di Giuliano Santoro Ci
sono persone che sono tasselli fuori posto, vite indecifrabili secondo
gli schemi correnti eppure calate nel loro tempo, immerse dentro le cose
del mondo. Queste figure servono a trovare punti di vista altri, oltre
il muro di gomma della storia ufficiale.
Così è la storia di
Carlo Rivolta, inviato di guerra nelle terre di confine tra l’Italia che
poteva essere e quella che è stata, al crocevia della storia in mezzo
all’anno che è durato un decennio (il Sessantotto) e il decennio che è
durato trent’anni (gli Ottanta). Quella vita viene finalmente
ricostruita - con piglio letterario, rigore documentaristico e
sensibilità poetica che illuminano anche i giorni nostri - da Tommaso De
Lorenzis e Mauro Favale ne “L’aspra stagione”, che esce per Einaudi
Stile Libero proprio in questi giorni. È un libro che leggerete come un
romanzo, poi consulterete come un saggio e riprenderete in mano come un
breviario dei tempi correnti.
Gli articoli e la vita del cronista
di strada disegnano l’orizzonte di Roma, seguendo un metodo fatto di
fiuto, sensibilità e capacità di ascolto. Rivolta, uscito dalla scuola
di Paese Sera, approda alla corte di Repubblica. Il
quotidiano di Piazza Indipendenza punta a tenere insieme i diversi
linguaggi dell’Italia non-democristiana, a farsi portavoce di un popolo
secolare in cerca di nuove libertà e desideroso di esplorare i tempi
nuovi.
Non ha ancora ventisette anni, dunque, quando debutta
assieme al quotidiano di Eugenio Scalfari. È il 1976. “Anno enigmatico”,
scrivono gli autori. “Smarrito nelle pieghe del tempo posteriore,
annesso d’ufficio alla cabala del doppio 7. Schiacciato dalla
‘geometrica potenza’ di via Fani. Già ‘verbalizzato’ e penalmente
contestato in data 7 aprile ’79. E infine cancellato da trentacinque
giorni ai cancelli di Mirafiori”. Si va alle elezioni anticipate per lo
scandalo Lockeed. Scalfari descrive il tramonto di un “potere logoro”.
Il Pci manca l’agognato “sorpasso” alla Dc. Il cartello delle sigle alla
sua sinistra fallisce clamorosamente. L’Autonomia Operaia è l’unico
“gruppo” ancora in salute, non un’organizzazione vera e propria ma
un’area in grado di conquistare le piazze.
Rivolta racconta Roma da dentro,
parte dai margini per cogliere la metropoli post-pasoliniana, una città
che – annotano De Lorenzis e Favale – “ha ormai smarrito i resti della
ferocia popolare e sta scoprendo nuove e più moderne crudeltà”: descrive
i primi centri antidroga cogliendo prima di tutti, quando ancora è un
fenomeno relativamente marginale, l’effetto devastante dell’eroina,
coglie la mutazione antropologica, sempre più teppa di strada ed
edonismo e sempre meno ideologia nostalgica, del nuovo fascismo,
ricostruisce la drammatica rottura tra la sinistra e la gioventù
“condannata alla disoccupazione”. Scrive la sua verità, sempre più
spesso disturbando anche l’area dei movimenti di cui si sente parte,
nonostante tutto, perché, chiosano gli autori, “Il futuro non esiste. I
media si odiano. Punto”.
Seguendo il filo della scrittura
tagliente ed essenziale, che alterna la voce di Rivolta, le
testimonianze di chi lo ha conosciuto e una scrittura che a volte
assomiglia ad un cut-up di immaginari titoli a nove colonne dei giornali
dell’epoca, altre cammina lungo i sentieri del New Italian Epic e del
noir mediterraneo ricostruendo i fatti del potere logoro e le piccole
trame di marciapiede, si arriva al fatidico Settantasette, che comincia
proprio con il ferimento degli autonomi Paolo e Daddo, proprio a due
passi dalla redazione di Repubblica. Poi la giornata campale
della cacciata di Lama e della rottura definitiva tra Pci e movimenti,
che proseguirà con la guerra totale di Pecchioli, la strategia della
fermezza durante il sequestro Moro, gli arresti indiscriminati del 7
aprile.
Dagli articoli scritti in diretta da Carlo
Rivolta puntano anche squarci di luce che gettano ombre sul presente.
Quella mattina del 17 febbraio, doveva tenersi un estremo tentativo di
comunicazione tra il sindacato e i collettivi universitari. Solo che
all’appuntamento, fissato ai cancelli della Sapienza, il rappresentante
della Cgil non si presentò neppure. Si trattava, guarda un po’, del
segretario del comparto della scuola Aurelio Misiti, che in anni più
recenti ha sostenuto la causa del ponte sullo stretto alla Regione
Calabria, per transitare in parlamento dall’Italia dei Valori in
soccorso a Berlusconi nel gruppo NoiSud. In cambio diverrà
sottosegretario.
Nelle parole di Rivolta sulle fiammate del
Settantasette non c’è spazio per le veline delle questure o dei partiti.
Il corteo del 12 marzo a Roma, quello delle P38 all’indomani
dell’uccisione di Francesco Lorusso, viene descritto elogiando la
“responsabilità” delle decine di migliaia di manifestanti che sono scesi
in piazza e si sono sottratti al muro contro muro. Quello spazio, oltre
gli schiacciasassi della repressione che ha spento una generazione
spianando la strada al disastro degli interminabili anni Ottanta e del
terrorismo, andava restringendosi sempre più.
Il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro segnerà la fine del lungo Sessantotto ma anche l’esaurirsi dell’esperimento di Rivolta a Repubblica.
La rottura arriva quando il cronista accetta di firmare come “direttore
responsabile”, un numero di “Metropoli”, la rivista che cerca di
rimettere insieme i cocci del Settantasette e che naviga pericolosamente
a cavallo tra ingenue e machiavelliche relazioni con le sigle della
lotta armata e raffinate analisi sui nuovi modelli di produzione, quelle
che dieci anni più tardi diventeranno senso comune.
Il cronista
che aveva raccontato da dentro si fa risucchiare, come migliaia di
altri in fuga dalla galera e dalla vita normale, nel gorgo dell’eroina.
Passa a Lotta Continua, il giornale-laboratorio di Enrico Deaglio che è
sopravvissuto alla fine del gruppo di cui era organo e si propone di
costruire un varco verso il decennio successivo. Ma è troppo tardi.
Rivolta - che ha conosciuto la Calabria dalla casa del mare di
Trebisacce, nell’alto Ionio cosentino, dove ha vissuto fino all’altro
ieri sua madre e dove lui stesso verrà sepolto - progetta di costruire
la mappa della società meridionale, si getta nel cataclisma del
terremoto dell’Irpinia, promette di ritrovare le forze. Morirà il 16
febbraio del 1982, alla vigilia del quinto anniversario della cacciata
di Lama, qualche mese prima della sbornia nazionale dei Mondiali di
Spagna e all’alba del trentennio degli Ottanta.
da MicroMega
Mostra FACCE, prorogata al 6 maggio 2012. Cagliari, Castello San Michele
"Facce. Segni linee e textures per occhi nasi bocche" a Cagliari al Castello San Michele fino al 6 maggio 2012.
Genere,
età, condizione sociale, umore: le facce-ritratto continuano a parlarci
e ad essere una fonte infinita di informazioni. Ma siamo sicuri di
riuscire a codificarle? In una parola, sappiamo “guardarle”?
