La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

sabato 17 dicembre 2011

Asproni, "patrono" dei giornalisti

Asproni, "patrono" dei giornalisti

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asproni

Neppure in una virgola io sono disposto a cedere in materia di stampa libera». Su vitzichesu Iogli Asproni, il bittese Giorgio Asproni, era assai determinato: «Sono contrario ad ogni restrizione della stampa. Interessa la civiltà, interessa la giustizia universale del genere umano che in ogni parte del mondo vi sia almeno un angolo libero e indipendente da cui si spossa scagliare ai tiranni della terra una severa condanna delle loro oppressioni. Il grido della stampa traversa gli ostacoli ed infiamma il cuore dei mortali che nello strazio dei loro simili vedono un’offesa alla nazione». Coerenza ed intransigenza del parlamentare sardo nella preziosa raccolta dei discorsi conservati a Roma negli archivi della Camera, curata da Francesca Pau nel volume Un oppositore democratico negli anni della destra storica - Giorgio Asproni parlamentare (1848-1876), (Carocci 2011, pp. 412, euro 44, collana del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari).

Pau, studiosa di storia all’Università “La Sapienza di Roma” e reduce dalla tre giorni cagliaritana di convegni su “Il Risorgimento e la Sardegna” cui ha partecipato relazionando guardacaso su Il pensiero politico di Giorgio Asproni e di Giovanni Battista Tuveri attraverso la collaborazione al giornale “Il Dovere” di Genova, chiarisce subito il ruolo che ebbe Asproni nella difesa, sino ai livelli più alti, della libertà di stampa: «Avendo sempre di mira la libertà in tutte le sue espressioni - spiega la studiosa - Asproni lottò con forza contro ogni limitazione della libertà di stampa e di manifestazione del pensiero». Le quali per il politico sardo somigliano alla luce in una notte buia: «Per il deputato la stampa rappresentava la fiaccola attraverso cui il pensiero umano si faceva strada nei domini dell’errore, spargendovi luce».

E nei discorsi alla Camera dell’intellettuale bittese ritroviamo una difesa non d’ufficio ma appassionata della professione giornalistica (Asproni era pubblicista e collaborava a diverse testate), nonché una dirittura morale che volesse Dio fosse di tutta la categoria: «Penoso è l’ufficio - diceva Asproni - della sua (del giornalista, ndr) missione di istruire, educare illuminare, di suggerire il bene, di censurare il male senza umano riguardo e senza paura, e della necessità d’imporre silenzio ai moti dell’odio e dell’ira e di far tacere gli affetti del cuore per le persone care ed amiche. Grave sacrifizio è questo, dura scuola quotidiana, e ci vuole amore sviscerato per la giustizia e per la verità». E poi, non digiuno di sana e robusta ars retorica: «Consideriamo il compito di un giornalista simile a quello di un tribunale, di un giudice severo ed imparziale».

Dunque, incorruttibile. Stampa e democrazia, viscerale legame, indissolubile: «Come faro in notte buia - recitava solenne Asproni alla Camera - fu la stampa nostra guida e speranza. Fu la stampa periodica e giornaliera che fulminò costantemente gl’iniqui concetti dei governi sempre intenti a rimettere il popolo in ceppi e catene, e se oggi la democrazia è trionfante in vari stati d’Italia, della stampa è il merito e l’opera». Di giornalisti “con la schiena dritta” avrebbe bisogno la Sardegna secondo l’uomo politico, Sardegna tratteggiata in maniera analoga alle ottave di Francesco Ignazio Mannu nell’Innu de su patriotu sardu a sos feudatarios: «Al buio più di tutto noi siamo popolo di Sardegna, di quest’isola trascurata e solo munta dal Governo sino al sangue». Compito della stampa, dunque, «propagare l’idea della libertà e del progresso formando e ritemprando l’opinione dei sardi affinché si mettano al livello del continente italiano». «L’articolo 28 dello statuto albertino - spiega Francesca Pau - fissava un principio innovativo rispetto alla precedente legislazione piemontese, ovvero l’abolizione di forme di censura preventiva. L’editto del 26 marzo 1848 fu il primo atto legislativo diretto a regolamentare e disciplinare la libertà di stampa».

Grande è l’attenzione che a parere di Asproni meritavano gli atti emanati dal Parlamento: «C’è una grande lacuna nella stampa d’Italia - ammoniva il bittese antimonarchico e antisabaudista - ed è male più grave di quello che molti credono. Gli atti del Parlamento sono ignorati e vi contribuiscono molte cause (...) La stampa merita il più alto riguardo. Essa è organo dell’opinione pubblica e costei è la vera sovrana, perché le autorità che la urtano presto o tardi s’infrangono. Ma gli incariati di assistere (i cronisti, ndr) alle tornate peccano pur essi, non compendiando le cose dette dagli oratori, ma o mutilando orribilmente, o svisando i concetti e le parole, e tutto componendo per disegno di spirito di parte. Non c’è onestà, non c’è verità, non c’è sentimento d’imparziale giustizia. Così il paese o ignora o è ingannato».

Dal lavoro di Pau emerge «l’animus asproniano - scrive l’autrice - in sede parlamentare in difesa della libertà di espressione»: «I sovrani - rincarava la dose Asproni - invece di adontarsi dei rimproveri della stampa si vergognassero di commettere quelle azioni che attirano sopra di loro la maledizione universale». La maledizione anche degli elettori sardi: «In Sardegna molti elettori - diceva Asproni - non sanno né leggere né scrivere e purtroppo la cosa è vera per dolore della Sardegna. Ma nell’ignoranza di quegli uomini si trova bello e puro il lume naturale ed il buon senso che spesso desideriamo in quelli che si chiamano dotti ed eruditi. Volesse pure Iddio che quegli ignoranti fossero oggi preposti a giudicare invece dei tribunali e magistrati nell’isola». Identica analisi di certe classi dirigenti sarde ebbe a tratteggiare Giuseppe Dessì. Più di un secolo dopo. (Giambernardo Piroddi)

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