La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

sabato 18 febbraio 2012

Orhan Pamuk, Cosa ci succede quando leggiamo un romanzo

Orhan Pamuk, Cosa ci succede quando leggiamo un romanzo



Quanti modi ci sono di leggere un romanzo? Cosa ci succede quando incominciamo a sfogliarne le pagine, ad immergerci nella storia e a immedesimarci nei personaggi? Ce lo racconta Orhan Pamuk con questa splendida riflessione apparsa qualche giorno fa su La Stampa.

Orhan Pamuk

Cosa ci succede quando leggiamo un romanzo


Cosa succede nella nostra mente, nella nostra anima, quando leggiamo un romanzo? In cosa tale sensazione interiore differisce da ciò che proviamo guardando un film, un quadro, o ascoltando una poesia, o un poema epico? Un romanzo può dare, di tanto in tanto, lo stesso piacere che danno una biografia, un film, una poesia, un quadro o una fiaba. Eppure l’effetto vero, esclusivo, di quest’arte è fondamentalmente diverso da quello degli altri generi letterari, del cinema e della pittura. E forse posso cominciare a illustrarvi la differenza raccontandovi ciò che ero solito fare e le complesse immagini che l’appassionata lettura di romanzi suscitava in me quando ero giovane.
Come il visitatore di un museo in primo luogo e soprattutto desidera che il quadro che sta guardando nutra i suoi occhi, io i solito preferivo l’azione, il conflitto, e la ricchezza del paesaggio. Mi godevo sia la sensazione di osservare segretamente la vita privata di un individuo sia quella di esplorare gli angoli oscuri della veduta d’insieme.

Non pensate che l’immagine che conservavo in me fosse sempre turbolenta. Quando leggevo un romanzo, nella mia giovinezza, accadeva talora che prendesse forma dentro di me un paesaggio ampio, profondo, quieto. E qualche volta le luci si spegnevano, il bianco e il nero si accentuavano e poi si scindevano, e spuntavano le ombre. Qualche volta mi meravigliavo, perché avevo l’impressione che il mondo intero fosse fatto di una luce del tutto diversa. E qualche volta il crepuscolo pervadeva e copriva ogni cosa, l’intero universo diventava una singola emozione e un singolo stile, capivo che ciò mi piaceva e sentivo che stavo leggendo il libro per quella particolare atmosfera. Mentre venivo lentamente sommerso dal mondo del romanzo, mi rendevo conto che le tracce delle azioni che avevo compiuto prima di aprire le pagine del libro, seduto nella casa di famiglia nel quartiere di Besiktas a Istanbul - il bicchiere d’acqua che avevo bevuto, la conversazione con mia madre, i pensieri che avevano attraversato la mia mente, i piccoli risentimenti albergati -, svanivano piano piano.



Sentivo che la poltrona arancione in cui ero seduto, il posacenere maleodorante lì accanto, la stanza piena di tappeti, le grida dei ragazzini che giocavano a pallone in strada e il fischio dei battelli in lontananza retrocedevano dalla mia mente; e un mondo nuovo prendeva forma davanti a me, parola per parola, frase per frase. Pagina dopo pagina, quel mondo nuovo si cristallizzava e acquistava nitidezza, come quei disegni segreti che appaiono a poco a poco quando ci si versa sopra un reagente; e venivano messi a fuoco linee, ombre, avvenimenti e personaggi.

In quei primi momenti, tutto ciò che ritardava il mio ingresso nel mondo del romanzo e mi impediva di ricordare e immaginare personaggi, avvenimenti e oggetti mi procurava grande fastidio. Un membro della famiglia di cui avevo dimenticato il grado di parentela con il protagonista, l’incerta ubicazione di un cassetto con dentro una pistola, o una conversazione di cui intuivo ma non riuscivo a interpretare il significato recondito, ecco, questo tipo di cose mi irritavano enormemente. Scrutavo con avidità le parole, augurandomi, con un misto di impazienza e piacere, che ogni cosa andasse rapidamente al suo posto. In quei momenti, tutte le porte della mia percezione erano spalancate, come i sensi di un animale domestico lasciato libero in un ambiente del tutto alieno, e la mia mente cominciava a funzionare assai più svelta, quasi in preda al panico. Mentre concentravo tutta la mia attenzione sui dettagli del romanzo che stringevo fra le mani, per mettermi in sintonia con il mondo in cui stavo entrando, lottavo per visualizzare le parole con la mia immaginazione e vedere con l’occhio della mente ogni cosa descritta nel libro.

