La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

sabato 30 giugno 2012

Cartesio lo conosco quasi a memoria, di Gianni Zanata

Cartesio lo conosco quasi a memoria.
Ieri, durante una pausa delle prove per la festa al circolo degli ex marinai, una festa che non ho ancora capito che cosa ci andiamo a fare, considerato che ad ascoltare ci saranno cinque famigliole di anziani, un pugno di parenti e un imprecisato numero di ex marinai in pensione, e vorrei pure sapere se dobbiamo cambiare la scaletta, che sì, va bene, c’è pure qualche pezzo di Dalla e di Bennato, ma i brani che ci vengono meglio alla fine sono quelli di Santana, dei Rolling Stones e dei Dire Straits, non proprio un repertorio adatto alla serata, mi sa, a un certo punto, tra uno scazzo e l’altro, con Robi che svisava strano sulle corde nuove della Les Paul, Ciccio che batteva fuori tempo sul rullante, e Antonello che si aggrappava alla tastiera del basso, un basso così brutto e mal ridotto che lo abbiamo ribattezzato “la zappa”, mentre ero lì che trafficavo per accendere una sigaretta e guardavo la mia chitarra poggiata su una sedia, Sandro si è avvicinato, mi ha scroccato una Camel e poi mi ha chiesto: “ma tu come te l’immagini il 2000?”.
Razza di domanda: il 2000.
Cazzo, mancano vent’anni, al 2000, siamo ancora nel 1980, gli ho detto. Non riesco a immaginarmi il prossimo anno, o il 1983, o il 1985. Figurarsi il 2000.
Sandro ha fatto sì con la testa. Minchia c’hai ragione, ha detto.
E c’ho ragione sì, ho pensato. Anche se l’immaginazione non mi manca. Nel 2000 sono sicuro di una sola cosa: che suoneremo meglio, molto meglio di come suoniamo adesso.
E questa mattina, una di quelle mattine afose di giugno che quando a Cagliari fa caldo afoso e umido il cielo è sempre un po’ meno azzurro e si soffoca, e se c’è una cosa da fare è andarsene in spiaggia, al Poetto, a giocare a pallone, stare un’ora a mollo e poi sdraiarsi sulla sabbia all’ombra di un casotto, io, ripensando a questa cosa del 2000, mi sono detto che non lo so proprio come sarà il mondo tra vent’anni, quando avrò più o meno l’età che ha oggi mio padre, quando sarò anziano, insomma.
Non so un cazzo, e non mi interessa sapere niente del futuro.
L’unica cosa che so, pur non sapendo niente del futuro, è che questa mattina di giugno sarà una mattina complicata.
A dire il vero lo sapevo anche prima, al risveglio, appena alzato, ma ne ho l’assoluta certezza proprio ora che sono passate le undici e mezza, e guardo la bacheca dove sono esposti gli esiti di fine anno scolastico.
Classe quarta, sezione G. Scorro sino alla penultima riga.
Matematica: quattro. Filosofia: cinque.
Rimandato a settembre. Vaffanculo. Sì, era nell’aria. Già lo immaginavo. Ma vaffanculo lo stesso.
Matematica, e va bene. Ci sta. Niente da dire.
Ma Filosofia. Cinque. Che cazzo. A settembre. Col cinque.
Ma se Cartesio lo conosco quasi a memoria?
Torno a casa. Lo devo dire a mia madre. E vabbè, non casca il mondo. In cucina c’è profumo di basilico e cipolla. Il sugo di mia madre. Inimitabile. Mi fa impazzire.
Due materie, le dico. Lei fa una smorfia. Si asciuga le mani su uno straccio appeso vicino alla finestra.
Eh, le dico, è andata così. Lei fa un’altra smorfia. Come dire: quando lo saprà tuo padre.
E che cazzo. Non casca il mondo.
Vado in camera, mi giro una canna. Poi prendo l’elettrica e mi metto a strimpellare. Due accordi. Sol maggiore e Fa maggiore. Poi un terzo. Re maggiore. Sempre gli stessi. In sequenza. Poi ci metto pure un La minore.
