L’isola dei festival o la Sardegna senza più sardi
La stagione è di quelle per cui al solo sentir pronunciare la parola Cultura gli amministratori locali mettono mano alla pistola. Alcuni per sparare, altri per spararsi. Sia gli uni che gli altri sono figli del pregiudizio che la spesa culturale sia senza ritorno.
Svanite le malìe autopromozionali dell’effimero anni ottanta, con pesanti, e vuoti, strascichi negli anni novanta, ecco che la prosaica realtà economica si impone sull’illusione che forma e sostanza coincidessero nel campo minato dei finanziamenti alla cultura. La Sardegna anche in questo caso arriva in ritardo. Territorio di Pro Loco rampanti e di annuali sagre faraoniche, con annesse sfilate, a partire proprio dagli effimeri anni ottanta diventa un luogo d’elezione per grandi rassegne di musica jazz. Non è ancora chiaro se l’utente di queste manifestazioni sia il turista o il locale. Ma tant’è, Time in Jazz, Rocce Rosse & Blues, Calagonone Jazz, Musica sulle Bocche, Narcao Blues, Festival Abbabula, Soul & Mare, Dromos, gradualmente riempiono i palinsesti estivi, su un modello che si basa sul concetto della manifestazione happening.
Era la stagione in cui ancora, con entusiasmo le amministrazioni locali sapevano discernere tra gli spazi e usavano lo status di Regione a Statuto Speciale per provare ad impostare un approccio non asfitticamente locale alle iniziative finanziate. Alle buonissime intenzioni, spesso straordinarie intuizioni, non sempre seguono i fatti.
La Sardegna è luogo di consorterie chiuse, di intellettuali corridoiali, di politici disillusi. Un po’ come nel caso della legge delle chiudende, anche nel caso dei fondi regionali per le grandi manifestazioni, o grandi eventi, chi è arrivato prima deve solo fare in modo di mantenere la posizione acquisita. Di stabilizzare, cioè, quella linea di credito, spesso solo economica che permetta agli organizzatori della manifestazione x o y di arrivare all’anno successivo. Il che, in periodo di vacche grasse, si trasforma in una routine burocratica di domande, richiesta fondi, accettazione domanda, erogazione fondi ecc. ecc.
Ma le vacche grasse durano assai poco, col moltiplicarsi delle iniziative e con l’avvento in Sardegna dei festival letterari, – Isoladellestorie a Gavoi, Tuttestorie a Cagliari, Leggendo Metropolitano a Cagliari, Letture Sotto la Torre a Calasetta, Marina Café Noir a Cagliari, Cabudanne de sos Poetas a Seneghe, Piccolo Festival di Mezza Estate all’Argentiera, Libri a Sud Ovest nel Sulcis, Festival di Castelsardo nel luogo omonimo, fino al recentissimo Isola dei Misteri, ormai un festival letterario in Sardegna non si nega a nessuno. L’affare si complica ulteriormente fino alla domanda della domanda: una manifestazione va finanziata in quanto tale o va finanziata in quanto portatrice di un contributo pubblico sia culturale che economico? In soldoni: è così sporco pretendere che un festival abbia un effetto rebound nel territorio in cui insiste?
I casi più eclatanti in Sardegna da questo punto di vista sono proprio Time in Jazz e, con orgoglio, Isoladellestorie di Gavoi. Entrambe queste manifestazioni a distanza di anni l’una dall’altra sono nate da un progetto forte e dall’idea che si poteva contravvenire al postulato che la Cultura costa troppo e non fa rientrare un euro. Entrambe sono state pensate in un territorio non “abusato” e in un ambiente dalla mentalità fortemente folklorizzata dove era molto più semplice farsi finanziare la Sagra del Fico Secco o del Coccio Nuragico piuttosto che una rassegna di letteratura o concerti jazz. In entrambi questi casi si è potuto stabilire, senza ombra di dubbio, che i territori coinvolti sono oggi territori, anche economicamente, più ricchi.