Dopo un po’, quello sforzo intenso ed estenuante dava i suoi risultati e l’ampio paesaggio che desideravo vedere si apriva davanti a me come un immenso continente che appare in tutta la sua nitidezza quando la nebbia si solleva. Vedevo allora le cose raccontate nel romanzo come una persona che guarda comodamente il panorama da una finestra. Considero una sorta di modello come Tolstoj in Guerra e pace descrive Pierre che osserva la battaglia di Borodino dalla cima di un colle. Molti dettagli che il romanzo intesse delicatamente e prepara per noi, e che sentiamo il bisogno di serbare nella memoria, appaiono in questa scena come in un dipinto. Il lettore ha l’impressione di trovarsi non fra le parole di un romanzo, bensì in piedi davanti a un quadro. Qui, la cura dello scrittore per il dettaglio visivo, e l’abilità del lettore nel visualizzare le parole trasformandole in un vasto paesaggio, sono decisive. Leggiamo anche romanzi che non si svolgono nel paesaggio, su campi di battaglia o nella natura, e sono invece ambientati in una stanza, in atmosfere interiori soffocanti - La metamorfosi di Kafka è un buon esempio. Leggiamo queste storie come se stessimo osservando un paesaggio e, trasformandolo con l’occhio della mente in un quadro, ci abituiamo all’atmosfera della scena, ce ne lasciamo influenzare, anzi la esploriamo.

Voglio fare un altro esempio, di nuovo da Tolstoj, che ha a che fare con l’atto di guardare fuori da una finestra e mostra come leggendo si possa entrare nel paesaggio di un romanzo. È una scena del più grande romanzo di tutti i tempi, Anna Karénina. Anna ha appena incontrato Vrònskij a Mosca.



La sera, tornando in treno a San Pietroburgo, è felice perché l’indomani rivedrà il figlio e il marito: «Anna \ prese dalla sua borsetta il tagliacarte e un romanzo inglese. Dapprima non poteva leggere. Davano noia il chiasso e l’andare e venire; poi, quando il treno si mosse, non si poteva non porgere orecchio ai rumori; poi la neve che batteva contro il finestrino di sinistra e che si appiccicava al vetro, e la vista d’un capotreno imbacuccato che passava vicino, coperto di neve da una parte, e i discorsi a proposito di com’era terribile la tempesta che c’era fuori, distrassero la sua attenzione. Più innanzi tutto fu sempre lo stesso: lo stesso traballìo accompagnato da picchi, la stessa neve contro il finestrino, gli stessi celeri passaggi da un caldo di vaporazione al freddo e di nuovo al caldo, lo stesso balenare degli stessi volti nella penombra e le stesse voci, e Anna cominciò a leggere e a capire quel che leggeva. \ Anna Arkàdjevna leggeva e capiva, ma le dispiaceva di leggere, cioè di seguire i riflessi della vita di altre persone. Aveva troppa voglia di vivere lei stessa. Se leggeva che l’eroina del romanzo vegliava un malato, aveva voglia di camminare a passi silenziosi per la stanza d’un malato; se leggeva come un membro del parlamento pronunciava un discorso, aveva voglia di pronunciare quel discorso; se leggeva che Lady Mary inseguiva un branco a cavallo e stuzzicava la cognata e stupiva tutti col suo coraggio, voleva far questo lei stessa. Ma non c’era nulla da fare, ed ella, girando il coltellino liscio con le sue piccole mani, si sforzava di leggere».

Anna non riesce a leggere perché non può fare a meno di pensare a Vrònskij, perché desidera vivere. Se fosse capace di concentrarsi sul romanzo, non avrebbe difficoltà a immaginare Lady Mary che monta a cavallo e segue la muta dei cani. Visualizzerebbe la scena come se stesse guardando da una finestra e avrebbe la sensazione di entrarci lei stessa a poco a poco.

La maggior parte degli scrittori sanno che la lettura delle prime pagine di un romanzo è un’esperienza affine all’entrare in un quadro di paesaggio. Pensiamo a come Stendhal inizia Il rosso e il nero. Prima vediamo da lontano la città di Verrières, la collina su cui è situata, le sue case bianche con i tetti spioventi di tegole rosse, le macchie di robusti castagni e le rovine delle fortificazioni. Sotto scorre il fiume Doubs. Poi notiamo le segherie e la fabbrica che produce toiles peintes, tessuti stampati pieni di colore.

