, sul tesoro.
Questa volta si rivolge a un prete di un paese vicino, conosciuto come esorcista. E’ un prete alto, con gli occhiali, il cranio pelato, un sorriso franco e beneducato.
Mia madre racconta gli episodi, la storia della morte violenta, della casa e del tesoro con voce sommessa, ma molto chiara. Parla, ma un vago timore, forse terrore, gli prende l’ anima, probabilmente in ragione della calma che, comunque, aveva nel cuore. Sembra contemplare, sbigottita, sgomenta, spaurita le visioni, nascoste ai piu’, che ora si librano nella sagrestia dalle pareti alte, coperte, dall’ alto al basso da una pesante tappezzeria, a intervalli irregolari tappezzata da figure di santi e immagini della passione del Cristo..
Il sacerdote ascolta, poi dice serio:
-Potrebbe essere uno spirito buono che vuole attirare la tua attenzione per farti trovare il tesoro che gli assassini non sono riusciti a rubare. Potrebbe pero’ essere anche uno spirito maligno. Lo stesso Belzebù.
Mia madre sta in silenzio. Guarda i disegni sulla tappezzeria e nota al centro di una parete il disegno di una colonna attorno alla quale correva attorcigliata con la forza di un serpente la fiamma di un fuoco vivo.
L’ esorcista prosegue:
- Se non hai altro da riferirmi, posso andare a casa tua e recitare le preghiere per allontanare il demonio. Non sapro’ pero’ mai dirti se in casa c’e’ un tesoro. Per saperlo dovrai levare le mattonelle e scendere nel vano. Puoi trovarci, pero’, non monete d’ oro e altri oggetti preziosi, serpenti e scorpioni, l’ emblema del male. Te la senti di correre questo rischio?
Mia madre accetta l’ invito del sacerdote a benedire la casa. Non fa altro, anche perche’ gli episodi dopo le preghiere dell’ esorcista non si ripetono. Non osa guardare sotto il pavimento perche’ teme che il demonio prenda se’ e le sue creature per trascinarle nei gorghi dei fiumi infernali, nelle tenebre, nelle profondita’ del silenzio, trascinandole giorno e notte, estate e inverno, senza mai riposare.
Dopo qualche mese trasferisce la famiglia a Castle, la citta’ dove esercita la sua professione di ostetrica condotta.
Dimentica la vicenda.
Le torna in mente quando viene a sapere che il nuovo inquilino e’ diventato improvvisamente ricco.
Questa era una prerogativa di mia madre.
Io che amo i misteri, la vita, la morte, un aspetto della vita…eterna, avro’ preso da lei?Forse.
Sicuramente le assomiglio nella dolcezza e nel dare felicita’.Per me, pero’, c' e' un solo mezzo in questo mondo per essere felici, ed e' quello di fare tutto quello che si puo' fare per rendere felici gli altri. So che le donne amate, per essere felici, hanno bisogno di essere uccise. Io le rendo felici.
Il modo migliore per amare una donna e' pensare al fatto che si potrebbe perderla. La morte per mia mano e' averla per sempre.
Con la morte dono eta' e splendore impareggiabili, di bellezza tale da sfuggire alla piena comprensione degli uomini.
Che cosa e' la pietra del buio e delle tenebra?
E' la fine che appartiene all' oscurita'...
Che cosa significa fine?
E' un luogo in cui vi e' solo ricordo dell' eta' e della bellezza avute in dono.

Un giorno quando Johanna e’ appena entrata nell’ adolescenza nella sua vita compare Louis, un ufficiale di un corpo speciale dell’ esercito, originario di una regione del Nord Europa.
Non ho mai saputo dove mia madre e mio padre si videro per la prima volta. Forse nella grande piazza antistante la grande casa dove abitava, che comprendeva anche le stalle e i cortili per la sosta dei carri e i grandi magazzini per i depositi delle merci.I
dettagli del loro incontro e della loro prima conversazione non li ho mai conosciuti.
Certo e’ che mia madre fu colpita da questo uomo in divisa, non molto alto, biondo, e occhi di un celeste del cielo. Il colore degli occhi di mio padre, diceva sempre mia madre, era sicuramente pari a quello del paradiso e emanavano una luce particolare che davano al suo sguardo il calore dei primi raggi del sole del mattino che si alzano a scaldare il mondo dopo il freddo della notte. Occhi azzurri penetranti e intelligenti su un viso dalla carnagione pallida da nordico, incorniciato dai capelli biondi, con un leggero principio di sicura incipiente calvizie.
Il suo sorriso mostrava una bella chiostra di denti regolari e, ricordava mia madre, metteva gli altri nella condizione di restituirglielo.