Questo
punto interrogativo è il cuore del progetto Facce. Segni linee e
textures per occhi nasi bocche…: laboratori didattici e visite guidate
per adulti e bambini su un percorso di settanta opere dei grandi maestri
dell’arte grafica dal ‘500 al ‘900.
Organizzato a Cagliari dal
Consorzio Camù e curato da Lidia Pacchiarotti e Carla Orrù, con i testi
critici dello storico dell’arte Efisio Carbone, Facce sarà aperto al
pubblico fino al 6 maggio 2012 nelle sale del Castello San Michele.
Provengono tutte dalla collezione ArtCamù le settanta opere incisorie
presenti, realizzate da quindici maestri assoluti della storia dell’arte
(Hans Arp, Salvador Dalì, Marc Chagall, Carlo Carrà, Josè Luis Cuevas,
Fortunato Depero, Albrecht Dürer, Alberto Giacometti, Francisco Goya,
Ferdinand Hodler, Eduard Manet, Henry Moore, Pablo Picasso, George
Rouault e Antoon Van Dyck) e comprese in un periodo storico assai vasto:
si va dal 1500, con i magnifici ritratti di Dürer, ai grandi del
Novecento quali Picasso, Dalì, Moore, Cuevas, e gli italiani Carrà e
Depero.
Orari: dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18; chiuso il lunedì
Ingresso: intero 5 €; ridotto 4 € per giovani sino a 26 anni e adulti oltre i 65 anni
Laboratori: 6 € solo su prenotazione per un minimo 15 persone
Il Museo Nazionale del Cinema presenta al Cinema Massimo Senza un attimo di tregua Omaggio a Roger Corman Da lunedì 2 a martedì 17 aprile 2012 Cinema Massimo - via Verdi, 18, Torino
Il Museo Nazionale del Cinema rende omaggio, da lunedì 2 a martedì 17 aprile 2012, a Roger Corman – eclettico e prolifico regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense – con una retrospettiva dal titolo Senza un attimo di tregua. Omaggio a Roger Corman. Maestro riconosciuto dei film a basso costo, Roger Corman è senza dubbio uno dei registi più prolifici della storia di Hollywood. Personalità eclettica e instancabile, Corman non è stato solo un regista ma anche attore, sceneggiatore, produttore e distributore: più di 50 sono i film che ha diretto e circa 300 quelli che ha prodotto. Ha inoltre il merito di aver scoperto alcuni autori della New Hollywood come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich ed è stato tra i fondatori dell’American International Pictures. Grande appassionato del genere horror, divenne celebre per la serie di film tratta dai racconti di Edgar Allan Poe dei quali diede versioni cinematografiche visivamente molto personali ed efficaci nonché piuttosto originali rispetto allo stile delle pellicole orrorifiche del tempo, poiché pervase da una sottile ironia, come se si divertisse a inscenare l'orrore prendendosene gioco. Nonostante il budget molto ridotto, le sue pellicole hanno quasi sempre incassato moltissimo al botteghino, e Corman – Premio Oscar alla carriera nel 2010 – è diventato una figura di culto fra i cinefili di tutto il mondo. "La mia carriera ha rappresentato un'anomalia a Hollywood. Mi hanno chiamato in tutti i modi, da "re del film di serie B" a "padre del cinema pop". Ho diretto più di 50 film indipendenti a basso costo, ne ho prodotti e distribuiti o distribuiti soltanto altri 250 per conto delle mie società, la New World Pictures e la Concorde-New Horizons (…)Pur essendo a basso costo, i miei film hanno partecipato a festival di prestigio, e sono stato il regista più giovane cui abbiano dedicato delle retrospettive alla Cinémathèque Française di Parigi, al National Film Theatre di Londra e al Museum of Modern Art di New York " (Roger Corman). Tra gli appuntamenti da non perdere, la proiezione, mercoledì 11 aprile, alle ore 20.30, nella Sala Tre del Cinema Massimo di Corman's World: Exploits of a Hollywood Rebel, documentario in cui Alex Stapleton raccoglie i racconti dei personaggi illustri che gravitarono a vario titolo nella sua factory di talenti. Il regista sarà inoltre presente a Torino per introdurre, lunedì 16 aprile, alle ore 20.30, nella Sala Tre del Cinema Massimo, il film La piccola bottega degli orrori, grottesca e surreale black comedy del 1960, girata con un budget ridottissimo all’interno di un negozio di fiori in due giorni e una notte. Ingresso: 6.00/4.00/3.00 euro.
Roger Corman La piccola bottega degli orrori (The Little Shop of Horrors) (Usa 1960, 72’, b/n, v.o. sott. it.) In un sobborgo umido e malfamato di New York, Seymour è un appassionato di botanica ma soprattutto di piante strane, come quella trovata un giorno per caso al mercato da un vecchio cinese. La bizzarra piantina attira molti nuovi clienti al negozio di fiori, che sembrava ormai sull’orlo del fallimento, prima di manifestare pericolosi appetiti antropofagi. Dal film fu tratto il musical off Broadway, da cui derivò a sua volta la versione cinematografica realizzata nel 1986 da Frank Oz. Proiezione digitale HD. Sc.: Howard Ashman; Fot. Robert Paynter; Int.: Rick Moranis, Ellen Greene, Jonathan Haze. ________________ Museo Nazionale del Cinema Resp. Ufficio Stampa: Veronica Geraci (responsabile), Lorenza Macciò tel. 011 8138509-510 - cell. 335 1341195 - email: geraci@museocinema.