Il punto incontrovertibile è che c’è una differenza sostanziale, direi quasi deontologica, tra le manifestazioni che nascono per necessità e quelle che nascono per opportunità, quelle cioè che nascono per contribuire alla crescita di un territorio e quelle che nascono per il narcisismo, non sempre disinteressato, di chi le organizza. Nell’Isola dei Festival si è dovuti passare, per forza di cose, dai contributi a pioggia al principio della premialità, che non garantisce niente, ma ribadisce che una selezione ci vuole. Una selezione, che può essere anche nelle intenzioni, altrimenti non si vede come possano sorgere altre manifestazioni anche migliori di quelle che già ci sono, ma deve fissare uno standard sotto il quale non è lecito andare.
Non è lecito, per esempio, un accumulo tanto sproporzionato di fondi verso Cagliari a discapito dell’intera Isola. Non è lecito che uno stesso soggetto, sotto svariate forme statutarie, possa accedere agli stessi fondi per finanziare manifestazioni diverse, dovrebbe valere la regola che se sei stato finanziato per un’iniziativa devi lasciare lo spazio ad altri perché provino a finanziare la loro. Non è lecito che in nome di una manifestazione pubblica si finanzi un’iniziativa privata anche se meritevolissima. La strada della deontologia professionale in Sardegna, come in tutto il nostro martoriato Paese è una strada irta di difficoltà, a partire dalla paura del ricatto di apparire moralisti. Io credo che si debba correre questo rischio e che si debba ribadire la necessità di un’etica diffusa, che oggi in Sardegna, e in Italia, manca completamente.
Un’altra estate è giunta. Un’altra stagione di festival per quest’isola che si vuole trasformare definitivamente in un bagno penale per gli abitanti e in un non luogo per i turisti, come una piattaforma proprio al centro del mediterraneo. Il sogno di una vita: una Sardegna senza i sardi dentro. Spetta solo a noi ricordare che ci siamo. E non cedere alla logica che ci vorrebbe consci solo dei nostri diritti come succede ai servi. Per questa serie di motivi ritengo che, a proposito delle Manifestazioni Culturali in Sardegna, per l’altrove non mi pronuncio, la premialità più importante che debba determinarne il finanziamento sia la logica, la qualità di pensiero, con cui si produce un avvenimento pubblico e la possibilità di certificarne un apporto certo al territorio su cui insiste.
Svanite le malìe autopromozionali dell’effimero anni ottanta, con pesanti, e vuoti, strascichi negli anni novanta, ecco che la prosaica realtà economica si impone sull’illusione che forma e sostanza coincidessero nel campo minato dei finanziamenti alla cultura. La Sardegna anche in questo caso arriva in ritardo. Territorio di Pro Loco rampanti e di annuali sagre faraoniche, con annesse sfilate, a partire proprio dagli effimeri anni ottanta diventa un luogo d’elezione per grandi rassegne di musica jazz. Non è ancora chiaro se l’utente di queste manifestazioni sia il turista o il locale. Ma tant’è, Time in Jazz, Rocce Rosse & Blues, Calagonone Jazz, Musica sulle Bocche, Narcao Blues, Festival Abbabula, Soul & Mare, Dromos, gradualmente riempiono i palinsesti estivi, su un modello che si basa sul concetto della manifestazione happening.
Era la stagione in cui ancora, con entusiasmo le amministrazioni locali sapevano discernere tra gli spazi e usavano lo status di Regione a Statuto Speciale per provare ad impostare un approccio non asfitticamente locale alle iniziative finanziate. Alle buonissime intenzioni, spesso straordinarie intuizioni, non sempre seguono i fatti.
La Sardegna è luogo di consorterie chiuse, di intellettuali corridoiali, di politici disillusi. Un po’ come nel caso della legge delle chiudende, anche nel caso dei fondi regionali per le grandi manifestazioni, o grandi eventi, chi è arrivato prima deve solo fare in modo di mantenere la posizione acquisita. Di stabilizzare, cioè, quella linea di credito, spesso solo economica che permetta agli organizzatori della manifestazione x o y di arrivare all’anno successivo. Il che, in periodo di vacche grasse, si trasforma in una routine burocratica di domande, richiesta fondi, accettazione domanda, erogazione fondi ecc. ecc.
