Enrico Franceschini: Ernest Hemingway, Lettere all'amico italiano
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Rese
pubbliche negli Stati Uniti le lettere di Hemingway a Gianfranco
Ivancich, l'amico italiano. Rendono più comprensibili gli ultimi anni
dello scrittore, la sua solitudine e (forse) anche la sua tragica fine.
Enrico Franceschini
Ernest Hemingway. Le lettere all'amico italiano
«Gianfranco,
è dura scrivere una lettera sulla tua partenza senza diventare
sentimentali ed è molto dura scrivere una lettera a Venezia senza
nominare Adriana, ma lo sto facendo lo stesso». Lo stile è
inconfondibile. È il maggio 1956: dalla sua fattoria nell´Idaho, Ernest
Hemingway così scrive a Gianfranco Ivancich, l´amico italiano di
vent´anni più giovane, conosciuto al bar dell´hotel Gritti di Venezia e
poi diventato "come un fratello"; mentre la sunnominata Adriana, sorella
minore di Gianfranco, fu la sua musa negli anni di Di là dal fiume e
tra gli alberi, e forse di lei lo scrittore si innamorò. Questa e altre
undici lettere mandate a Ivancich dall´autore di Per chi suona la
campana, mai pubblicate prima d´ora, sono state acquistate dalla Kennedy
Library, che le presenterà ufficialmente domenica a Washington alla
presenza di Patrick Hemingway, figlio del grande romanziere. «Offrono
nuovi spunti sugli ultimi anni di vita di Hemingway», dice Tom Putnam,
direttore della biblioteca-museo intitolata al presidente americano, che
non incontrò mai Hemingway ma ne fu un grande estimatore, «sono un
tesoro per gli studiosi».
In
realtà sono un tesoro per chiunque abbia letto e amato Hemingway. Sono
scritte a mano, con la sua caratteristica calligrafia ondulata, e a
macchina, firmate talvolta "Mr. Papa" e anche "da entrambi di noi" in
riferimento alla sua quarta moglie, Mary, sono spedite da Cuba e da
Ketchum, la sua casa nell´Idaho, dal Kilimangiaro, da Parigi e da
Madrid. Risalgono al periodo tra il 1953 e il 1960, fino a un anno prima
del suicidio dello scrittore, che aveva incontrato Ivancich a Venezia
nel 1949: nonostante la differenza d´età erano accomunati da ferite di
guerra alle gambe e da altro, il bere, la pesca, l´avventura. Ivancich
seguì Hemingway a Cuba per tentare degli affari nell´isola, fu a lungo
ospite a casa sua, acquistò a sua volta una proprietà. I due
continuarono a sentirsi sino alla fine: Gianfranco fu una delle poche
persone presenti al funerale strettamente privato voluto dalla vedova di
Hem nel 1961. È stato lui, ora 92enne, a vendere le lettere alla
Kennedy Library, nel novembre scorso. «Per me hanno grande valore
affettivo», confessa al telefono a Repubblica con voce rotta
dall´emozione, «sono lettere private, frammenti della nostra
corrispondenza, ricordi di un´amicizia importante». Nel 2008 raccontò
quella amicizia in un libro, Da una felice Cuba a Ketchum. I miei giorni
con Hemingway (Edizioni della Laguna). Dice: «Certo che andai al suo
funerale, era un segno di rispetto per Ernest, per tutto quello che
avevamo condiviso insieme».
Nelle
lettere emerge una tenerezza che altrove in Hemingway non sempre
traspare. Come questa, datata 1953, da Finca Vigia, la sua fattoria
cubana, dove lo scrittore parla del dolore che ha provato nell´uccidere
uno dei suoi gatti, "Zio Willie", investito da un´auto: «Ho dovuto
sparare a persone ma mai a qualcuno che conoscevo e che ho amato per 11
anni e nemmeno a chi faceva le fusa con due zampe rotte». Un gruppo di
turisti vanno a fargli visita quello stesso giorno e lui annota nella
missiva: «Avevo ancora il fucile e ho spiegato loro che erano arrivati
in un brutto momento e che per favore capissero e se ne andassero. Ma il
ricco cretino in Cadillac dice: siamo arrivati in un momento quanto mai
interessante, appena in tempo per vedere il grande Hemingway piangere
perché ha dovuto uccidere un gatto».
In
una lettera Hemingway scrive di pesca: «Abbiamo pescato molto e mi sono
allenato per bene e rimesso in ottima forma: niente pancia e un colore
da indio tostato». In un´altra ironizza con un gioco di parole sul Nobel
da poco vinto: «Il libro (Il vecchio e il mare, ndr.) è tornato nella
classifica dei best-seller grazie all´ig-nobile (ig-noble in inglese)
Premio». Talvolta accenna a questioni finanziarie: Lascia il resto dei
soldi per me nella cassaforte del Gritti, grazie tante», comunica a
Gianfranco, e nel 1958, in un altro messaggio, parla dei "pagamenti
dell´Einaudi" che un certo "Dr. Camerino" forse doveva avergli
recapitato dopo un suo viaggio da Mombasa all´Italia. Qui e là sembra di
ritrovare l´Hemingway dei migliori romanzi, con i periodi lunghi e il
ritmo cadenzato: «Questo è il primo giorno di sole dopo tanto tempo ed è
bello come l´inverno dovrebbe essere e come tu lo ricordi». Lo
scrittore viene fuori anche nella corrispondenza privata, ma lui si
schernisce: «Vorrei poterti scrivere lettere belle come le tue», confida
a Gianfranco, ma non gli pare di riuscirci, «forse perché metto tutto
nel mio altro scrivere», cioè nei libri. E pochi mesi più tardi, maggio
1960, un anno prima di uccidersi, gli scrive da Finca Vigia: «Ho
lavorato terribilmente sodo, scritto più di 100 mila parole dalla fine
di gennaio e ogni giorno quando finisco troppo stanco per scrivere
lettere. Terminata la prima bozza di questa storia di tori che viene
dopo Morte nel Pomeriggio».
Per
Gianfranco si avverte grande affetto: «Adesso non ho più un fratello»,
gli scrive una volta che l´italiano è partito, «e non ho più il mio
compagno di bevute». E sempre, di lettera in lettera, ricorre il suo
interesse per Adriana, la sorella di Ivancich. «Adriana non ha dato il
suo indirizzo di Capri perciò per favore raccontale tutto tu
tralasciando le brutte parole», scrive nel ´53. E nel ´59, dall´Idaho:
«Gianfranco, sono preoccupato per Adriana e vorrei che tu mi dessi sue
notizie, buone o cattive». Insieme alle lettere, la Kennedy Library ha
acquistato mezza dozzina di foto: in una, seduto al bar con Gianfranco,
sua moglie Mary e altri, Hemingway è accanto ad Adriana e la fissa
rapito.
(Da: La Repubblica del 31 marzo 2012)
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