La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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IN TERRITORIO NEMICO

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Dettagli di un sorriso

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Il calcio dell' Asino

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NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

sabato 3 dicembre 2011

Campo di concentramento a indirizzo commerciale

da LA STAMPA - Cultura
02/12/2011 -

Campo di concentramento
a indirizzo commerciale

Anna Politkovskaja

In un testo inedito
di Anna Politkovskaja
la storia di  Rozita
la cecena torturata
da russi pronti a far soldi
con i prigionieri

anna politkovskaja
Rozita, una residente di Tovzeni, muove a stento le labbra. I suoi occhi, come se rinnegassero la loro naturale funzione, s’incantano e guardano da qualche parte dentro di sé. Rozita è come morta. Fa fatica a camminare, le fanno male le gambe e i reni. Un mese fa le è toccato passare attraverso un campo di filtraggio, così è chiamato, perché ha ospitato in casa sua un guerrigliero. Questo le hanno gridato in faccia i militari mentre la portavano al campo. Rozita non è più una ragazza. Ha molti figli e diversi nipoti. La più piccola, di tre anni, prima di allora non aveva mai parlato russo, ma da quando ha sentito come si sono brutalmente rivolti a sua nonna, ripete di continuo quella frase in russo: «Sdraiati sul pavimento!».

Rozita è stata prelevata da casa sua all’alba; hanno circondato completamente l’edificio e non le hanno dato nemmeno il tempo di prepararsi. Poi l’hanno portata nella zona militare alla periferia di Khottuni e gettata in una fossa. «Ti hanno spinta e presa a calci?». «Sì, certo, come si usa dalle nostre parti». Allucinanti le parole come si usa dalle nostre parti. Con le gambe piegate sotto il sedere, Rozita è rimasta seduta nella fossa scavata nella terra per dodici giorni. Era in gennaio. Il soldato che faceva la guardia alla fossa una notte ha avuto pietà di lei e le ha lanciato un pezzo di moquette. «L’ho messa sotto di me. I soldati, dopotutto, sono anch’essi esseri umani», dice Rozita muovendo a stento le labbra.

La fossa non era molto profonda ma era costruita in modo tale che la temperatura interna fosse molto più bassa di quella esterna: non c’era un tetto e si gelava per ventiquattro ore al giorno. Inoltre non vi si poteva stare in piedi, perché sulla fossa vi erano appoggiati dei tronchi d’albero impossibili da spostare con la testa. E così per dodici giorni Rozita se n’è rimasta accovacciata o seduta sulla moquette. Ma per quale ragione? Nonostante l’avessero interrogata ben tre volte, non le hanno neanche mai detto il nome del presunto guerrigliero che avrebbe ospitato né le hanno presentato un’accusa formale. Alcuni giovani ufficiali, presentatisi come collaboratori dell’FSB, le hanno infilato un paio di guanti da bambino che lasciavano scoperte le dita, hanno collegato a entrambi i suoi pollici dei cavi elettrici e glieli hanno fatti passare dietro il collo. «Sì, ho gridato forte, lo confesso, quando hanno acceso la corrente è stato doloroso. Ma sono riuscita a sopportare. Temevo che si sarebbero irritati ancora di più». A un certo punto gli ufficiali hanno detto: «Balli proprio male, dobbiamo aumentare ancora un po’…». E hanno aumentato il voltaggio, chiamando ballo le convulsioni che scuotevano il corpo di Rozita. E Rozita si è messa a gridare più forte. «E cosa speravano di ottenere con la tortura?». «Non mi hanno chiesto niente di concreto».

Hanno invece discusso concretamente con i parenti di Rozita, i quali tramite un intermediario hanno ricevuto una richiesta dagli ufficiali: cercare i soldi per pagare il riscatto di Rozita. Hanno spiegato loro: «Fate in fretta: Rozita non tollera bene la fossa e potrebbe non farcela». All’inizio i militari hanno chiesto cinquemila dollari, somma che gli abitanti non avrebbero mai potuto raccogliere, nemmeno vendendo tutto il villaggio. Allora i militari sono venuti loro incontro, scendendo a cinquecento dollari. Il giorno dopo i soldi sono stati consegnati e Rozita, che muoveva a stento le gambe, è stata liberata davanti al check point del reggimento. Ma chi è dunque Rozita, la nonna di Tovzeni? Una guerrigliera? Se non lo è, perché l’hanno trattenuta? E se lo è, perché l’hanno liberata? E perché l’hanno utilizzata come merce di scambio? Molte domande restano senza risposta e sono ormai diventate retoriche. Al tempo stesso si può giungere a una prima conclusione: nei territori della zona militare ubicata alla periferia di Khottuni, nel distretto di Vedeno, dove è dislocato il 45° reggimento delle truppe aree e il 119° dei paracadutisti del Ministero della difesa, esiste un vero e proprio campo di concentramento a indirizzo commerciale.

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