Ma le vacche grasse durano assai poco, col moltiplicarsi delle iniziative e con l’avvento in Sardegna dei festival letterari, – Isoladellestorie a Gavoi, Tuttestorie a Cagliari, Leggendo Metropolitano a Cagliari, Letture Sotto la Torre a Calasetta, Marina Café Noir a Cagliari, Cabudanne de sos Poetas a Seneghe, Piccolo Festival di Mezza Estate all’Argentiera, Libri a Sud Ovest nel Sulcis, Festival di Castelsardo nel luogo omonimo, fino al recentissimo Isola dei Misteri, ormai un festival letterario in Sardegna non si nega a nessuno. L’affare si complica ulteriormente fino alla domanda della domanda: una manifestazione va finanziata in quanto tale o va finanziata in quanto portatrice di un contributo pubblico sia culturale che economico? In soldoni: è così sporco pretendere che un festival abbia un effetto rebound nel territorio in cui insiste?
I casi più eclatanti in Sardegna da questo punto di vista sono proprio Time in Jazz e, con orgoglio, Isoladellestorie di Gavoi. Entrambe queste manifestazioni a distanza di anni l’una dall’altra sono nate da un progetto forte e dall’idea che si poteva contravvenire al postulato che la Cultura costa troppo e non fa rientrare un euro. Entrambe sono state pensate in un territorio non “abusato” e in un ambiente dalla mentalità fortemente folklorizzata dove era molto più semplice farsi finanziare la Sagra del Fico Secco o del Coccio Nuragico piuttosto che una rassegna di letteratura o concerti jazz. In entrambi questi casi si è potuto stabilire, senza ombra di dubbio, che i territori coinvolti sono oggi territori, anche economicamente, più ricchi.
Il punto incontrovertibile è che c’è una differenza sostanziale, direi quasi deontologica, tra le manifestazioni che nascono per necessità e quelle che nascono per opportunità, quelle cioè che nascono per contribuire alla crescita di un territorio e quelle che nascono per il narcisismo, non sempre disinteressato, di chi le organizza. Nell’Isola dei Festival si è dovuti passare, per forza di cose, dai contributi a pioggia al principio della premialità, che non garantisce niente, ma ribadisce che una selezione ci vuole. Una selezione, che può essere anche nelle intenzioni, altrimenti non si vede come possano sorgere altre manifestazioni anche migliori di quelle che già ci sono, ma deve fissare uno standard sotto il quale non è lecito andare.
Non è lecito, per esempio, un accumulo tanto sproporzionato di fondi verso Cagliari a discapito dell’intera Isola. Non è lecito che uno stesso soggetto, sotto svariate forme statutarie, possa accedere agli stessi fondi per finanziare manifestazioni diverse, dovrebbe valere la regola che se sei stato finanziato per un’iniziativa devi lasciare lo spazio ad altri perché provino a finanziare la loro. Non è lecito che in nome di una manifestazione pubblica si finanzi un’iniziativa privata anche se meritevolissima. La strada della deontologia professionale in Sardegna, come in tutto il nostro martoriato Paese è una strada irta di difficoltà, a partire dalla paura del ricatto di apparire moralisti. Io credo che si debba correre questo rischio e che si debba ribadire la necessità di un’etica diffusa, che oggi in Sardegna, e in Italia, manca completamente.
Un’altra estate è giunta. Un’altra stagione di festival per quest’isola che si vuole trasformare definitivamente in un bagno penale per gli abitanti e in un non luogo per i turisti, come una piattaforma proprio al centro del mediterraneo. Il sogno di una vita: una Sardegna senza i sardi dentro. Spetta solo a noi ricordare che ci siamo. E non cedere alla logica che ci vorrebbe consci solo dei nostri diritti come succede ai servi. Per questa serie di motivi ritengo che, a proposito delle Manifestazioni Culturali in Sardegna, per l’altrove non mi pronuncio, la premialità più importante che debba determinarne il finanziamento sia la logica, la qualità di pensiero, con cui si produce un avvenimento pubblico e la possibilità di certificarne un apporto certo al territorio su cui insiste.
18 luglio 2011
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