Louis, diceva mia madre, era una persona sensibile, colta e religiosa.Credo che mia madre abbia sentito, incontrando Louis, l’ incombere di quei momenti decisivi che ti cambiano la vita: una di quelle svolte in cui o afferri l’ opportunita’ fugace che ti si presenta o la guardi inerme scivolare via dalle tue mani e ritornare nel nulla.
Ritengo che abbia subito compreso, a parte il resto, che doveva rivedere quell’ ufficiale dagli occhi di cielo, che doveva imporre a suo padre.
Mia madre non mi ha mai raccontato di grandi difficolta’.
Si sposarono dopo un breve fidanzamento: lui 23 anni, lei 19.
Nel giro di due anni hanno due figli: Admeto, da un personaggio della mitologia greca (re di Fere in Tessaglia; fu anche sposo di Alcesti. Figlio di re Fere, da cui la città prende nome, fu uno degli Argonauti e prese parte alla caccia al Cinghiale Calidonio. Era celebre per la sua ospitalità e per il suo senso di giustizia), e John Charles.
Dopo14 anni, allo scoppio della seconda guerra mondiale, sono nato io.
Non ho molti ricordi di mio padre.
Solo questi due.
Non ho mai conosciuto mio padre, morto in guerra, l' ultima, quando avevo tre anni. La sua grande umanita', cultura, amore per la liberta' e la giustizia le ho conosciute soprattutto attraverso i racconti di mia madre.
Quando penso a lui vedo mio padre, mentre mi fissa con i suoi occhi azzurri e mi dice che la liberta' va strappata dalle mani degli oppressori.
Un insegnamento che trasmetto ogni giorno ai miei figli e nipoti con il mio comportamento.
Come dice Adorno nei ''Minima moralia'': non si da' vera vita nella falsa.
L’ idea di liberta’ mio padre me lo ha trasmesso pochi mesi prima di morire.
E’ l’ unico ricordo che ho di lui. Un ricordo mio, esclusivamente mio.
‘’Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente’’.
Dostojevskij: ‘’Memorie del sottosuolo’’.
Quando mi ha parlato di liberta’ a ogni costo, da strappare dalle mani degli oppressori, siamo io e lui da soli.
Andiamo, la mia mano nella sua, da Nayaders, dove, in tempo di guerra, aveva trasferito la famiglia, a New Adolya, un altro centro dell’ Alleopartshire, distante un paio di chilometri.
E’ marzo, non so se il giorno del mio compleanno. Ha avuto due giorni di licenza, ho poi saputo da mia madre quando dopo anni, molti, racconto l’ episodio. E’ di stanza a Castle, circa venti chilometri da Nayaders.
I miei ricordi dell’ ambiente della campagna sono piuttosto sfuocati. Diventano nitidi solo sulla sequenza della passeggiata e delle sue parole.
Camminiamo sul ciglio destro della strada. Sto alla sua destra per non correre pericoli, anche se il traffico e’ limitato a poche biciclette, a qualche carretto trainato dai cavalli, molte le persone a piedi, soprattutto donne e qualche ragazzo. Uno di questi ci passa accanto correndo.
Lui e’ in borghese, indossa un abito scuro, io un capottino chiaro con il colletto in velluto. Nella mia mente tutto e’ chiaro, soprattutto i suoi occhi di un intenso azzurro.
Camminiamo in silenzio. Mio padre mi stringe la mano. Il suo viso e’ sereno. Sono raggiante. Non passo molto tempo con lui. Quando la sera, non tutte le sere, lui torna a casa, io sono a letto e dormo, e la mattina, quando riparte, non sono ancora sveglio. Mia madre mi ha sempre raccontato che appena entrato in casa veniva nella mia camera, mi accarezzava sui capelli e mi dava un bacio sulla fronte. Rito che ripeteva quando andava via.
Arrivati all’ altezza del cimitero di Nayaders ci fermiamo, ci sediamo, uno a fianco all’ altro, su un poggiolo ricoperto d’ erba.Comincia a parlare. Dice quanto bene vuole alla mamma, a me, agli altri due figli. Poi racconta delle brutture della guerra, della inutilita’ di un conflitto scatenato da un pazzo e assecondato da un altro stolto, solo per sete di potere, delle false speranze di vittoria decantate dal Duce, dal Re. Espone i suoi concetti di liberta’, fratellanza, di giustizia e pace tra i popoli. Parole allora non comprese. Troppo difficili per me. Sono pero’ rimaste incise nella mia mente, capite solo col crescere degli anni.Siamo rimasti seduti forse una mezz’ ora, poi lentamente siamo tornati a casa.Quella e’ l’ ultima volta che ho visto mio padre.
Non ho altri ricordi di lui vivo.

