La quercia e la rosa, di Ludovica De Nava

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Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe. Romanzo di Ludovica De Nava

IN TERRITORIO NEMICO

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Romanzo storico sulla Resistenza di Pier Luigi Zanata e altri 114 scrittori - metodo Scrittura Industriale Collettiva

Dettagli di un sorriso

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romanzo di Gianni Zanata

Il calcio dell' Asino

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Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

NON STO TANTO MALE

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romanzo di Gianni Zanata

martedì 25 ottobre 2011

Conversazioni sulla democrazia


da MicroMega

Conversazioni sulla democrazia

di Maria Borio



Due ore prima dell’inizio della manifestazione degli Indignati, lo scorso 15 ottobre, discutevo con Gherardo Colombo sul suo ultimo libro, Democrazia (Bollati Boringhieri, 2011, pp. 94, euro 8). Gli ho domandato quale messaggio avrebbe voluto comunicare alle persone che stavano per prendere parte alla protesta pubblica. Colombo ha parlato di un concetto chiave del libro, quello di appartenenza (“L’appartenenza può essere definita come legame […], ma può essere definita anche come solidarietà. […]. Il senso dell’appartenenza è ciò che tiene unito il popolo, è il suo collante. Disinteressarsi di questo fattore pone fortemente a rischio la democrazia”, pp. 51-53) e ha affermato: “Bisogna riconoscersi come frammenti dello stesso genere e della stessa comunità. In una visione in cui comunità e genere umano sono la stessa cosa”.

Gli sviluppi violenti della manifestazione testimoniano che il riconoscimento dei cittadini come parte di una comunità è un equilibrio non facile da ottenere. Il libro di Colombo è un supporto divulgativo che sollecita la realizzazione pratica di questo equilibrio, soprattutto attraverso il principio di educazione alla società democratica (“ancora oggi la tendenza complessiva è a educare alla discriminazione – all’obbedienza o alla sopraffazione – piuttosto che alla libertà e alla democrazia”, p. 85; cfr. Educare alla legalità, Salani, 2011). Le pagine di Democrazia, infatti, restituiscono una voce che salda, benché solo a livello teorico, le fratture aperte dalle forze disgregatrici che minano un paese già debilitato dalla mancanza di riferimenti costituzionali organici nella prassi.

Organizzato come un compendio agevole, in cui sono spiegati il significato e il valore della democrazia in tre macrosezioni (Forma, Sostanza e Esercizio), il libro ha un forte intento didattico: parla al lettore della sostanza di un concetto e parla al cittadino della sostanza di un’istituzione. Il tono è quello di un disteso conversare. L’autore ricorre a esempi attinti dal vissuto comune, così come è proprio dello stile dialettico della prosa di Colombo: anche in Sulle regole (Feltrinelli, 2008), ad esempio, la struttura argomentativa è simile, benché l’attitudine sia più polemica e provocatoria.

Democrazia spiega, dunque, la natura e le manifestazioni di un concetto basilare, politico e filosofico, del pensiero umano; e apre il percorso della nuova collana “I sanpietrini” di Bollati Boringhieri, dove troveranno collocazione volumi che favoriscano il confronto e il dibattito pubblico su temi universali letti in una prospettiva di impegno civile. L’argomentazione di Colombo, infatti, comunica principi istituzionali al lettore, chiamato in causa come cittadino. Democrazia significa appartenenza e educazione a una comunità, alla legalità, significa rifiuto della discriminazione, esatto opposto di appartenenza (“Il tema delle relazioni tra democrazia e discriminazione […] è esploso nella prima metà del secolo passato. […] Da quel momento, a livello di principio, democrazia e discriminazione sono divenute antitetiche”, p. 45). Ma democrazia vuol dire anche riconoscere la dignità degli esseri umani come genere e come persone che si organizzano in una comunità sociale, così come è evidenziato nell’art. 3 della Costituzione italiana (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”) – mi ricorda Colombo discutendo – e come emerge anche dal recente commento dell’autore al Grande inquisitore di Dostoevskij (Salani, 2010).

La casistica dei principi che danno corpo argomentativo al volume è analitica e ben inserita in una trattazione che si sviluppa dal significato della parola “democrazia” ai legami tra istituzioni e sistema delle comunicazioni, passando da un’analisi concettuale di categoria a un’analisi civica applicata. Nell’ultima parte del libro, Esercizio, torna il monito su cui Colombo insiste spesso anche nei suoi interventi pubblici: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (Costituzione italiana, art. 1), ossia sull’impegno (lavoro: lat. labor, fatica) dei cittadini ad agire affinché la Repubblica e la democrazia possano esistere. Conoscere la democrazia come concetto e come istituzione, nel modo in cui è proposto da questo libro, è un invito, ma anche un presupposto essenziale, all’impegno. Chi comprende la natura profonda della dignità dell’essere umano e della libertà – ci dice Colombo – sa riconoscere l’importanza dell’impegno e della sua testimonianza.
Il pregio più grande di questo libro è la capacità di saper concentrare, semplificare, sintetizzare e rendere estremamente fruibili alcuni concetti del diritto e della filosofia politica. Principi come quello di appartenenza, di educazione, di discriminazione, di dignità sono inquadrati, deduttivamente, in un orizzonte di prassi quotidiana. Democrazia è un dialogo aperto con un uditorio plurale: riesce a proiettare il lettore singolo su un piano collettivo, lo informa e lo motiva al suo ruolo civile.