Una pagina dopo, abbiamo già incontrato il sindaco, uno dei personaggi principali, e capito la sua struttura mentale. Il vero piacere di leggere un romanzo inizia con la capacità di vedere il mondo non dall’esterno ma con gli occhi dei personaggi che in quel mondo vivono. Leggendo un romanzo, oscilliamo fra ampia visione e attimi fuggevoli, fra pensieri generali e fatti specifici, a una velocità che nessun altro genere letterario è in grado di offrire. Mentre fissiamo un dipinto di paesaggio da lontano, ci ritroviamo all’improvviso tra i pensieri dell’individuo nel paesaggio e le sue sfumature d’umore. Ciò somiglia al modo in cui, nei dipinti di paesaggio cinesi, contempliamo una piccola figura umana sullo sfondo di fiumi, dirupi e alberi con miriadi di foglie: ci concentriamo su quella figura, poi cerchiamo di immaginare il paesaggio circostante attraverso i suoi occhi. (I dipinti cinesi sono fatti per essere letti così).

A quel punto ci accorgiamo che la composizione del paesaggio risponde all’esigenza di riflettere i pensieri, le emozioni e le percezioni della figura che c’è dentro. Allo stesso modo, sentendo che il paesaggio dentro il romanzo è un’estensione, o una parte, dello stato mentale dei personaggi, ci accorgiamo di identificarci con loro in una transizione invisibile. Leggere un romanzo significa che, mentre affidiamo alla memoria il contesto nel suo insieme, seguiamo, a uno a uno, i pensieri e le azioni dei personaggi attribuendo loro un significato nel paesaggio d’insieme. Siamo ora dentro il paesaggio che fino a poco fa guardavamo dall’esterno: oltre a vedere le montagne con l’occhio della mente, sentiamo la frescura del fiume e odoriamo il profumo della foresta, parliamo con i personaggi e ci addentriamo nell’universo del libro. La lingua del romanzo ci aiuta a combinare questi elementi distanti e distinti, e a vedere sia i volti sia i pensieri dei personaggi come parte di un’unica visione.

Quando siamo immersi in un romanzo, la nostra mente lavora sodo, ma non quanto quella di Anna, nello scompartimento di un treno sferragliante e coperto di neve per San Pietroburgo. Oscilliamo continuamente fra il paesaggio, gli alberi, i personaggi, i loro pensieri, gli oggetti che toccano - e dagli oggetti ai ricordi che essi evocano, ad altri personaggi, e infine alle riflessioni generali. La nostra mente e la nostra percezione sono attivissime, agiscono con estrema rapidità e concentrazione, facendo parecchie operazioni simultaneamente, ma molti di noi non si rendono nemmeno più conto di farle. Ci comportiamo esattamente come chi guida un’auto, che non compie consapevolmente il gesto di schiacciare pulsanti, premere pedali, ruotare il volante con cautela e nel rispetto di molteplici regole, leggendo e interpretando i segnali stradali e tenendo d’occhio il traffico.

Questa analogia è valida non solo per i lettori ma anche per il romanziere. Alcuni autori non sono consapevoli delle tecniche che usano, scrivono in modo spontaneo, come se stessero compiendo un gesto del tutto naturale, dimentichi delle operazioni e dei calcoli che svolgono mentalmente e del fatto che stanno usando il cambio, i freni e i pulsanti di cui li fornisce l’arte del romanzo. Userò il termine «ingenuo» per descrivere questo tipo di sensibilità, questo tipo di romanziere e di lettore di romanzi: quelli a cui non interessa quanto c’è di artificioso nello scrivere e nel leggere un libro. E userò il termine «riflessivo» per descrivere la sensibilità opposta: vale a dire quei lettori e scrittori che sono affascinati dalla componente artificiosa del testo e dalla sua mancata adesione alla realtà, e che prestano severa attenzione ai metodi usati nello scrivere romanzi e a come funziona la nostra mente mentre leggiamo. Essere un romanziere è l’arte di essere nello stesso tempo ingenuo e riflessivo.

(Da: La Stampa del 5 febbraio 2012)

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