Il nuovo libro del giornalista
scrittore Pino Aprile
“GIU’ AL SUD” (edito da Piemme).
Sarà il Sud a salvare il Nord. Tesi interessante, ma lo scrittore – reticente sul brigantaggio fenomeno sociale antichissimo nel Mezzogiorno e non solo del periodo 1863/1871 - non spiega con quali gambe sarà inverata. C’è da star certi, però, che ce lo dirà in un terzo saggio, di cui possiamo ipotizzare il titolo. Riscattata la dignità di meridionali con “Terroni” , attraverso il vessillo della nuova fierezza di sudisti laureati e masterizzati di “Giù al Sud”, i meridionali finiranno col riscattare la patria con “il Sud che salva il Nord”. Quest’impresa, che si preannuncia più eroica di quella dei mille garibaldini, naturalmente sulla carta…
di Romano Pitaro
“Giù al Sud” non è la seconda parte di “Terroni”. Ricordate? Il saggio tormentone di gran successo stampato nel 2010 che ha ripescato dal dimenticatoio episodi cruenti ai danni dei meridionali, perché se ne avesse contezza festeggiando la ricorrenza del 150mo compleanno del Tricolore. E’, invece, il nuovo libro del giornalista e scrittore Pino Aprile, di cui ormai si conosce ogni dettaglio biografico. Che è pugliese d’origine, per esempio, ma vive ai Castelli Romani ed ha lavorato in magazine del Nord influenti sull’opinione pubblica. E’ stato vicedirettore di Oggi e direttore di Gente. E, dopo due anni di viaggi al Sud per presentare il suo indiscusso exploit editoriale, in quel Sud che ritiene di poter comprendere più di altri perché non vive da quelle parti, ha ricevuto alcune profferte politiche però lestamente rintuzzate.
Non si riscontrano in “Giù al Sud” gli eccidi perpetrati dai briganti meridionali, o banditi sociali come li definirebbe lo storico Eric Hobsbawm, sopraffatti dall’Esercito Italiano, esattamente dal VI Corpo d’Armata di Napoli al comando di Enrico Cialdini (forte di 120mila uomini) e fin qui omessi da quella mano centralista però tutt’altro che misteriosa, essendo noto anche alle pietre sia il manipolatore che le manipolazioni. Allora nel Sud si consumò, secondo lo storico Giorgio Spini, una
guerra sociale alimentata dai preti sanfedisti, dal Vaticano del
Sillabo e dalla Spagna borbonica per solidarietà verso il Borbone e
contro lo Stato risorgimentale. Neppure, in “Giù al Sud”, si propongono altri personaggi di quell’epopea di oltre un secolo e mezzo fa, descritti da “Terroni” con tempistica ed abile incursione nel clima di accesa tensione Nord/Sud, in cui, mentre da un lato Bossi ci massacrava i timpani, con ignoranti stravaganze pompate dai media, e dall’altro l’anima neoborbonica ritrovava linfa per velleitariamente riproporre le performance di Franceschiello, soffiava già forte il vento del disfacimento dell’Occidente versione global.
Vento oggi dispiegatosi con irruenza drammatica, al punto da confermare mutazioni sociopolitiche radicali di cui, non soltanto per colpa dell’Uomo Nero che è al governo, poche corazzate editoriali e rari analisti s’erano resi conto. Cosi, mentre Bossi e soci inoculavano sguaiataggini e “Terroni” et similia sorprendevano un pubblico obnubilato dalla televisione ed ignaro del prezzo di sangue imposto al Sud dall’Unità d’Italia, divampava una crisi internazionale i cui tratti oggi svelano sia l’insipienza strumentale della Lega che l’abbaiare alla luna di quelle forze, genericamente definite neoborboniche, che anziché fare autocritica per le responsabilità delle classi dirigenti meridionali, scaricavano sull’Unità d’Italia le proprie frustrazioni, evocando grottescamente il Borbone in funzione salvifica.
Non il secondo tempo di “Terroni”, ma un sequel con minuziosa e godibile rendicontazione di incontri esaltanti che lo scrittore ha avuto con tantissimi giovani del Sud non condizionati, confida Aprile, come i loro padri, da ideologie e utopie, ma pragmatici e soprattutto decisi a restare. Alieni totalmente da revanscismi sudisti o da ipotesi di sganciamento del Sud sulla base di lagnose rampogne allo Stato nazionale. D’altronde,
come potrebbe essere diversamente? Con i chiari di luna che s’addensano
perniciosi sul capitalismo in caduta libera dentro una crisi più fosca
di quella del ’29, dove mai potrebbero andare? In più: che senso avrebbe chiedere conto allo Stato italiano per la soppressione violenta del
brigantaggio del Sud, prefigurando un’ineffabile secessionismo
meridionale, quando gli Stati nazionali semplicemente si sono liquefatti
nella loro identità originaria e quel che ne è residuato è travolto, in questi ultimi mesi, dalla valanga finanziaria che scompagina il modello di governance a cui l’Occidente è approdato nel dopoguerra?