Senza un attimo di tregua Omaggio a Roger Corman di Massimo Causo
Il metodo era la rapidità, una fuga perenne sulle armonie dell'esecuzione: pensare, fare, portare il cinema a contatto con l'attualità della vita e, di conseguenza, col pubblico... Roger Corman, il re dell'exploitation, l'uomo che ha consegnato la sua autobiografia all'orgoglio di aver fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro, in realtà partiva idealmente dalla consapevolezza di dover sfruttare prima di tutto se stesso e la sua factory: pensando, filmando, producendo cinema senza un attimo di tregua, sradicando il processo del fare film dalle catene di montaggio degli studios, dalle burocrazie dei producers, che stratificavano le produzioni nella progettualità infinita di svariati dipartimenti. Corman lavorava sull'urgenza del fare, accorciava la filiera del filmmaking per annullare lo iato tra la fragranza del prodotto immesso sul mercato e la flagranza dell'atto che lo produce. Una o al massimo due settimane per girare un film con meno di 100.000 dollari era il suo standard (in realtà solo due giorni e una notte con 35.000 dollari per l'ineffabile La piccola bottega degli orrori...). Ma la cosa non riguardava i suoi spettatori, coi quali Corman – regista e produttore – intratteneva un rapporto di interessi reciproci, basato sulla capacità di cogliere l'attimo, abbassando in termini estetici il costo dell'immaginario corrente nella forma di una “parodia” che anticipava le prospettive camp destinate ad esser classificate da Susan Sontag, e dislocava a Ovest le pulsioni pop dei movimenti artistici della East Coast... La qualità del suo cinema sta tutta nel rapporto di corrispondenza che Corman seppe creare con la rapidità dei tempi, con la tensione iconoclasta di un mondo che scopriva la velocità del consumo, o meglio il consumo della velocità. Non è solo questione di running time, di durata atta al “due film al prezzo di uno” del double feature, se i suoi lavori scorrono spietati verso la fine, in un flusso di azioni che si traducono in un cinema dell'istinto: “Credo sia un concetto che si trova in genere in tutta l'arte moderna: la rapidità di esecuzione”, diceva in un'intervista già a metà dei '60, citando l'action painting... L'inconscio – che dell'istinto è primo motore immobile e dell'immagine la radice – ha del resto sempre affascinato Roger Corman. Il quale, da quel curioso freudiano qual è stato, non ha mancato di liberarlo nel gioco calcolato e istintivo del suo cinema: “Ero stato in analisi e avevo scoperto che le sedute da 50 minuti non erano molto diverse dal mio lavoro: nel cinema a basso costo avete 60, magari 65 minuti per dire la verità e renderla efficace”. Del resto Roger Corman, dell'arte di dire la verità al suo pubblico e di renderla efficace, ha fatto quasi una questione di principio. Perché il suo cinema abbatte immancabilmente gli idoli e li offre allo spettatore come elementi di un gioco per così dire “realistico”, in cui l'ingenuità pauperistica della messa in scena (i mostri di gomma, le approssimazioni scenografiche, ecc.) si basa su una decostruzione dell'immaginario offerta quasi come inconscia purificazione dalla finzione: “Nei miei film fantastici ho sempre voluto introdurre una punta di realismo. La fusione del quotidiano e del fantastico mi ha sempre appassionato”, non esitava a dire. E allora l'approccio basso, in contiguità con l'istinto quotidiano dello spettatore, gli permetteva di avvicinarsi alle aspettative del pubblico, abbattendo l'aura che distanziava gli idoli della Hollywood classica. Gli consentiva, per esempio, di raccontare senza filtri i contrasti razziali della società americana in un film scomodo e senza compromessi come L'odio esplode a Dallas; oppure di illustrare la contemporaneità della gioventù americana anticipando le fughe on the road (I selvaggi ) e i trip lisergici (Il serpente di fuoco) del Peter Fonda che pre(i)conizzava Easy Rider. Così come la sua sensibilità per la flagranza inconciliabile del rapporto tra individuo e realtà (“Credo sia una sensazione legata al mio modo di sentire l'universo come qualcosa di ostile”, ebbe a dire in un'intervista a Film Comment) gli permise di rivitalizzare il gangster movie nella viscerale violenza psicologica e sociale di film come La legge del mitra o Il clan dei Barker, che furono “iperrealisti” tanto quanto seppero essere “pop” le visioni gotiche dell'indimenticabile ciclo ispirato a Edgar Allan Poe: passi in un universo horror resuscitato con ideale purezza alla Val Lewton che, da I vivi e i morti a Il pozzo e il pendolo, da I maghi del terrore a La tomba di Ligeia e La maschera della morte rossa (tutti autentici capolavori!), trovarono nell'ironia del grande Vincent Price l'ispirazione per dissimulare le profondità dell'inconscio scardinate dai fiammeggianti cromatismi delle scenografie in Cinemascope. Tutto questo mentre dava spazio a una stirpe selvaggia di giovani director destinati ad essere il futuro della migliore Hollywood degli anni a venire, arruolati in un praticantato che valeva la migliore delle scuole di cinema: l'Accademia Corman, la chiamerà con affetto Jonathan Demme, uno dei laureati cormaniani. Gli altri rispondono a nomi come Coppola, Scorsese, Dante, Bartel, Bogdanovich, Cameron, Hooper, Nicholson, Sayles, Stallone...
CALENDARIO DELLE PROIEZIONI LUN 2, h. 16.30, DOM 8, h. 20.30 LA TOMBA DI LIGEIA (THE TOMB OF LIGEIA) (Gran Bretagna 1964, 81’, col.) Inghilterra, primi decenni del XIX secolo: dopo la morte dell’amata moglie Ligeia, Sir Verden Fell si risposa con Lady Rowena, ma la presenza della defunta incombe sulla coppia e strani fenomeni sconvolgono la loro vita. L’ultimo film di Corman tratto da Poe, rappresenta una notevole rivoluzione rispetto ai precedenti. Dopo tanti film in studio, caratterizzati da atmosfere chiuse e fumose, Corman sfrutta gli esterni naturali che danno respiro alla vicenda e la caricano di echi sinistri. Copia proveniente dalla Cineteca D. W. Griffith. Sc.: Roger Towne, dal racconto di Edgar Allan Poe; Fot.: Arthur Grant; Int.: Vincent Price, Elisabeth Shepherd, John Westbrook. LUN 2, h. 18.00, DOM 8, h. 22.00 LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA (THE MASQUE OF THE RED DEATH) (Usa/Gran Bretagna 1964, 89’, col., v.o. sott.it.) La morte, vestita di rosso, preannuncia agli abitanti di un villaggio che la loro ora sta giungendo. Gli abitanti sperano che si tratti della fine della tirannia del principe Prospero, mentre questi crede che lui, grazie alla sua ricchezza, si salverà dall’”epidemia”. Considerato il migliore della serie di film tratti da Poe, un horror “filosofico” che sa al tempo stesso essere preciso, visionario, cupo e pieno di invenzioni. Copia proveniente da Classic Films. Sc.: Charles Beaumont, R. Wright Campbell, da due racconti di E.A. Poe; Fot.: Nicolas Roeg,; Int.: Vincent Price. Jane Asher, Hazel Court. MAR 3, h. 16.30, LUN 9, h. 20.30
