CULTURA
A San Pietro nascondo le sculture nella terra
«Miconsidero sardo per adozione: quest'anno la Sardegna sarà spesso nei miei pensieri e nei miei passi.Hoappena respirato le atmosfere di Gavoi, un festival strepitoso dove c'è una qualità del silenzio e dell'ascolto, preziosissima. In agosto sarò in Ogliastra per il Festival dei Tacchi e poi inseguirò la pazzia di Paolo Fresu all'Ippodromo di Chilivani: lui vuol fare il mio “Kohlhaas” con settanta cavalli che ci girano intorno mentre io racconto e lui improvvisa con la tromba! Dopo questa follia, sarò pronto a tornare in Sardegna per il Marina Cafè Noir se mi inviteranno...»
Ritratto di un'Isola in festival.
Queste occasioni mi hanno fatto scoprire la Sardegna interna, la Barbagia, che io immaginavo terra di banditi e invece ho scoperto diunadolcezza inimmaginabile, specie il gusto della pecora in cappotto! La mia Sardegna è sempre stata l'Isola di San Pietro, dove ho davvero impresso i segni veri del mio passaggio: quelli teatrali sono effimeri, restano solo nella memoria e nel cuore degli spettatori; è la maledizione e la bellezza del teatro. Invece a San Pietro ho lasciato le mie sculture incastrate tra i muretti a secco, alcune sepolte; tracce durature nascoste nel paesaggio, seminate nella terra.
Vacanze carlofortine, quindi?
Sono stato anche a Cagliari e Oristano, a Stintino e nel nord dell’Isola. Conosco un po' tutta la Sardegna,manegli anni tra il '93-'98 a SanPietro andavo a pesca con gli amici emi abbandonavo alla mia passione per la scultura come faccio adesso in Puglia. Ho comprato un trullo, perché un nuraghe era troppo lontano: c'è sempre un eccesso di pietre, a guidare la scelta. Pietre ricche di memorie... E di mistero, specie in Sardegna! Mi affascina “Passavamo sulla terra leggeri” di Sergio Atzeni, una bella idea di mito reinventato.
Sarà il punto di partenza del suo seminario per attori in Ogliastra?
Infatti: mi piaceva l'idea delle origini immaginarie,comepunto di partenza per lavorare sulla narrazione. Del resto, quelli si sono inventati la Padania: se resistessero – ma ne dubito – potrebbe diventare una leggenda su cui costruire storie. La memoria è fatta di questi eccessi di immaginazione.
Qual è per lei il senso del teatro nel nostro tempo?
Il valore del teatro è sempre lo stesso: non risolve nessun problema, né economico né sociale, semplicemente rispecchia quello che abbiamo di fronte, è un modo per vedersi dentro, in profondità. E rendersi conto che “davvero il mondo è così!” spaventa e inquieta. Ora c'è un po' la moda di fare indignare, ma quel che veramente serve è risvegliare l'inquietudine. Non un rassicurante giudizio morale per prendere le distanze, ma la paura vera di quando ti rendi conto che il serpente in scena potresti essere proprio tu!
Un incubo ad occhi aperti
Ma si può anche spaventare comicamente: non per forza deve essere la tragedia, o la guerra in scena; anche un clown può essere uno specchio spietato della verità; eppure fa ridere! E pensare.
Pure un burattino..
Ho fatto un “Pinocchio” nero con i ragazzini di Nairobi, era un volontariato artistico, un laboratorio che è diventatounbellissimo spettacolo: Collodi senza saperlo aveva scritto una storia africana! Il ritratto dei disgraziati di questo mondo, ma con un'altezza d'invenzione paragonabile ai grandi del teatro di tutti i tempi; ora amiamo la sua irrequietezza: Pinocchio è diventato icona della rivolta!
E lei ancora si concede quella libertà un po' fanciullesca di dire la verità?
Micapita di mettere il dito dove non si dovrebbe, così in questo periodo di celebrazione degli eroi del Risorgimento, in “Terra Promessa” racconto l'altra storia dell'unificazione dal Sud al Nord, e i morti dimenticati. Sono tanti gli omissis della nostra storia e visto che il protagonista, Carmine Crocco era un banditomi sento ancora più vicino alla “mia” Sardegna.
7 luglio 2011
di Anna Brotzu
da Sardegna 24
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