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sabato 14 aprile 2012

Woody Guthrie, cento anni

da MicroMega

Woody Guthrie, cento anni


di Alessandro Portelli, da Il Giornale della Musica

Woody Guthrie quest’anno compirebbe cent’anni, ma non li dimostra. Prendiamo una delle sue canzoni meno conosciute, una piccola innocente filastrocca intitolata Jolly Banker – “l’allegro banchiere”: “Quando hai bisogno di soldi e mantieni una famiglia, io ti farò credito perché so che ne hai bisogno” – salvo poi prenderti casa, terra, macchina e tutto, se non ce la fai a ripagarlo. La scrisse durante l’altra grande depressione, ma vale anche per la nostra, per i mutui subprime, per l’1% di allegri banchieri contro cui si mobilita il movimento Occupy.

È un tema che ritorna spesso in Woody Guthrie: “i miei raccolti stanno rinchiusi nei forzieri delle banche”, dice in un’altra canzone, e “chi lavora è povero, chi specula è ricco”. Fino alla strofa indimenticabile: “Ho girato tutto il mondo, ho visto tante cose e tanta gente strana, ma non ho mai visto un fuorilegge che sfratta una famiglia dalla sua casa”, perché, conclude, “c’è chi ti rapina con la pistola, e chi con la penna stilografica.” Forse oggi avrebbe aggiunto che c’è chi ti rapina con un clic di mouse.

Non è un caso che Occupy Wall Street abbia recuperato una quantità di canzoni che appartengono al mondo di Woody Guthrie (da Which Side Are You On a We Shall Overcome), e che il momento più alto di speranza che gli Stati Uniti hanno vissuto negli ultimi anni – l’ingresso di Barack Obama alla Casa Bianca – sia stato segnato dalla memorabile performance di Pete Seeger e Bruce Springsteen che davanti a una folla enorme hanno cantato la grande canzone di Woody Guthrie, This Land Is You Land, questa è la tua terra (“questo è un bellissimo paese”, scriveva ironico Woody Guthrie, “con colline molto collinose e pianure molto pianeggianti; l’unica cosa che non mi va in questo paese sono i suoi padroni”) e l’hanno cantata recuperando strofe censurate e dimenticate di quella che era tanto una canzone d’amore per il proprio paese quanto una canzone di protesta: “C’era un muro che mi sbarrava la strada, e su questo muro c’era scritto proprietà privata”, e poi “ho visto la mia gente in fila davanti alla mense dell’assistenza, e mi sono chiesto se davvero questa terra è stata fatta per me e per te”.

Dicono: sono solo canzonette; è musica “leggera”. Ma se da settanta, ottanta anni c’è chi le canta e ci si ritrova, qualche ragione ci sarà. Una è strettamente musicale: sono canzoni d’uso, canzoni che si possono cantare. La musica popolare è fatta per viaggiare leggera, trasportata solo dalla memoria e dalla voce, magari con una chitarra e un’armonica; mentre sempre di più la popular music si va facendo tecnologica, sperimentale, con apparati sempre più complessi – che è una buonissima cosa, ma poi non ci si può stupire se la gente a casa ascolta Jimi Hendrix e poi in strada (penso a certe manifestazioni sindacali che ho visto negli anni ’80 negli Stati Uniti) canta Union Maid di Woody Guthrie. Che è poi la stessa ragione per cui il nostro “movimento del ‘77” le sue canzoni le inventava sull’aria della Spagnola o di Papaveri e papere, roba dei loro nonni, che non si sarebbero mai sognati di ascoltare.

Un’altra ragione oggi è che Woody Guthrie parla di tempi e di luoghi specifici – gli anni ’30 e ’40, il Sudovest degli Stati Uniti – ma lo fa andando alla radice, all’essenziale delle cose e dei rapporti, a quello che dura. Alla proprietà – come in This Land e nelle canzoni sui banchieri. Alla guerra: e allora, in tempi di guerre del Golfo, Tim Robbins conclude il suo “I protagonisti” sulle note di I Want to Know di Woody Guthrie: perché le tue navi da guerra solcano le mie acque, perché porti armi e bombe invece di cibo e vestiti? Alle migrazioni: la sua Deportee l’hanno incisa assolutamente tutti, da Dolly Parton a Bruce Springsteen, e racconta degli stagionali messicani morti nella caduta dell’aereo che li rimpatriava alla forza alla fine dei raccolti: “sono morti sui nostri colli, sono morti sulle nostre pianure, sono morti nei nostri orti, e non hanno altro nome che ‘deportees’”, stagionali, rimpatriati. Magari oggi ci leggiamo dentro anche cose che vedevamo di meno allora: le sue canzoni sulla Dust Bowl, le tempeste di polvere che mandano in rovina i contadini (svenati, anche qui, dai mutui ipotecari che non possono pagare), sono l’epopea e l’elegia di una grande tragedia umana; ma oggi ci accorgiamo che sono anche un ciclo doloroso di storie su un grande disastro ambientale causato dall’economia.

Woody Guthrie aveva scritto sulla sua chitarra: “Questa macchina ammazza i fascisti”. Sulla cinepresa di una film maker alternativa del Kentucky ho visto citate le stesse parole: anche quella macchina “ammazza i fascisti”. Questo infine insegna Woody Guthrie: le parole, la musica, le immagini – l’immaginazione, la passione e le idee – sono armi che ci possono salvare, dai fascisti di allora, e dai despoti globali di oggi.

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