IL POZZO E IL PENDOLO (THE PIT AND THE PENDULUM) (Usa 1961, 80’, col.) Orrori, torture, follia e morte si manifestano nel castello di Nicholas Medina, la cui moglie Elizabeth muore improvvisamente. Francis, il fratello della donna, giunge per scoprire le cause del tragico evento, ma trova Nicholas convinto che Elizabeth sia stata sepolta viva e che ora il suo fantasma si aggiri per il maniero. Quando scopre la verità, impazzisce e dà il via a uno spietato piano di vendetta. Corman si ispira a Poe ma ne fa un racconto dell’orrore di grande intensità. Copia proveniente da Fondazione Cineteca di Bologna. Sc.: Richard Matheson, dal racconto di E.A. Poe; Fot.: Floyd Crosby; Int.: Vincent Price, John Kerr, Barbara Steele. MAR 3, h. 18.00, LUN 9, h. 22.00 I VIVI E I MORTI (HOUSE OF USHER) (Usa 1960, 78’, col.) Nella vecchia casa degli Usher vivono Madeline e il fratello Roderick, oppresso dal peso delle antiche maledizioni che gravano sulla casa e sulla famiglia. Quando Madeline cade in terra come morta, il fratello la seppellisce pur sapendo che è ancora viva. La donna riuscirà a uscire dalla tomba e a vendicarsi facendo crollare la casa degli Usher. Nel primo film di Corman tratto da Poe sono già presenti gli elementi che caratterizzano la serie, gli ambienti claustrofobici e i lunghi monologhi. Copia proveniente da Fondazione Cineteca di Bologna. Sc.: R. Matheson, dal racconto di E.A. Poe; Fot.: Floyd Crosby; Int.: Vincent Price, Mark Damon, Myrna Fahey. MER 4 e SAB 7, h. 18.00, LUN 9, h. 16.30 IL CLAN DEI BARKER (BLOODY MAMA) (Usa 1970, 90’, col.) Mamma Barker odia gli uomini da quando, da bambina, fu stuprata dai fratelli con il consenso del padre. Ora è a capo di una banda composta dai suoi quattro figli, che seminano il terrore a colpi di mitra. Cupamente ironico nei confronti della società americana degli anni Trenta, il film raccontato con uno stile asciutto e scarno, è una delle prove migliori di Roger Corman. Ritratto di un personaggio realmente esistito. Copia proveniente da Fondazione Cineteca di Bologna. Sc.: Robert Thom, Fot.: John Alonzo; Int.: Shelley Winters, Bruce Dern, Robert De Niro. MER 4, h. 20.30, VEN 6, h. 16.30 L'ODIO ESPLODE A DALLAS (THE INTRUDERS) (Usa 1962, 84’, b/n, v.o. sott.it.) Il fanatico Adam Cramer, membro di un'associazione razzista, giunge in una città del Sud, fa propaganda contro l'integrazione razziale, annuncia l'invasione di ebrei e comunisti, istiga al linciaggio, ma è sconfitto da un marito tradito che lo smaschera. È il solo film esplicitamente politico di Corman, presentato alla Mostra di Venezia. Girato clandestinamente in diverse città del Sud degli Stati Uniti dove la troupe subì intimidazioni e minacce. Sc.: Charles Beaumont, da un suo romanzo; Fot.: Taylor Byars; Int.: Leo Gordon, Jeanne Cooper, William Shatner. MER 4, h. 22.15, VEN 6, h. 18.15 I SELVAGGI (THE WILD ANGELS) (Usa 1966, 93’, col., v.o. sott.it.) Durante le loro scorribande per la California, Looser, uno dei componenti della banda di motociclisti capeggiati da Heavenly Blues, viene ferito gravemente. Morirà poco dopo per mancanza di assistenza. I suoi compagni decidono di dargli degna sepoltura al paese natio, ma presto i funerali degenerano. Girato a basso costo, con Peter Bogdanovich che, oltre a scrivere la sceneggiatura, diresse la seconda unità. Montato da Monte Hellman. Presentato alla Mostra di Venezia. Sc.: Charles B. Griffith; Fot.: Richard Moore; Int.: Nancy Sinatra, Peter Fonda, Bruce Dern. SAB 7, h. 20.30, DOM 8, h. 16.30 LA LEGGENDA VICHINGA (THE SAGA OF THE VIKING WOMEN AND THEIR VOYAGE TO THE WATERS OF THE GREAT SEA SERPENT) (Usa 1957, 71’, b/n, v.o. sott.it.) In una non precisata località del Nord Atlantico, alcune donne vichinghe salpano alla ricerca dei loro uomini, partiti per una battuta di caccia e mai tornati. Naufraghe sull'isola dei Grimault, scoprono che gli uomini sono tenuti prigionieri in una caverna. Prima di poter lasciare l’isola, però, dovranno combattere contro un mostro marino. Copia proveniente da Classic Films. Sc.: Lawrence L. Goldman; Fot.: Monroe P. Askins; Int.: Abby Dalton, Susan Cabot, Bradford Jackson. SAB 7, h. 22.00, DOM 8, h. 18.00 IL VAMPIRO DEL PIANETA ROSSO (NOT OF THIS EARTH ) (Usa 1957, 67’, b/n) Un alieno si nasconde tra gli uomini per procurarsi il rimedio contro un'epidemia che sta sterminando la sua gente: l'antidoto è il sangue umano. Il vampiro proveniente dal lontano pianeta Davana è invulnerabile. Tutti pensano che sia ormai la fine, quando si scopre che l'alieno non sopporta i rumori stridenti. Corman si diverte a coniugare fantascienza e horror inventando un alieno vampiro dagli occhi senza pupille. Sc.: Charles Griffith, Mark Hanna; Fot.: John J. Mescal; Int.: Paul Birch, Beverly Garland, Jonathan Haze. LUN 9, h. 18.15, MER 11, h. 18.30 LA LEGGE DEL MITRA (MACHINE-GUN KELLY) (Usa 1958, 80’, b/n.) Nel 1935, periodo post-proibizionistico, George Kelly, detto Machine-Gun Kelly per la sua destrezza nell'uso del mitra, diventa ricco svaligiando banche. Film di serie B, ma soltanto per il costo. Corman preme l’acceleratore sul ritmo dando vita a una rievocazione ambientale che procede per rapide allusioni, per sintesi, un personaggio credibile nella sua paura organica e nella tetra visione della vita. Sc.: R. Wright Campbell; Fot.: Floyd Crosby. Int.: Charles Bronson, Susan Cabot, Morey Amsterdam. MAR 10 e SAB 14, h. 16.30, DOM 15, h. 20.30 IL BARONE ROSSO (VON RICHTHOFEN AND BROWN) (Usa 1971, 97’, v.o. sott.it.) Nel 1916, sui cieli della Francia, duellano l'asso dell'aviazione tedesca, il barone von Richtofen, e il suo rivale canadese Roy Brown. Brown distrugge la base nemica e allora il barone compie un'azione di rappresaglia sul suolo avversario. La guerra volge al peggio per la Germania, ma von Richtofen rifiuta l'ordine di rientro e trova la morte in un epico duello con il rivale. Dopo questo film Corman abbandonò la regia per diciannove anni, per dedicarsi esclusivamente alla produzione. Proiezione digitale HD. Sc.: John William, Joyce Hooper Corrington; Fot.: Michael Reed; Int.: Hurd Hatfield, Barry Primus, Don Stroud. MAR 10, h. 18.30, LUN 16, h. 16.30 L'UOMO DAGLI OCCHI A RAGGI X (X) (Usa 1963, 79’, b/n, v.o. sott.it.) Il dottor Xavier si inietta un siero che gli permette di ottenere la vista a raggi X. Procurata accidentalmente la morte di un collega, inizia a vagabondare di città in città. Dopo essere stato sfruttato anche in un luna park, arriva alla decisione di accecarsi, anche per sfuggire ai dolorosi effetti collaterali del siero. Film che all’azione dal ritmo frenetico associa profonde riflessioni sul tema della visione oltre la vista per questo scienziato “curioso di scoprire la verità”. Copia proveniente da Classic Films. Sc.: D. Haller, da un racconto di Ray Russell; Fot.: F. Crosby; Int.: Ray Milland, Diana Van der Vlis, Harold J. Stone. MER 11, h. 20.30, LUN 16, 18.00 Alex Stapleton CORMAN'S WORLD: EXPLOITS OF A HOLLYWOOD REBEL (Usa 2011, 95’, col., v.o. sott.it.) Un tributo al più prolifico sceneggiatore, regista e produttore, che influenzò in modo irreversibile il cinema di genere. A parlare di Corman in questo documentario sono personaggi illustri della settima arte che gravitarono a vario titolo, nella sua factory di talenti. Peter Bogdanovich, Robert De Niro, Peter Fonda, Pam Grier, Ron Howard, Eli Roth, Martin Scorsese, Jack Nicholson e molti altri spiegano come Corman abbia creato il suo impero indipendente dalle Major di Hollywood. Proiezione digitale HD. MER 11, h. 22.15, SAB 14, h. 20.30, DOM 15, h. 16.30 LA VERGINE DI CERA (THE TERROR) (Usa 1963, 81’, col., v.o. sott.it.) Un giovane ufficiale napoleonico trova rifugio in un misterioso castello in cui si aggira il fantasma di una donna, morta molti anni prima, che minaccia di morte il padrone del maniero accusato di averla uccisa. Corman volle girare il film in pochi giorni, cercando di utilizzare le scenografie realizzate per La città dei mostri, girato poco prima. Alcune