C’è,
però, in “Giù al Sud”, assai utile anche perché fresca e riportata con
una scrittura lieve e in presa diretta, con interviste sul campo ed
opinioni di stringente attualità, una fotografia dei Sud del Paese che Aprile ci consegna e su cui vale la pena di soffermarsi.
Cos’è oggi il Mezzogiorno? Anzitutto è affossata l’idea balzana che il Sud sia un’area indistinta ed uniforme, omologata da triti topos e luoghi comuni. Non è unico il Sud. E non è uguale nelle varie regioni che lo compongono e che oggi vedono le nuove generazioni nutrire sentimenti non più di sudditanza verso il Nord. Questo nuovo sentire in Sicilia si è tradotto in potere; e qui Aprile segnala positivamente “l’arrivo alla Presidenza della Regione di un autonomista”. La
Lucania è capace di esportare cultura ed analisi economica, benché
senza guadagnare peso, anche a causa della scarsità di popolo. La
Puglia, concentrata nel ruolo di produttrice di analisti, “oggi offre
una lunga serie di numeri uno, dal cinema alla letteratura, alla tv fino
a Gianfranco Viesti, migliore studioso dell’economia “duale” italiana.
La Campania si esprime al meglio nella tradizione artistica e popolare,
dal cinema al teatro e soprattutto alla musica.
In queste regioni, chiosa Aprile, “il sentimento e l’intelligenza hanno seguito il percorso della tradizione”. In Calabria invece, terra attraversata
dal fenomeno del brigantaggio sin dal tempo delle rivolte contro Roma
da parte degli schiavi e dei pastori bruzi guidati da Spartaco nel 73 a.C., con
ritardo ma adesso per opera degli stessi calabresi, è sopraggiunta la
fine del tempo della “vergogna”, con la riscoperta degli studi
antropologici. C’è un bisogno di passato, che non s’era mai visto cosi vasto e profondo e che è diventato fenomeno sociale. “I calabresi mostrano la passione degli inizi, di chi recupera il tempo perso”. Per
spiegare la singolarità di quanto avviene in Calabria, Aprile
interpella l’antropologo Lombardi Satriani: “L’Odisseo calabrese e
meridionale che si sta muovendo è quello omerico: ha già fatto il
viaggio ed ora ritrova la strada di casa, per essere completo. Nessuno lo è, senza il suo passato. Il domani del Sud è il ritorno a se stesso”.
C’è un’altra tesi che attraversa le 470 pagine del libro su cui vale la pena di riflettere. Su questi Sud, su cui Aprile ha gettato lo scandaglio e che ha girato in lungo e in largo, per come stanno maturando ed evolvendo, in un’Italia malconcia che ha urgenza di cambiare modello economico e strategia sociale, incombe
l’onere di recuperare il Paese. Da qu deve partire l’azione di fermare
lo scivolamento dell’Italia “nella graduatoria delle nazioni civili e
progredite”.
Nulla di originale, è vero. C’è
tanta di quella documentazione meridionalista che punta sul Sud per il
riscatto civile ed etico del Paese. Basterebbe sfogliare alcuni dei
documenti sul Mezzogiorno dei vescovi italiani, a partire dalla Lettera
collettiva del 1948 per arrivare al documento del 2010 “Per un Paese
solidale”. C’è un bel libro, “ll
Sud una speranza dell’Italia”, del vescovo di Noto monsignor Antonio
Staglianò, in cui si propone la nascita di un laboratorio nel Sud per
salvare l’Italia ed in cui si asserisce che “il
Sud, da parte più irresponsabile del Paese e più sfortunata in base ai
punti di vista, può diventare l’ angolatura prospettica di una
circolarità aperta, tesa tra terra e cielo”.
Il vescovo, per concretizzare il suo convincimento, punta sull’esaltazione
di alcuni valori strapazzati dalla secolarizzazione che nel Mezzogiorno
resistono e che, s’ intuisce, varrebbe la pena di esportare. Aprile, invece, non spiega come dare forma e corpo alla sua tesi. Ma c’è da star certi che ce lo dirà in un prossimo saggio di cui possiamo già ipotizzare il
titolo. Riscattata la dignità di meridionali con “Terroni” , attraverso
il vessillo della nuova fierezza di sudisti laureati e masterizzati di
“Giù al Sud” renitenti alla partenza, i meridionali finiranno col riscattare la patria con “il Sud che salva il Nord”. Quest’impresa, che si preannuncia più eroica di quella dei mille garibaldini, naturalmente sulla carta…
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