La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava
Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

IN TERRITORIO NEMICO
Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

Dettagli di un sorriso
romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

NON STO TANTO MALE
romanzo di Gianni Zanata

sabato 16 luglio 2011

Manuale di liberazione non violenta. Il libro di Sharp nelle mani dei manifestanti di Bosnia, Tibet, Zimbawe

 
Articolo 21 - Libri e Giornalismo
Manuale di liberazione non violenta. Il libro di Sharp nelle mani dei manifestanti di Bosnia, Tibet, Zimbawe
Manuale di liberazione non violenta. Il libro di Sharp nelle mani dei manifestanti di Bosnia, Tibet, Zimbawe Valter Vecellio
Dici nonviolenza e il pensiero corre subito alla scheletrica figura di Gandhi, l’immagine che lo ritrae avvolto da un panno, il cranio rasato, mentre procede verso il mare, la “marcia del sale”; oppure Martin Luther King: la grande marcia a Washington, il suo “I have a Dream”; certo non pensi a César Chavez, il leader dei campesinos di California che dopo un lungo sciopero e boicottaggio dei produttori d’uva appoggiati da uno strafottente Richard Nixon, alla fine vince: nessuno ne parla mai. Forse puoi pensare alle marce della pace Perugia-Assisi, anche se è più che sbiadito il ricordo del suo ideatore, quell’Aldo Capitini perseguitato dal fascismo, che tanta parte ha avuto nella formazione di una coscienza nonviolenta e libertaria; e provate a dire: Jean-Marie Muller, Theodor Ebert, Johan Galtung, Gene Sharp…
   Sharp, per esempio: nato in Ohio (USA) nel 1928, insegna in diverse università, ma soprattutto dirige istituti e programmi di ricerca per le alternative nonviolente nei conflitti e nella difesa. Si forma sui testi di Gandhi e la storia della rivolta per l’indipendenza dell’India. La sua fede e militanza all’insegna della nonviolenza gli procura, negli anni ‘50, un periodo in carcere per diserzione durante la guerra di Corea. Tra le sue opere, “Politica dell’azione nonviolenta”, tre volumi pubblicati in Italia dalle Edizioni Gruppo Abele: un testo fondamentale per chiunque operi in situazioni di conflitto e intenda adottare le tecniche della nonviolenza o promuovere la teoria-prassi nonviolenta. Soprannominato "il Clausewitz della guerra nonviolenta", nel 1983 fonda l'Albert Einstein Institute per «lo studio e l'utilizzo della nonviolenza nei conflitti di tutto il mondo». Il suo pensiero e i suoi testi sono considerati fonte di ispirazione per i movimenti studenteschi e popolari che hanno condotto in particolare le rivoluzioni “colorate” negli stati oggi indipendenti, un tempo parte dell'Unione Sovietica, che hanno rovesciato pacificamente i governi in carica sostituendoli con nuovi governi più filo-occidentali.
   «L'azione nonviolenta», dice Sharp, «è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa è stata usata per obiettivi vari, sia "buoni" che "cattivi"; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo».
   Per saperne di più è ora disponibile, anche in italiano, quello che è un vero e proprio manuale di liberazione nonviolenta, “Come abbattere un regime” (Chiarelettere, pp.125, 10 euro, traduzione di Massimo Gardella, revisione di Giuseppe Maugeri). Era ora! Sharp ha rinunciato ai diritti d’autore, e il suo libro ha fatto il giro del mondo, sia pure spesso in edizione samizdat; è passato di mano in mano tra i manifestanti del Myanmar, della Bosnia, dell’Estonia, e poi in Serbia, Zimbabwe,Tibet, e di recente Tunisia ed Egitto. “Il materiale da cui è ricavato questo libro” spiega Sharp, “si basa su oltre quarant’anni di ricerche e testi su lotta nonviolenta, dittature, sistemi totalitari, movimenti di resistenza, scienze politiche, analisi sociologiche, e altri campi”.
   In buona sostanza Sharp contesta il luogo comune (lo chiama “antico preconcetto”) secondo cui l’uso della forza ottiene risultati rapidi e apprezzabili, mentre con la nonviolenza si spreca tempo; un assunto che “non ha alcuna validità”. Elenca e ricorda il lungo elenco di paesi “governati” da dittature che a partire dagli anni Ottanta, grazie alle pratiche nonviolente, sono passati alla democrazia, e l’ancor più lungo elenco di paesi in via di democratizzazione. L’assunto, e la nozione di base, sono semplici: “se un numero sufficiente di subordinati si rifiuta di collaborare abbastanza a lungo e nonostante la repressione, il sistema oppressivo si indebolirà fino al collasso”. Quasi duecento i metodi censiti per attuare questa non collaborazione. Un solo “buco” ci sembra di individuare in questo prezioso manuale che sarebbe bene conservare come libre de poche: poco o nulla viene detto sulla questione informazione, che è essenziale; come garantire conoscenza, come difendersi dalle mistificazioni del regime oppressivo. Su questo enorme problema Sharp sembra glissare. Ed è, invece, questione cruciale, se è vero che tutti i dittatori e i golpisti, fin dal primo momento, hanno cura di garantirsi i sistemi informativi. Se, come Sharp ci ricorda, la ribellione, la rivolta contro un sistema oppressivo “nasce dall’interno, richiede consapevolezza collettiva, capacità di non collaborazione, pubblica resistenza” (e in questo il manuale di Sharp è prezioso), come si può assicurare tutto ciò senza informazione e conoscenza? E come? Sono interrogativi che attendono di essere sciolti.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.