scene furono girate da altri registi, da Francis Ford Coppola (che ne era anche produttore), Monte Hellman, Jack Hill e Jack Nicholson. Proiezione digitale HD. Sc.: Leo Gordon, Jack Hill; Fot.: John Nicholaus; Int.: Jack Nicholson, Boris Karloff, Sandra Knight. SAB 14, h. 18.15, DOM 15, h. 22.15 ADOLESCENTE DELLE CAVERNE (TEENAGE CAVE MAN) (Usa 1958, 65’, b/n, v.o. sott.it.) Una tribù di uomini primitivi in una terra desolata lotta per sopravvivere, nonostante un ambiente rigoglioso si trovi dall'altro lato di un vicino fiume. Si rifiutano di attraversarlo a causa di un antico racconto che li mette in guardia da un dio, in agguato dall'altra parte, che provoca la morte con un solo tocco. Film a basso budget, al punto che l’attore Beach Dickerson interpretò ben quattro ruoli, quello principale e gli altri da semplice comparsa. Copia proveniente da Classic Films. Sc.: R. Wright Campbell; Fot.: F. Crosby; Int.: Robert Vaughn, Darah Marshall, Leslie Bradley. SAB 14, h. 22.00, DOM 15, h. 18.00 I MAGHI DEL TERRORE (THE RAVEN) (Usa 1963, 86’, col., v.o. sott.it.) Nell'Inghilterra del XVI secolo due maghi saggi si alleano per combattere contro un malvagio detentore di poteri magici. Uno dei due si accorge presto che il rivale gli ha rubato la moglie, che lui credeva morta. Pazzo d’ira lo sconfigge in un duello mortale di arti magiche. Roger Corman, dopo aver realizzato tanti film del brivido, ne smonta qui i meccanismi irridendoli con esiti spassosi. Copia proveniente da Classic Films. Sc.: R. Matheson, da un racconto di E.A. Poe; Fot.: F. Crosby; Int.: Vincent Price, Boris Karloff, Peter Lorre. LUN 16, 20.30, MAR 17, h. 16.30 LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI (THE LITTLE SHOP OF HORRORS) (Usa 1960, 72’, b/n, v.o. sott. it.) In un sobborgo umido e malfamato di New York, Seymour è un appassionato di botanica ma soprattutto di piante strane, come quella trovata un giorno per caso al mercato da un vecchio cinese. La bizzarra piantina attira molti nuovi clienti al negozio di fiori, che sembrava ormai sull’orlo del fallimento, prima di manifestare pericolosi appetiti antropofagi. Dal film fu tratto il musical off Broadway, da cui derivò a sua volta la versione cinematografica realizzata nel 1986 da Frank Oz. Proiezione digitale HD. Sc.: Howard Ashman; Fot. Robert Paynter; Int.: Rick Moranis, Ellen Greene, Jonathan Haze. La proiezione di lunedì 16 sarà introdotta da Roger Corman
Nando Dalla Chiesa, autore de "Lo statista" (Melampo editore)
"Lo statista": cronaca di un presidente "eversivo", nonostante gli applausi
di Antonella Loi
"A chi non ha applaudito".
La dedica che apre il libro di Nando Dalla Chiesa è un'indicazione
immediata sulla strada che dal cimitero monumentale di Sassari, dove
Francesco Cossiga è stato tumulato dopo la morte, nell'agosto del 2010,
ripercorre a ritroso cinquant'anni di una folgorante quanto controversa
carriera politica. Lo Statista - Promemoria su un presidente eversivo,
edito da Melampo, è un atto d'amore verso "l'altra verità" e contro
ogni acritico conformismo proprio del "democratico pubblico plaudente",
sempre pronto a concedere "una sorta di zona franca nella vita politica e
sulla stampa". Giovanissimo deputato democristiano, quindi ministro
dell'Interno con Moro e poi con Andreotti, passando per la presidenza
del Consiglio e fino al Quirinale, quella del "picconatore" è la
metafora della storia stessa dell'Italia del secondo dopoguerra. Ma c'è
anche molto di personale nella ricostruzione minuziosa, fatta attraverso
testi e articoli di giornale. "Non posso dimenticare le tante
malevolenze che Cossiga espresse su mio padre. La pietà per la morte non
cancella i ricordi", diceva l'autore all'indomani della morte dell'ex
presidente della Repubblica. "Di segreti Cossiga ne ha conservati tanti e
falsi segreti li ha alimentati con le sue interviste", aggiungeva.
L'assunto dal quale parte
l'autore, professore di Sociologia della criminalità organizzata alla
Statale di Milano e figlio del generale Alberto Dalla Chiesa, ucciso
dalla mafia nell''82, è che quella qualifica di "statista" rappresenta
nulla più che un esercizio retorico, finalizzato a nascondere più che a
celebrare, su uno spaccato politico controverso a cavallo tra primo e
secondo atto della Repubblica. "Lo statista è una persona che si fa
carico dei problemi dello Stato, a volte violando le sue convinzioni o i
suoi interessi - ci dice in una pausa del ricevimento studenti Nando
Dalla Chiesa -. A volte lo statista è perfino cinico per come deve
tenere conto dell'interesse dello stato. Che non vuol dire che uno
statista sia una persona senza macchie morali, però quelle macchie se le
procura per fare l'interesse dello Stato. Nel senso che se si trova
davanti a dei dilemmi etici sceglie lo Stato piuttosto che altri
interessi legittimi".
Nel caso di Cossiga la parola è abusata?
"In Cossiga tutto questo che ho detto non esiste: non c'è mai lo Stato,
c'è lui. E lui diventa il principio superiore e quindi i ricordi che ha
del terrorismo sono sempre legati non ai familiari delle vittime per
esempio, ma a lui con Moro, lui con Donat-Cattin in una lettura
totalmente autocentrata. Lo statista, invece, mette al primo posto lo
Stato".
Nel suo libro lo chiama "presidente eversivo". Come ha caratterizzato l'Italia?
"Ha significato un'assoluta anomalia da un punto di vista
costituzionale, per questo dico un presidente 'eversivo'. Un capo dello
Stato, custode supremo della Costituzione, che invece la attacca e
spesso la umilia con le sue parole e i suoi comportamenti. Soprattutto
attacca lo spirito della Costituzione quello che non è scritto".
Cioè?
"Il rispetto per le istituzioni, il senso del dovere di chi le
rappresenta, dovere verso tutti. L'idea di una democrazia fondata su
particolari diritti e doveri, con i doveri che salgono man mano che
salgono le responsabilità. Su questo, per usare il suo verbo, viene
'picconato'. E' anomalo che questa 'picconatura' venga interpretata e
ricordata come un elemento di innovazione coraggiosa da parte di chi
avrebbe dovuto criticarla e arginarla. E' un'assoluta anomalia e,
volendo, è il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica".
Cossiga, all'epoca ministro
dell'Interno, appare come grande manovratore della vicenda Moro. Lei
mette in luce tutte le tante incongruenze di quei giorni, anche rispetto
alle esternazioni più recenti. In un'intervista di pochi giorni fa su Panorama, Maria Fida, la figlia dell'allora segretario della Dc, sembra però dare ragione all'ex capo dello Stato ammettendo che qualcuno agì per dividere la famiglia. "Quella di Maria Fida mi sembra una ricostruzione debole. Da
una parte ci sono le Brigate Rosse e dall'altra c'è lo Stato. Poi ci
sono tutti quelli che cercano di svolgere una funzione intermediaria. La
famiglia chiede la liberazione di Moro, non c'è ombra di dubbio. Poi al
loro interno possono aver avuto, com'è ovvio in una situazione così
delicata e tragica, delle opinioni differenti, è normale. Il dato però è
che la famiglia chiedeva con forza che si trattasse perché Moro si
salvasse. Anche Moro chiede la sua liberazione, chiede di trattare e di
fare quello che, tra l'altro, sarebbe stato fatto qualche mese dopo con
Ciro Cirillo (quando lo Stato, al contrario, scese a patti con le Br ndr). Tanto
che Cossiga rimproverò a Moro di attribuire a suo nipotino un valore
superiore rispetto allo Stato. 'Il nipotino Luca conta più dello Stato',
disse".
