La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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IN TERRITORIO NEMICO

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Dettagli di un sorriso

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Il calcio dell' Asino

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NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

giovedì 17 novembre 2011

"L'uomo che manca": Dozzini racconta la piaga delle morti bianche [Lantana, 2011]

"L'uomo che manca": Dozzini racconta la piaga delle morti bianche [Lantana, 2011]

di Gianfranco Franchi
Intelligenza sottile, anima dalle passioni eterogenee e forti (politica, calcio, rock, letteratura) e dalla viva sensibilità per le sofferenze dei lavoratori e dei figli del popolo, il perugino Giovanni Dozzini, classe 1978, ha dato vita, col suo secondo romanzo breve “L'uomo che manca” (Lantana, 2011), a una pagina di onesta narrativa neorealista. Una delle cose che più mi hanno colpito, nel corso della lettura, è stata la coincidenza forte, dal punto di vista della storia editoriale di Dozzini, tra l'argomento del suo libro e quello di diversi dei libri che ha scelto, lavorato e sostenuto come editor: ricordo, anni fa, nella vecchia Castelvecchi in cui ci siamo conosciuti, il nostro amico perugino impegnato a battersi per curare a dovere una serie di testi che andavano a raccontare e denunciare con forza la tragedia delle morti bianche, e della sempre più carente sicurezza sui posti di lavoro.

Figlio di un vecchio sindacalista come sono e sempre rimarrò, ero rimasto particolarmente colpito da questa nobile inclinazione d'animo che Giovanni Dozzini già allora dimostrava; parlando con lui, ricordo bene che non avevo mai avuto ragione di dubitare della bontà e della genuinità di questa sua particolare sensibilità, umana e politica. È una cosa che gli fa onore. È passato qualche anno da quando si lavorava insieme in una casa editrice romana, ma devo dire che quando ho saputo della prossima pubblicazione d'un suo libro di narrativa m'aspettavo che fosse fedele ad almeno una delle anime di Dozzini. Ha prevalso quella politica. Coerente con la sua attività principe di editor: l'editor di saggistica di denuncia e di inchiesta. In futuro, magari, apprezzerete le altre anime di Doz. Quella calciomane, e quella rockettara. Per dire. Io mi aspetto, poi, un grande libro sull'Umbria. Anche.

Detto ciò, entriamo nel vivo de “L'uomo che manca”. Il romanzo ha una discreta tenuta e una buona struttura, giocato com'è per brevi capitoli intervallati da frammenti corsivati, voce d'un narratore man mano meno misterioso. Tecnicamente, si fonda su una dignitosa lingua letteraria, innervata da apprezzabili inserimenti dialogici e talvolta rallentata da un eccessivo descrittivismo, che può finire per deconcentrare, paradossalmente, il lettore, perso a seguire i dettagli minimi di un'azione, o di un oggetto, o di uno sfondo. Capisco l'intento, ma ogni tanto mi sento appesantito, e non riesco più a mettere a fuoco ciò che l'artista voleva raccontare. Questo è il contraltare d'una lingua a volte troppo carica. Rimane il fatto che Dozzini ha la sua storia da raccontare e sa raccontarla. E io l'ho ascoltata (letta) con interesse.

La sintesi, con un po' di partecipazione politica. Nocera Umbra, borgo di nemmeno settemila abitanti, dalle parti di Perugia. Incidente sul lavoro. Cade un cittadino onesto, un muratore. S'infortuna, rischia la vita. È uno di quei lavoratori vittime della negligenza, della frenesia e della prepotenza del sistema. “Sistema”, traduciamo: del nostro sistema economico, della nostra oscena insensibilità: della nostra diseducazione alla civiltà. Perchè di questo si tratta; la suprema sintesi del diciassettennio forzista è una robusta e organica diseducazione alla civiltà, e alla solidarietà. Lezione da non dimenticare. Dobbiamo tornare ad avere rispetto dei nostri simili. Troppo spesso questo rispetto è andato smarrito.