Dopo alcuni mesi un ufficiale e’ venuto a casa per dare a mia madre la notizia che il marito era morto in un bombardamento di guerra, quella guerra da lui rifiutata, ritenuta inutile, dichiarata da un folle, appoggiata da uno stolto, solo per sete di conquista.
‘’Ciao Duke. Che sorpresa! Come mai a casa?’’.
Cosi’ mia madre aprendo la porta di casa e trovandosi davanti il cognato, in divisa da militare, ma senza cinturone, senza armi.
Sorride. E’ contenta di vedere il marito della sorella di suo marito. In tempo di guerra un parente che ti viene a trovare e’ sempre una festa.
Duke entra. Non ha il viso allegro. Immediatamente dietro di lui si materializza un ufficiale dell’ esercito, un maggiore del comando generale. Anche lui e’ serio. La faccia e’ tirata.
Mia madre fa entrare anche lui. La sorpresa aumenta. A casa non sono mai venuti colleghi di mio padre, anche lui militare, di stanza a Castle, nella sede del comando generale. Si domanda il perche’ di questa visita.
In casa, oltre mia madre, c’ e’ la governante: e’ in cucina e mi tiene in braccio. Mi mette nella culla e raggiunge in salotto mia madre per chiedere se ha necessita’ che prepari qualcosa per gli ospiti.
Sta in silenzio in attesa di ordini.
‘’Johanna’’ attacca Duke ‘’non e facile quello che devo dirti…’’.
Mia madre si agita. Ha capito il motivo della visita. Il giorno prima, il 13 maggio del 1943, Castle e’ stata oggetto di un violento bombardamento, che l’ ha rasa al suolo. Le bombe cadute a migliaia sulla citta’ hanno completato l’ opera cominciata nella precedente incursione aerea, quella del 28 febbraio, nel corso della quale erano morte centinaia di persone, tra cui, una delle sorelle di mia madre, Dhelyn.
Ricordo che l’ aria e’ molto pesante, grigia, come prima di una tempesta.
‘’Cosa e’ successo? E’ ferito? Come sta? E’ morto? Come e’ successo? Dove e’ accaduto? Dove e’ adesso? Lo so e’ morto. Se fosse ancora vivo il maggiore non sarebbe venuto con te. E’ vero. Questa e’ la comunicazione ufficiale della sua morte.’’
Mentre parla mia madre si alza. Si avvicina al cognato. Prende il suo viso tra le mani.
Le sue forze cedono, le gambe crollano e la sua testa si svuota del tutto. Non gli viene in mente una sola parola.
Cade a terra.
Svenuta.
Mio zio, l’ alto ufficiale, la governante la sollevano e la portano nella sua camera e la depositano sul letto, vicino alla mia culla. Vedo tutta la scena, ma non capisco. Nessuno si interessa di me. Sono tutti attorno a mia madre.
Rinviene. Comincia a piangere, sommessamente. Pronuncia sottovoce parole di dolore.
Da molto lontano si sente il lento rintocco di una campana – con lunghe pause – riecheggiare per le campagne.
La notizia vola a Nayaders, il paese, a venti chilometri da Castle, dove in quel periodo di guerra la mia famiglia risiede. Mia madre e’ molto conosciuta e ben voluta. Vi ha lavorato per alcuni anni come ostetrica condotta. Io sono nato li’. Tre anni prima, poco dopo la dichiarazione dell’ entrata in guerra del mio Paese. Un conflitto mondiale inutile, scatenato da due pazzi solo per questioni di potere, per tentare l’ impossibile dominio del mondo occidentale.
Immediatamente arrivano le vicine di casa. Vengono a portare conforto e a badare a me e ai miei due fratelli, nel frattempo rientrati a casa.
Tutto il giorno e’ un via vai di gente. Vengono a fare le condoglianze. Le donne si fermano per preparare, come si usa nel paese, i pasti per la famiglia del morto.
Il maggiore dice che mio padre e’ morto vittima del suo dovere: ‘’Si e’ attardato per chiudere a chiave il comando e poi mentre cercava di raggiungere uno dei vicini rifugi antiaerei e’ stato travolto da un palazzo, crollato perche’ centrato da una bomba. Suo marito e caduto sotto le macerie, sotto una nuvola di fumo o di polvere. Troppo tardi.’’
L’ alto ufficiale, dopo avere consegnato alcuni effetti personali di mio padre, riparte.
Mio zio Duke, invece, si ferma per altri due giorni per aiutare mia madre e i nipoti ad affrontare questo triste momento.
Mia madre da quel giorno veste in nero. Ai miei fratelli e a me viene cucito sugli abiti un nastrino di seta nero.
Quel giorno, i successivi e i seguenti anni sono vissuti da me senza coscienza.
Ho capito tutto, diventando grande, su quello che mi e’ stato raccontato da chi mi ha visto crescere.

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