Dalle vittime di piazza a Roma e
Bologna nel '77 a Gladio, passando per la P2: tante ombre intorno a
Cossiga. E poi la strage di Bologna per la quale solo di recente l'ex
presidente della Repubblica, in un'intervista sul Corriere, ha tirato fuori dal cilindro la famosa "pista palestinese" in alternativa alla "pista nera" accreditata fino a questo momento.
"Ecco, questo fatto non si concilia per niente con lo statista, con
l'uomo politico, con il presidente della Repubblica. Lo statista sa
quali sono i poteri dello Stato e sa che se ha delle informazioni sulla
strage più terribile d'Italia, avvenuta nel periodo in cui lui era a
capo del governo, va dai magistrati e racconta quello che sa. Questo non
è accaduto. Anzi li chiama gli 'amici' della Resistenza palestinese.
Possibile che chi lo ha intervistato non gli abbia chiesto conto di
queste affermazioni? Perché usa questo linguaggio perché non è andato
dai magistrati, che prove porta a supporto di quello che sta dicendo?
Quello che stupisce è proprio questo rapporto con la stampa, anche
quella forte che potrebbe permettersi di porre dei problemi e degli
interrogativi e non di una stampa dipendente, non il suo giornalino.
Colpisce il fatto che Cossiga non ha il suo giornale, non è proprietario
di un quotidiano, non ha un conflitto d'interessi. Eppure può dire
delle enormità".
"L'intervista a Cossiga": lei scrive che ad un certo punto diventa un genere giornalistico.
"Un genere giornalistico sì, che pure molti cronisti ammettono o l'hanno
ammesso dopo l'uscita del libro. Cossiga fa notizia, dicevano. Però
bisogna controllare, il giornale ha delle responsabilità quando veicola
delle notizie false. Certo che se io dico che la strage di piazza
Fontana l'hanno fatta i tedeschi, do una grande notizia. Bisogna vedere
se è lecito mettere in giro delle falsità. Una panzana colossale che ha
presa nell'opinione pubblica. Senza dubbio è una notizia che la bomba
l'abbiano messa i palestinesi, però poi bisogna dimostrarlo".
Nel suo blog lei definisce questo testo "il mio libro pregiato".
"Al di là dei toni autoironici e autoenunciativi, credo che sia un libro
che bisognava scrivere perché queste forme di assuefazione ai concetti
per me sono preoccupanti. E' per dire: guardate che c'è qualcosa che va
oltre il berlusconismo, c'è una tendenza a omologarsi senza farsi una
domanda su alcune convenzioni morali. E uno così diventa uno statista,
salutato con rimpianto sia da Alemanno che dalla sinistra, dall'Arcigay
come da Casini".
Bianchi: "Troppi scrittori creativi e pochi lettori, il sistema libri si avvia al collasso"
di Andrea Curreli
Altro che santi, poeti e
navigatori, gli italiani sono sempre di più un popolo di grafomani.
Tutti gli abitanti del Belpaese vogliono scrivere e tanti lo fanno, ma
paradossalmente hanno poca voglia di leggere. Per questo, a causa di uno
strano meccanismo, le iniziative editoriali si moltiplicano, le
fascette pubblicitarie esaltano le copertine, gli addetti stampa delle
case editrici martellano i media per ottenere un po' di visibilità per
prodotti che molto probabilmente non diventeranno bestseller o “casi
editoriali”. E se la casa editrice, grande o piccola che sia, non vuole
credere nell’aspirante autore dell’anno e nelle sue pagine, ecco le
società che in cambio di un po’ di euro rendono possibile
l’autoproduzione. Tutto questo senza dimenticare i corsi di scrittura
creativa profumatamente pagati. Il risultato finale è una selva
fittissima di libri dove i poco numerosi lettori si trovano spesso
disorientati. In questo strano “mercatino del libro nuovo” salta fuori Inchiostro antipatico. Manuale di dissuasione dalla scrittura creativa
(Bietti editore). Un testo critico, ricco di dati, a tratti ironico ma
nella sostanza feroce, firmato dalla penna di Paolo Bianchi. Il
giornalista di Libero denuncia un sistema nel quale, scrive, “è
il libro che cerca il lettore” e non viceversa come avveniva
nell’antichità. I dati e gli episodi che vengono snocciolati nella
pagine di Bianchi possono trovare una sintesi in una analisi: “se da
questo momento in poi non venisse più pubblicato niente, un lettore che
legga quattro libri alla settimana impiegherebbe 250 mila anni per
affrontare tutti i libri già scritti”.
Bianchi, lei invita gli altri a non scrivere libri ma lo fa attraverso un libro.
"Ho fatto questo libro perché non c’era un’inchiesta di questo genere.
Mi occupo da diversi anni di editoria libraria, faccio il giornalista,
lo scrittore e ho fatto anche l’editore. Quindi conosco l’argomento di
cui tratto. In questi anni ho incamerato molti dati che poi ho
utilizzato per scrivere Inchiostro antipatico".
I dati che lei riporta lasciano
senza parole: nel 2008 sono usciti 65mila libri in un anno, nel 2009
c’erano in Italia quasi 9.700 case editrici. Qual è la situazione nel
2012?
"Lo sapremo presto, a maggio. Ma c’è una grande novità: tutti oggi tramite Amazon
hanno la possibilità di pubblicare i loro libri in formato elettronico.
Con un costo tra i 90 centesimi e i 2,99 euro puoi mettere in Rete il
tuo libro. Con questi prezzi ridicoli il numero di scrittori e libri è
destinato a crescere. Quasi tutti quelli che oggi mandano i loro scritti
alle case editrici, si riverseranno in Rete puntando sull’auto
pubblicazione del proprio e book".
Esibizionismo, vanità, in alcuni casi mitomania. Lei non è tenero nei confronti dell’aspirante scrittore.
"Ci troviamo davanti a una disfunzione narcisistica della società. Si
scrive per dire al mondo che si esiste. Ma quelli che hanno veramente
qualcosa da dire e lo mettono per iscritto sono un numero risibile.
Forse solo uno su mille. Anche quelli che scrivono buone cose affogano
in questo mare d’inchiostro".
Questo conduce a un abbassamento del livello e, come dice lei, alla mediocrità.
"Anche il pubblicato non ha un livello molto alto perché tende a
seguire le ricerche di marketing. Le case editrici, soprattutto le più
importanti, sono alla continua ricerca del bestseller. La qualità media
della scrittura precipita in libreria e poi scatta un meccanismo di
emulazione. L'aspirante lettore è portato a pensare: 'Se ce l’ha fatta
lui, lo posso fare anche io'. In questo modo ovviamente si scade nel
trash. Siamo davanti a una intercambiabilità non solo dei testi, ma
anche degli autori. Non ci sono autori dotati di una personalità, in
molti casi il lettore non sa chi ha scritto il libro da 9,90 comprato
nel centro commerciale. Non sappiamo nemmeno se questi autori sono
umani, potrebbero anche essere dei software".