S'infortuna un cittadino onesto, figlio d'una nazione già parte del commonwealth bizantino, l'Albania: una terra che storicamente è nostra amica. Apro una dovuta parentesi. L'Albania è la terra da cui, qualche secolo fa, sono venuti i nobili Arbëreshë, i nostri compatrioti greco-romani che avevano combattuto, capeggiati dal formidabile Giorgio Castriota Skanderbeg, per difendere la loro terra e i nostri popoli dallo spietato invasore ottomano. Ma questo è stato dimenticato. Non ci sono monumenti che tengano. Che strano. L'Albania è la terra da cui, qualche decennio fa, sono venuti nuovi esuli, scampati alla ferocia dei regimi locali, alla povertà, alla miseria: questo è quel che ci hanno insegnato e ripetuto i media. Dimenticando che questi albanesi tornavano, viaggiando dalla loro costa alle nostre spiagge, sui passi di tanti loro antenati, dei loro antenati bellissimi, coraggiosi e combattenti. Dimenticando che non siamo affatto estranei, non siamo mai stati estranei. Chiusa parentesi.

S'infortuna un cittadino onesto, un muratore albanese, padre di due figli. Lavoratore. Uno di quei cittadini, scrive Dozzini, che lavora e suda e mangia polvere “per consentire al mondo di girare con la stessa noncuranza di cui si nutre a ogni angolo, a ogni latitudine” [p. 49]. Altim Popi, muratore albanese, cade dal cielo e finisce in rianimazione. Rischia di morire. Non ha nemmeno quarant'anni. Questo libro racconta la sua storia, e quella di chi soffre vicino a lui: Jonilda, sua moglie, madre di due bambini, Dorian e Igli. E quella di chi deve curarlo, e di chi forse l'ha condannato a quella sorte, come il costruttore, Tinelli; e di chi difende il costruttore, l'avvocato De Falco. Uno che sa bene che dovendo difendere i datori di lavoro, nelle cause legate agli incidenti violenti, la difficoltà sta nell'evitare loro di chiudere baracca, o di finire in gattabuia. “Le assicurazioni non salvano dal penale”, a quanto pare.

S'infortuna un cittadino onesto, e la sua sorte somiglia a quella di troppi altri, nostri connazionali o meno che siano. S'infortuna, e nella sofferenza potrebbe aver avuto più fortuna di altri – ai quali magari succede qualcosa di brutto e di triste, ma a noi nessuno viene a raccontarlo. Perché magari non hanno documenti, non hanno cittadinanza, e quindi non hanno più nome. Fermiamoci qua.

In un certo senso, mi accorgo che considero questo libro un viatico a leggere tutta una serie di articoli di Dozzini, usciti nel tempo sul “Corriere dell'Umbria” e su “Europa”: e di libri curati da Dozzini, come editor. Io vedo questo libro come un sito web, nato per raccontare la storia di un misterioso “Uomo che manca”, che finisce per contribuire a comandare la tragedia delle morti bianche e degli incidenti sul lavoro; sensibilizzando a dovere tutti, elencando cosa leggere e dove, come informarsi e a chi credere, cosa fare per cambiare le cose. Quali film vedere, anche: a partire, magari, dal vecchio “Paul, Mick e gli altri” di Ken Loach. È un'idea.

A latere, tengo a rivendicare un concetto arcano e misterioso – a latere, off topic, estraneo a parecchi di voi - che l'artista dovrebbe interiorizzare,  e ripetere come un mantra: sempre e comunque forza fere. Viva Terni, e viva i Sabini.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giovanni Dozzini (Perugia, 1978), giornalista, editor e scrittore umbro. Laureato in Giurisprudenza. Ha esordito pubblicando “Il cinese della piazza del pino” [Midgard, 2005].
Giovanni Dozzini, “L'uomo che manca”, Lantana, Roma, 2011. Collana “Le Stelle”. Pagine 158, euro 15. ISBN, 9788897012207.
Approfondimento in rete: El caracol / doz su ondarock

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Novembre 2011.

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