Filosofia, penso. Col cinque. Ma che cazzo.
Mollo la chitarra, non ho più voglia. E forse non ha più voglia nemmeno lei.
Esco, vado in via Roma, alla Casa del Disco.
C’è Stefano alla cassa. Mi guarda con quel suo sguardo triste, velato da un mezzo sorriso ironico. Mi avvicino speranzoso.
È arrivato l’ultimo di Bob Dylan?
Glielo chiedo con un’espressione così mesta e supplicante che a Stefano gli scappa una risata a monosillabo.
Non ancora, mi dice. Forse domani. Chissà.
Domani. Cazzo.
Forse stasera, fa lui sollevando le spalle.
Stasera. Merda, e me lo dici così!
Stasera. Il nuovo disco di Bob Dylan. Che s’è convertito al cristianesimo. Che canta Dio e Gesù. Che canta canzoni gospel. Che durante i concerti inizia a fare discorsi sull’Armageddon e sul Diavolo e sulla potenza della Croce. Bob Dylan che sta due ore sul palco a suonare e a cantare canzoni inedite. Bob Dylan che come a Newport ’65 la gente lo contesta, lo fischia e gliene dice di tutti i colori mentre lui è sul palco, davanti al microfono, impassibile, la chitarra a tracolla come fosse un fucile. Bob Dylan che non canta più le canzoni del passato. Ma non quelle di quindici anni fa, no, non canta più nemmeno quelle di “Street Legal”, che è un disco bellissimo, uscito appena un paio d’anni fa.
Queste cose le ho lette l’altro giorno sul nuovo numero di Ciao 2001, settecento lire, costava seicentocinquanta l’anno scorso, che già mi sembravano molte seicentocinquanta lire l’anno scorso, figurarsi settecento, adesso.
Comunque dico a Stefano che va bene, vuol dire che passerò stasera. Al che lui scuote la testa, si mette a ridere, infila una mano sotto il bancone e tira fuori il nuovo disco di Bob Dylan.
“Saved”. Salvato.
Non gli dico vaffanculo, a Stefano, perché non ho molta voglia di perdere tempo, non vedo l’ora di tornare a casa e di ascoltare il disco, non vedo l’ora di sentire la voce di Bob Dylan, ché qualsiasi cosa abbia deciso di cantare, giuro che mi sta bene, sia Dio, Gesù, la Madonna, i Santi in Paradiso, l’intero Vangelo, non mi interessa, mi interessa solo sentire le sue canzoni, la sua voce, la sua armonica.
“Saved”. Salvato.
Vaffanculo la matematica, la filosofia, Cartesio e pure Hobbes.
Vaffanculo la DC e il PSI.
Vaffanculo il 2000, il caldo umido, e gli ex marinai.
Poi mentre corro verso casa con il disco ancora incellofanato, a un certo punto mi volto e non so come ma lo sguardo cade dritto sullo strillo di un quotidiano in edicola.
Dc 9 dell’Itavia con 81 persone s’inabissa in mare presso Ustica.
Era partito ieri sera da Bologna diretto a Palermo
.
Già sono meno contento. Mi sale un grumo d’ansia. E non so perché ma questa notizia dell’aereo precipitato a Ustica mi fa venire in mente il 2000. E ci ripenso anche a casa, con il trentatré giri che suona le nuove canzoni di Bob Dylan.
Mi viene da pensare che nel 2000 gli aerei non cadranno più, che non ci saranno più guerre, che non ci saranno più ingiustizie, che il PCI sarà il primo partito in Italia, che Mick Jagger sarà il primo ministro britannico, che la benzina sarà gratis per tutti, che il Cagliari vincerà un altro scudetto, che la disco music sarà morta da un pezzo, che basterà una pastiglia per guarire dal cancro, che nelle scuole si insegneranno le canzoni di John Lennon, che Bob Dylan andrà in tournée con il Papa.
Nel 2000. Forse.


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