Ma c’è un ritorno economico concreto dalla pubblicazione di un libro?
"Molti di questi autori vengono reclutati per quattro soldi e gli
anticipi sono spesso bassi se non inesistenti. Ci sarà qualcosa sul
venduto, ma è veramente poco. Quando un libro al lettore costa 9,90 euro
all’autore resta al massimo l’8-10 per cento. Quindi stiamo parlando di
80-90 centesimi a copia e quasi sicuramente meno sulla prima tiratura
di diecimila copie. Bisogna vedere qual è il venduto e il ricavo
corrisposto all’autore. Le cifre alte vengono investite solo sugli
autori di fama".
Dal suo libro emerge il fatto che spesso l'autore non è conscio dei propri limiti.
"Sono stato contattato tramite Facebook da un uomo che aveva
autopubblicato il suo libro in Rete. Voleva che condividessi le sue
pagine per ottenere una visibilità mediatica tramite internet. Ha voluto
a tutti i costi che leggessi il suo testo e gli ho detto di inviarmi
qualche pagina perché dall’incipit comprendi subito il livello. Mi ha
mandato oltre 300 pagine di un libro pieno di difetti, luoghi comuni e
goffaggini. Gli ho fatto notare queste cose e lui si è offeso e mi ha
cancellato dagli amici del social network. E’ l’esempio del fatto che
tutti vogliono essere riconosciuti costi quel che costi. Ma nessuno
vuole accettare il giudizio altrui o la critica. C’è questa volontà di
essere chiamati scrittori senza avere merito e qualità e senza accettare
un parere diverso dal proprio. Questo è un caso classico".
Ma questo sistema è destinato a crescere oppure ad implodere?
"Siamo già in una fase implosiva perché le grosse case editrici perdono
soldi e quelle che pubblicano i libri a pagamento non vendono. Gli unici
che ormai ci guadagnano sono piccoli furbacchioni che fanno finta di
essere veri editori. Il sistema sta implodendo, ma in tutto questo caos
ogni tanto emerge qualcosa di bello. Ma spesso avviene in maniera quasi
casuale che un buon libro arrivi al vasto pubblico. Il sistema è
talmente pasticciato e frenetico che si avvia al collasso con tantissima
carta destinata al macero senza essere stata letta da nessuno”.
Benvenuti a "Hicksville" la piccola patria dove si venera il fumetto
di Andrea Curreli
Immaginiamo un piccolo mondo abitato da una allegra e coesa comunità di amanti del fumetto dove i comic
sono venerati, collezionati e custoditi gelosamente in misteriosa
biblioteca costruita all’interno di un faro. Immaginiamo poi un grande
spazio dove tutto è merce da scambiare e vendere, dove anche il bello
può e deve essere corrotto in nome del cosiddetto "dio denaro". Ora
consegniamo la penna al fumettista Daylan Horrocks e chiediamogli di
dare un nome al piccolo mondo e al grande mercato. Risultato? Una graphic novel intitolata Hicksville,
dal nome della cittadina neozelandese che adora i fumetti. Per dovere
di cronaca, il mercato dove le tavole si pagano 30 dollari lordi, è
quello dell'editoria a stelle e strisce.
Leonard Batts alla scoperta di Hicksville -
Dylan Horrocks ha aggiunto una "introduzione" di 12 pagine per
raccontare che, in fondo, il suo capolavoro a fumetti andava bene così
come era stato realizzato nel 1998. Ma tutti gli amanti di questo
fantasioso, ma non troppo, romanzo in immagini sul mondo del fumetto non
possono non gioire davanti alla sua ristampa da parte della Black
Velvet per la traduzione di Omar Martini. Per chi non conoscesse questo
comic, Hicksville è una tranquilla realtà della Nuova Zelanda terra
d’origine dell’autore del fumetto. Ma a turbare l'armoniosa vita del
paese arriva l'americano Leonard Batts. Questo "giornalista e critico
per la rivista Comics World" ha deciso di volare dall’altra
parte del mondo per scrivere un articolo su un maestro assoluto del
fumetto come Dick Burgher, nato in questa piccola "patria delle strisce e
degli albi".
Mai nominare il nome di Dick Burgher -
La missione del giornalista si rivela subito più complicata del
previsto ogni volta che nomina il nome di Burgher, provoca reazioni
inconsunte e sempre negative da parte degli abitanti del posto. Gli
unici che sembrano disposti ad aiutare Batts sono la signorina Hicks e
Sam, disegnatore e amico d'infanzia di Burgher. La signorina Hicks è la
proprietaria della "libreria e biblioteca circolante di Hicksville" dove
sono conservati fumetti rarissimi e dal valore inestimabile. Ma "noi
non facciamo caso a queste cose" precisa Mrs Hicks. Nonostante sia poco
sensibile al valore economico dei mini comic, la popolazione è decisa a
salvaguardare il segreto di una misteriosa biblioteca nascosta in un
faro dove sono conservate le opere di insospettabili fumettisti (tra
questi spiccano i nomi di Picasso ed Hemigway).
Il mondo dei fumetti secondo Horrocks -
A questo strano mondo dove gli abitanti si dilettano a mascherarsi come
improbabili supereroi, Horrocks contrappone la volgarità e l'avidità
dell'industrai dell'intrattenimento globalizzato incarnate ovviamente
dalla figura di Burgher. "Chiacchieri con i buttafuori mentre c'è una
stanza piena di editori e ragazze da abbordare?" domanda l'arrogante
star del fumetto che viene da Hicksville. In questa miscela di storie e
personaggi che si susseguono in una sorta di matrioska, l'autore
neozelandese spiega la sua concezione di fumetto: quello che dovrebbe
essere e quello spesso non è. Paradossalmente proprio gli Stati Uniti
gli hanno reso omaggio nel 2002 con il premio come miglior fumetto. Ma
Horrocks, eterno bambinone cresciuto sognando i viaggi immaginari di
Tin Tin, vive il successo a modo suo. "Hicksville è una storia 'di'
fumetti che racchiude la loro storia e la loro poesia - spiega Horrocks
-. Ma è anche un romanzo su ciò che i neozelandesi chiamano
'Turangawaewae' ovvero l'avere un posto dove stare nel mondo una sorta
di patria spirituale. Hicksville è il mio".
Dopo l’entusiasmante riscontro
del recital dedicato a Brian Patten,
Pier Luigi Alvau continua il 2 aprile prossimo col calendario della VIIª
stagione consecutiva dei suoi LUNEDI’ CON LA POESIA.
In programma il reading interamente dedicato a Anna Borghi(*) con la lettura integrale delle liriche contenute nella
pubblicazione La bellezza nel pugno.
La voce femminile che affiancherà
Pier Luigi Alvau in questa occasione sarà quella di Nicoletta Jannetta.
Le letture saranno intervallate
dagli interventi musicali di Mauro Uselli, che da qualche anno è un ospite
abituale de I LUNEDÌ CON LA POESIA con il
suo eclettismo artistico che si manifesta anche nell’utilizzo di strumenti
diversi sempre suonati con la maestrìa che lo contraddistingue.