Prima lezione: Democrazia. Dalle regole alla partecipazione, cosa vuol dire essere cittadini
di Gherardo Colombo

La democrazia presuppone una precisa considerazione degli esseri umani e delle caratteristiche delle relazioni che tra loro intercorrono. La democrazia non è uno strumento compatibile con gli atteggiamenti infantili, e se non si tiene conto della fatica che la crescita personale comporta per superare tali atteggiamenti non si può arrivare a capirla (...).
Il popolo governa agendo. E siccome il popolo non esiste se non esistono le persone che lo compongono, il popolo governa se agiscono le persone di cui è costituito. Si è considerata la forma, si è vista la sostanza. Si è tratteggiato, cioè, lo schema di regole e di contenuti che servono perché possa funzionare la democrazia. Tutto questo, però, ancora non basta: crea i presupposti perché il popolo governi, ma affinché si realizzi la democrazia è necessario che il popolo, nell'ambito delle regole, effettivamente governi.

Una citazione aiuta a comprendere meglio la questione. 
L'articolo 1 della Costituzione italiana afferma nel primo paragrafo che «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». L'espressione è interpretata storicamente attribuendo alla parola «lavoro» il significato corrente di attività produttiva. Il lavoro quindi fonda la Repubblica democratica perché è lo strumento attraverso il quale la persona si realizza, è il mezzo per l'emancipazione personale e per la promozione della società.

Una lettura in chiave diversa aiuterebbe a capire cosa intendo: l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro in quanto i cittadini lavorano, e cioè si impegnano, perché sia una Repubblica e una democrazia. È necessario che i cittadini agiscano per compiere la democrazia, perché questa possa attuarsi. In caso contrario, e cioè se tutti loro, o gran parte di loro, rimanessero inerti, evidentemente non governerebbero, e la democrazia si trasformerebbe necessariamente in monarchia o in oligarchia (perché governerebbero soltanto gli attivi, che potrebbero essere ipoteticamente soltanto uno o estremamente pochi). La trasformazione si verificherebbe di fatto, senza necessità di cambiare nemmeno una legge. 
Così come la monarchia si trasformerebbe in oligarchia se il sovrano assoluto si disinteressasse completamente di svolgere le sue funzioni e gli subentrasse, di fatto, la corte. Allo stesso modo governerebbe, per esempio, il solo presidente del Consiglio dei ministri, se tutti i ministri e il Parlamento tralasciassero in concreto (pur conservandole apparentemente) le loro funzioni e il popolo si limitasse a esprimere con indifferenza il proprio voto alle scadenze elettorali, o magari a omettere, per una parte consistente dei suoi membri, persino quello. Non si tratta, però, soltanto di questioni di remissività da parte delle istituzioni nei confronti di una sola o di poche persone, che assumerebbero così il potere spettante ad altre sedi; non si tratta soltanto dell'esercitare o meno il diritto di voto. Il problema riguarda più in generale l'abdicazione del popolo a governare.


Per comprendere come il comportamento delle persone che compongono il popolo incida sull'attuazione della democrazia si può paragonare la società a una famiglia. Le persone che compongono la famiglia compiono di continuo azioni che riguardano se stesse individualmente e azioni che riguardano la famiglia nel suo complesso. Azioni generalmente programmate, dall'ora del risveglio passando per le varie faccende quotidiane fino al momento di coricarsi. 
La programmazione individuale riguardante le proprie sfere di competenza incide non soltanto sulla vita di chi l'ha fatta, ma anche su quella degli altri: alzarsi alle dieci e arrivare regolarmente tardi al lavoro comporta il rischio di essere licenziato, presentarsi sempre tardi a scuola quello di non essere promosso, e il licenziamento e la bocciatura si rifletterebbero sull'intera famiglia.

Altri aspetti organizzativi riguardano la famiglia nel suo complesso: fare la spesa, riordinare la casa, decidere gli acquisti e i viaggi, e così via. Dalla programmazione complessiva e dalla attuazione della programmazione risulta la qualità della vita del la famiglia, e cioè dei suoi membri. 
Nella famiglia patriarcale la programmazione, anche delle sfere più personali, era riservata al padre (il monarca), che poteva delegare (magari tacitamente e per tradizione) le parti più ripetitive e meno qualificanti alla moglie, spettando per tutto il resto a questa e ai figli il compito di eseguire, cioè di comportarsi secondo le disposizioni ricevute. Ora, in una famiglia attuale gli indirizzi sono decisi concordemente dai coniugi: il Codice civile italiano, articolo 144, stabilisce che «I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare»; ma anche i figli partecipano alle decisioni che li riguardano, quando siano abbastanza grandi per farlo. Salvo che uno dei coniugi (o i figli, per quel che compete loro) si disinteressi, lasci fare, non partecipi, nel qual caso gli indirizzi, le decisioni sono presi dall'unica persona che si impegna a farlo. È questa persona che decide cosa comperare facendo la spesa, dove andare in vacanza e così via, e gli altri si adeguano. Non decidono, ma subiscono la decisione altrui.


Quel che succede in famiglia succede nella società: nella democrazia le regole prevedono la possibilità di contribuire all'indirizzo della vita propria e di quella della collettività, ma se la possibilità non è usata, se manca cioè l'impegno, la democrazia svanisce. Non sono sufficienti le regole, perché le regole consentono di partecipare al governo: se manca l'impegno, la partecipazione, il governo va ad altri.

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