(*) Anna Borghi nasce a Firenze il 23 luglio 1959, cresce a Crema e lì rimane fino
all'età di 42 anni quando si trasferisce ad Alghero, dove risiede ancora oggi
con il figlio Andrea. Ha sempre scritto, fin da bambina. La sua prima poesia,
"Il poeta" risale all'età di 10 anni. Per motivi familiari ma
soprattutto economici interrompe gli studi, rammarico che la spingerà a
studiare per il resto dei suoi giorni a
venire. E fin da giovanissima lavora e si impegna in attività socio-culturali
in ciascuna delle città che la ospitano. A Milano ad esempio nella libreria
Calusca City Ligths di Primo Moroni, gemellata con l'omonima libreria di
Lawrence Ferlinghetti, fucina e palco internazionale per l'avanguardia
culturale e sociale. Pur lavorando manualmente non abbandona mai il suo impegno
civile, sociale, culturale. Si offre come assistente nella Casa Circondariale
di Cremona, per un laboratorio di tipo artigianale nella sezione femminile.
All'età di 32 anni si avvicina alla danza contemporanea. Nel 1997 incontra
Maria Fux, la più grande danzaterapeuta vivente e ne segue gli stage per 6
anni. Incontra, inoltre, Elena Cerruto la più creativa danzaterapeuta italiana
e segue il corso di formazione presso la scuola Sarabanda
di Milano: un ponte tra l'Oriente e l'Occidente, questo fa si che incontri la
cultura orientale e in particolare lo zen. E' fondatrice, con Elio Chizzoli,
Giobico, Giovanni Bianchessi, Angelo Noce della originale "Poesia a
strappo", manifestazione che da alcuni anni Borghiorganizza ad Alghero.
Rassegna Cinematografica "Corti Di Sera" + Cous-Cous offerto dalla Libreria:
Domenica 15 Aprile alle ore 21:00 avrà luogo la seconda edizione di
"Corti Di Sera", la rassegna cinematografica di corti auto prodotti. Visto il grande successo della prima serata, vi invitiamo a partecipare numerosi anche a questa seconda edizione.
Come di consueto l'evento sarà accompagnato da una degustazione gratuita per tutti i partecipanti e spettatori. Questa volta abbiamo scelto come piatto il "Cous-Cous". Mi raccomando, non mancate, noi vi aspettiamo...
I corti in Rassegna sono:
1) "Robin":
Giusi si sveglia di notte sentendo dei rumori. È sola in casa e c’è un
ladro in soggiorno ma è… molto gentile! Dopo averlo distratto con uno
stratagemma, Giusi si nasconde in camera da letto e riesce ad
atterrarlo, ma non tutto è come sembra. Durata: 7' 30" Anno di produzione: 2005 Produzione, regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio: Marco Bergami Interpreti: Andrea Aceti, Valentina Turi Musiche: Emiliano De Mutis Segretaria di edizione: Giulia Berardi Ciak: Alessandro Grassi, Patrizia Di Marco Trucco: Antonella Tarantini Premi: Premio del pubblico al Festival del videocorto di Anzio 2006 In concorso: Fiaticorti, Il corto, L'invasione degli ultracorti, etc TV: Rai Sat Futura: CORTO MIX
2) “Sorelle”
Regia di Giovanni Tronci
Due sorelle, completamente diverse tra loro, si affrontano in un drammatico faccia a faccia. Un tragico evento del passato le lega indissolubilmente ma, dietro lo scontro delle due donne, si cela una verita’ oscura e ancor piu’ tragica.
3) "La Camera Segreta"
di Enrico Raimondi
L’assurdo irrompe nella vita quotidiana di una giovane coppia ed ha la forma di una vecchia “camera” fotografica degli anni trenta. Un intreccio sulla memoria degli oggetti, la memoria umana e quella tragica della storia del 1943.
4) "Chi trova un amico..."
Un uomo in difficoltà corre da un amico, in cerca di un conforto, di un
consiglio, di una consolazione. Le cose sembrano andare per il verso
giusto ma... Uno sguardo insolito sull'amicizia e sui rapporti interpersonali.
Con: Marcello De Falco, Marcello Urso Soggetto: Marcello De Falco, Jurij Nascimben Sceneggiatura: Jurij Nascimben Musiche: J.S. Bach, tre pezzi dalle suite per violoncello solo eseguiti da Matthieu Fontana (licenza CreativeCommons) Regia: Jurij Nascimben
Giorgio Asproni e Francesco Cocco Ortu. Due protagonisti assoluti del Risorgimento
Sardo
Il 31 marzo 2012, dalle ore 18 presso i locali
dell'ex Montegranatico a Nuraminis, l'associazione Khorakhané ospiterà Marinella FerraiCocco
Ortu e Stefano Pira nell'ambito della seconda edizione di Storia e storie di Sardegna, dedicata al complesso rapporto tra
l'isola e il Risorgimento.
IL TEMA DELL'INCONTRO -In occasione dell'incontro
i due relatori ricostruiranno la biografia umana, familiare e politica
Giorgio Asproni e Francesco Cocco Ortu, due protagonisti assoluti del
Risorgimento sardo, i quali hanno dato un contributo fondamentale
all'individuazione dei problemi fondanti della Questione Sarda,
battendosi perché fossero posti al centro dell'agenda politica dei
governi,
prima del regno di Sardegna, poi di quello italiano.
I RELATORI
Marinella Ferrai Cocco Ortu,
è laureata in Scienze politiche
ed è stata direttore dell’Archivio di Stato di Cagliari. Si occupa dei
fondi documentari dell’età moderna e contemporanea.
Ha in corso di ordinamento l’archivio privato di Francesco Cocco Ortu
senior e la pubblicazione delle sue Memorie. È vicepresidente del
Comitato di Cagliari dell’Istituto per la Storia del Risorgimento.
Stefano Pira
è docente di Storia Contemporanea e Storia della
Sardegna presso la facoltà di Scienze Politiche di Cagliari. Le sue
linee di ricerca scientifica concernono lo studio della formazione delle
classi dirigenti nella Sardegna contemporanea, i tecnici e le classi
dirigenti della Sardegna tra bonifiche e legislazione speciale. Tra le
sue
numerose pubblicazioni i due volumi Storia della Sardegna L’Ottocento -
Aggiornamento vol. 32, del Dizionario Angius/Casalis, L’Unione
Sarda, Cagliari, 2005; Storia della Sardegna Il Novecento -
Aggiornamento vol. 33, del Dizionario Angius/Casalis, L’Unione Sarda,
Cagliari, 2005
- INGRESSO LIBERO
Democratica | Roma 2 aprile, 20.30: dopo il film incontro con Cerami e Crespi
Terzo
appuntamento con il cinema e l'impegno civile. Stavolta andiamo
indietro nel tempo, ad uno dei film più famosi e apprezzati di Pier
paolo Pasolini: "Uccellacci e uccellini". Film girato nel 1966 e che ha
per protagonisti Totò e Ninetto Davoli, allora esordiente, un corvo che,
con la voce di Leonetti (poeta ed amico di Pasolini), fa un po' da
controcanto al racconto. Come era già successo nelle precedenti
pellicole di Pasolini ad avere un ruolo centrale sono anche le immagini
di una periferia romana ai confini tra la città e la campagna raccontate
da un bianco e nero che sta tra neorealismo e i film muti degli anni
venti.
L'appuntamento è perlunedì 2 aprile alle ore 20,30 come sempre al Teatro de' Servi in via del Mortaro 22.
Al termine del film incontro conVincenzo Cerami, amico e allievo di Pasolini che partecipò alla lavorazione di "Uccellaci uccellini", eAlberto Crespi, critico cinematografico che ha curato la rassegna di Democratica.